Abuso del diritto e nuove "istruzioni per l'uso"
10 Ottobre 2017
Il nuovo abuso del diritto alla luce del D.lgs. n. 128/2015
Lungo e altalenante è stato l'iter legislativo che ha accompagnato l'evoluzione normativa del concetto di abuso del diritto, a partire da un primo inquadramento legislativo fornito dall'art. 37 bis del D.p.r. n. 600/1973, ad una necessaria analisi giurisprudenziale dell'art. 54 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea e delle diverse sentenze della Corte di Giustizia, fino all'introduzione dell'art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente. Il D.lgs. n. 128/2015, contenente le previsioni di attuazione della legge delega n. 23/2014, ha dunque dato attuazione all'art. 10 bis della Legge n. 212/2000, abrogando il previgente art. 37 bis del D.p.r. n. 600/1973 e introducendo una clausola generale in materia di abuso del diritto, indipendente da ogni riferimento a fattispecie precedentemente tipizzate. La “delega fiscale” individua, quindi, lo scopo principale: attribuire maggiore certezza al rapporto fra contribuenti e fisco e, soprattutto, delineare un perimetro applicativo più chiaro e concreto attraverso l'introduzione di una clausola generale antiabuso. L'obiettivo del cd. decreto sulla certezza del diritto, che ha introdotto la nuova disciplina con efficacia a decorrere dal 1° ottobre 2015, si concretizza nell'unificare tra loro la nozione di elusione fiscale e quella di abuso, considerate in precedenza, come separate. A seguito dell'evoluzione normativa, per la prima volta nel nostro ordinamento, viene introdotta una clausola generale in materia di abuso di diritto sganciata da espliciti riferimenti a casistiche e fattispecie ed estesa alla generalità dei tributi. In questa prospettiva, il legislatore, abrogando l'art. 37 bis, ha inteso fornire una nuova definizione di abuso legato “ad una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'Amministrazione Finanziaria che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusivi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di tali operazioni”.
Da questa definizione, la disciplina dell'abuso di diritto appare applicabile anche in materia di imposta di registro, riqualificando gli atti portati a registrazione, in base ad una visione economica degli effetti di queste operazioni. A conferma di ciò, la Corte di Cassazione,con la sentenza n. 11873 del 12 maggio 2017, legittima la riqualificazione, ai fini dell'imposta in esame, di più atti collegati, valorizzando gli “effetti reali” dell'operazione in concreto realizzata. Si avalla l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale la riqualificazione degli atti di conferimento di azienda, seguiti dalla cessione delle quote della conferitaria, non richiederebbe la prova di alcun intento elusivo in capo al contribuente ma sarebbe legittimata dall'applicazione dell'art. 20 del D.p.r. n. 131/2016 come norma sull'interpretazione degli atti. Secondo la Corte, ciò che rileva in questo senso, è la “causa reale e l'effettiva regolamentazione degli interessi realmente perseguita dai contribuenti”. L'obiettivo della legge delega, nel fornire la nuova nozione dell'abuso del diritto fiscale, è dunque quello di prevedere una definizione innovativa evitando l'uso distorto di alcuni strumenti giuridici e consentendo al contribuente l'esercizio di scelta di varie operazioni comportanti diversi carichi fiscali. È infatti esclusa la configurabilità della fattispecie abusiva in presenza di ragioni extrafiscali scegliendo i regimi opzionali diversi offerti dalla legge. Dall'analisi della formulazione normativa, risulta, dal nuovo articolo 10 bis, una nozione astratta di abuso di diritto e la presenza di numerose norme ne rappresenta una conferma. Spetta all'interprete valutare caso per caso l'applicazione dei singoli criteri, salvaguardando l'esigenza della certezza del diritto.
