Il dado è tratto: la prededuzione assiste ormai la mera continuazione dell’attività di impresa?
19 Febbraio 2018
Da diversi anni la Corte di Cassazione sembra avere abbandonato la prospettiva della “continenza” e della sistematicità, con riferimento allo spettro applicativo dell'istituto della prededuzione, nonché al concetto della “concorsualità”, per seguire una strada più impervia, che si sforza di rivestire dei tratti di questo "super- privilegio" tutte le attività che, con metodo casuistico ed asistematico, le appaiano meritevoli di ricevere tale trattamento preferenziale, che le esenta in grandissima parte dal rischio dell'insolvenza. Così, il pagamento di debiti pregressi che purtuttavia siano conformi al piano concordatario, e non possano rendere impossibile l'attuazione del medesimo, sarebbe lecito, anche se posto in essere prima che quel piano sia sanzionato col voto dal ceto creditorio, ed omologato dal Giudice. Ancora, meritano il trattamento di prededuzione pur quei debiti anteriori al sorgere della procedura, che però nascano da attività professionali finalizzate all'apertura della procedura, sia essa fallimentare (credito del legale per la redazione dell'istanza di fallimento, o per il recupero di crediti del debitore) oppure concordataria (crediti degli advisors), a prescindere dagli esiti finali. Nessuna incertezza incrina mai la percezione per cui i crediti maturati nell'esercizio dell'impresa durante il concordato, anche nella fase “in bianco”, meritino pur essi il trattamento di prededuzione (art. 161, comma 7, l.fall.).
All'inizio di quest'anno il percorso pare completato dalla studiata convinzione con la quale la Suprema Corte, nello stesso contesto di tempo, afferma la prededucibilità dei crediti strumentali all'omologa dell'accordo di ristrutturazione, al quale viene riconosciuta natura “concorsuale” (Cass., n. 1182- 1896/2018), ma al contempo nega la stessa qualificazione per i piani attestati di risanamento (Cass., n. 1895/2018), ed infine riveste di prededucibilità le obbligazioni sorte per la prosecuzione dell'attività di impresa in esecuzione di un concordato con continuità aziendale omologato (Cass., n. 380/2018). Non voglio discutere la ricognizione dei tratti della concorsualità nella procedura ex art. 182-bis l.fall., posto che anch'io ho avuto modo di affermare tale conclusione, nell'ambito di una ricostruzione teorica che si collocava nella prospettiva di un approccio “graduale” al concetto (di concorsualità). Nemmeno ritengo di dover contestare la prospettiva che si impernia sulla utilità ex ante dell'attività da cui nasce il diritto da collocare in prededuzione, posto che anche in tal caso la conclusione mi era già sembrata implicita nel sistema. Quello che però mi sorprende è l'affermazione di come i crediti sorti per la prosecuzione dell'attività dell'impresa debbano essere collocati con rango prededucibile nel successivo fallimento, sorto dopo il tentativo di esecuzione di un concordato di cui sia ormai emersa la palese inattuabilità, persino a prescindere dalla concreta specifica previsione di tali impegni nel piano concordatario. La prededuzione così cessa di essere uno strumento, che agisce sul versante sostanziale dell'obbligazione, finalizzata ad incentivare taluni soggetti a porre in essere attività che l'ordinamento ritiene utili per i fini che esso si pone, e ciò negli esatti limiti in cui il conseguimento di tali obiettivi appaia ab origine conseguibile. Così, un'attività posta in essere per definizione direttamente dal debitore, e non già da un organo nominato dallo Stato, ossia la prosecuzione dell'attività di impresa, soltanto in quanto “canalizzata” verso obiettivi precedentemente vagliati dal ceto creditorio e dal Giudice, e sorvegliata da un organo pubblico, diviene fonte di obbligazioni che nel successivo fallimento, ossia quando il tentativo di regolazione della crisi sia definitivamente “imploso”, si sottrarranno alle regole del concorso. La procedura in questo momento è già chiusa (art. 180 l.fall.), la stipula dei contratti in cui si realizza la prosecuzione dell'attività imprenditoriale non è con precisione contemplata dal piano concordatario, eppure i debiti che il debitore assume in questo contesto, e che non è in grado di estinguere, a causa della “implosione” del progetto imprenditoriale, nel successivo fallimento vengono trattati come “prededotti”. La giustificazione formale di ciò viene ricercata nella dilatazione del concetto di “funzionalità” contenuto nell'art. 111 l.fall., nella circostanza per cui il debitore è tenuto, ai sensi dell'art. 185 l.fall., ad attuare il piano concordatario, e per ciò egli è soggetto alla sorveglianza del Commissario e del Giudice Delegato. La ratio decidendi in realtà sembra risolversi in una petizione di principio: tutto ciò che appare in qualche modo connesso all'attuazione del piano sarebbe “funzionale” al concordato, anche se posto in essere prima dell'ingresso in procedura, oppure dopo la sua chiusura. Si ha come l'impressione che la procedura in realtà non si sia veramente chiusa con l'emanazione del decreto di omologazione; ed infatti la motivazione di Cass. n. 380/2018, si rifà a Cass. n. 17911/2016, dalla quale scaturiva la stessa suggestione; si trattava in quel caso di un'ordinanza di manifesta fondatezza del ricorso, in un procedimento ove la Curatela aveva scelto di non svolgere attività difensiva. In realtà tuttavia il debitore, dopo l'omologazione, è obbligato ad attuare i contenuti della proposta, e non già anche del piano; tant'è vero che, come ho già avuto modo di illustrare in passato, è solo la mancata verificazione degli obiettivi contenuti nella proposta a fondare la risoluzione del concordato (art. 186 l.fall.), laddove lo scostamento dal piano può solo fornire argomenti istruttori. Per gli amministratori, d'altro canto, solo l'adempimento della proposta omologata è un obbligo imperativo, laddove i dettami del piano non si distinguono dal vincolo che deriva da un piano strategico approvato dal c.d.a. (arg. ex art. 2381 c.c.); all'occorrenza, quel piano si può variare, se la proposta sia ancora possibile. Ed anche la sorveglianza del Commissario e del G.D., dopo l'omologa, non si sostanzia nell'esercizio di poteri di intervento effettivi, sicché in sostanza essa si risolve in mere facoltà di segnalazione al ceto creditorio, perché questo assuma se del caso le iniziative di competenza; dunque non vi è modo di pensare ad una permanenza di qualsiasi “spossessamento”, per quanto “attenuato”. Mentre la pronunzia del 2016 conteneva almeno un fugace riferimento alla conformità degli atti da cui scaturivano i crediti prededucibili al “piano industriale” alla base del concordato, la pronunzia di quest'anno pare prescinderne del tutto: i debiti sorti per la prosecuzione dell'attività di impresa, in esito all'omologazione di un piano concordatario “con continuità diretta”, sembrano rivestiti automaticamente del beneficio della prededuzione.
Appare tuttavia quantomeno bizzarro che i finanziamenti, prima e dopo l'omologazione, debbano essere espressamente previsti nel piano concordatario per aspirare alla prededuzione (artt. 182-quater- quinquies l.fall.), laddove qualsiasi debito contratto per la prosecuzione dell'attività di impresa, dopo l'omologa, anche se il piano non sia al momento “performante”, possa beneficiare del “super- privilegio” Ancora, appare quantomeno sorprendente che l'esenzione da revocatoria, rimedio che la stessa S.C. ha più volte riconosciuto come “ancillare” alla prededuzione, spetti solo agli atti compiuti “in esecuzione” del concordato (art. 67, comma 3, lett. f), laddove invece i debiti contratti nella prosecuzione dell'attività potrebbero per ciò solo ed a buon diritto aspirare al beneficio massimo. In realtà, si vede bene, credo, come la soluzione cui perviene la S.C. sia preconcetta, e fondata su una prospettiva assiologica apodittica, non fondata sul sistema positivo. In sostanza, la prosecuzione dell'attività viene incentivata “a prescindere”, così come nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, ove tuttavia è la stessa Legge ad imporre una gerarchia degli interessi che colloca in posizione recessiva la tutela dei creditori concorsuali, e la procedura permane sino al conseguimento dei risultati finali. Ed infatti la prassi ci ha abituati, nei contesti “amministrati”, a continuazioni dell'attività “ad ogni costo”, con distruzione di qualsiasi attivo astrattamente disponibile per la Massa, ed annichilimento di ogni prospettiva di soddisfacimento per i creditori concorsuali. Gli orientamenti della S.C. degli ultimi anni sembrano collocarsi in questa direzione, dimenticando che il concordato preventivo è e resta uno strumento di tutela del ceto creditorio concorsuale. L'omologazione comporta una cesura rispetto al passato, ove chi entra in rapporto col debitore “ristrutturato”, non è ammesso a fare affidamento su un beneficio patrimoniale concesso eccezionalmente a determinati soggetti al fine di in incentivare comportamenti specifici, in armonia con i fini del sistema. Soltanto i finanziamenti previsti nel piano omologato, destinati ad essere erogati dopo l'omologa, possono aspirare nel fallimento consecutivo alla prededuzione, in forza di norma espressa (art. 182-quater, comma 1, l.fall.) che altrimenti non avrebbe senso.
Forse, e sottolineo forse, ciò può estendersi agli atti diversi dai finanziamenti espressamente contemplati nello stesso piano, ove le controparti del debitore possono fare affidamento su tale elemento di garanzia aggiuntivo; i creditori dunque votano una proposta, che è resa possibile dall'affidamento riposto nel beneficio da chi dovrà cooperare col debitore nella prospettiva della realizzazione di quel risultato. Ma chi entra semplicemente in rapporto col debitore dopo la chiusura della procedura, e non trova una collocazione espressa nel piano, non può rivendicare alcuna priorità nella successiva liquidazione concorsuale: egli dovrà valutare autonomamente il patrimonio ristrutturato del debitore, assumere il rischio della relazione, e sottoporsi alla eventuale falcidia, nel caso in cui il piano imploda, ed il debitore sia assoggettato a fallimento, con o senza previa risoluzione del concordato.
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