In conclusione, esiste finalmente un dato normativo di partenza, con il quale possono essere risolte alcune questioni concrete, definendo la condotta abusiva, attuando un sistema di garanzie procedimentali e prevedendo un adeguato profilo sanzionatorio. In base all'orientamento della Commissione, l'adozione di una norma generale antiabuso, che abbia una matrice comune a tutti gli Stati membri, consente di definire un'operazione abusiva o meno, ponendo un rimedio a costruzioni artificiose mancanti di sostanza commerciale o ad operazioni caratterizzate da una prevalente finalità fiscale. Resta tutt'ora difficile il coordinamento tra principi interni e principi europei, in quanto la stessa Commissione, non si pronuncia sulla nozione delle ragioni extrafiscali. Il principio di abuso di diritto, alla luce di ciò, appare poco rigoroso e malleabile e le valutazioni concrete, rispetto ad un quadro normativo generale, non offrono nello specifico nessuna certezza. Elementi costitutivi della condotta abusiva
Nella nuova definizione normativa si individuano i tre elementi che caratterizzano la condotta abusiva: l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate, la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito, la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione. Mentre nell'art. 37 bis, operante in precedenza, i presupposti della nozione di elusione fiscale erano costituiti dall'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e dall'ottenimento di riduzioni di imposta o rimborsi altrimenti indebiti, con il nuovo art. 10 bis è stato introdotto, come scopo essenziale della condotta, il perseguimento di un vantaggio fiscale indebito, che rappresenta un'importante novità, accertata autonomamente, da parte dell'Amministrazione Finanziaria. Inoltre, nella norma in esame, è importante evidenziare come il tema dell'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate richiami il concetto di “assenza di valide ragioni economiche” contenuto nella previgente normativa e come si voglia contrastare, coerentemente con le Raccomandazioni della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva, tutte quelle costruzioni artificiose che non realizzano ragioni economiche valide. Esaminando attentamente la disciplina si evince come l'assenza di sostanza economica possa essere individuata andando non solo a valutare in astratto la logica delle diverse operazioni, ma anche attraverso un riscontro obiettivo delle stesse che superi l'incertezza interpretativa. Il Legislatore ha fissato, al secondo comma dell'art. 10 bis, alcuni indici espressivi della mancanza di sostanza economica, tra i quali si rilevano: l'assenza di coerenza delle operazioni con il fondamento giuridico, l'utilizzo di strumenti che contrastino con la logica di mercato, nonché la presenza di alcune operazioni i cui effetti si annullano a vicenda. In questi casi è l'Amministrazione Finanziaria che deve dimostrare l'esistenza di una di tali fattispecie e pronunciarsi sull'inefficacia dei negozi da un punto di vista tributario.
Il secondo elemento è individuabile nella presenza di un vantaggio fiscale indebito, inteso come qualsiasi beneficio contrastante con la finalità delle diverse norme fiscali o dei principi che stanno alla base dell'ordinamento tributario. Ai fini della sua individuazione, non solo si deve rilevare la contrarietà dell'operazione alle disposizioni normative, ma anche la possibilità che il contribuente, attraverso la sua condotta, persegua un vantaggio fiscale con l'intento di conseguire un risparmio indebito. Rispetto all'abrogato art. 37 bis in cui il concetto di vantaggio fiscale indebito veniva individuato nell'esistenza di un'alternativa che comportava un onere fiscale maggiore, attualmente invece, vi è sempre alla base una fattispecie di conformità nell'applicazione delle regole giuridiche. In base al secondo comma dell'art. 10 bis, si considerano come vantaggi fiscali indebiti “i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali e con i principi dell'ordinamento tributario”. In sostanza si tratta di una serie di costruzioni artificiose, finalizzate ad eludere l'imposizione ed a contrastare la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili. Dunque, realizza un vantaggio fiscale indebito, il soggetto che pone in essere una condotta incongrua o inadeguata rispetto al risultato economico giuridico, conseguendo indebitamente un risparmio di natura tributaria. L'ultimo presupposto da esaminare è rappresentato dall'essenzialità del vantaggio fiscale realizzato che deve costituire lo scopo essenziale della condotta ed imporre, sull'Amministrazione Finanziaria, l'accertamento. Questo avviene mediante l'indagine di fini diversi dal vantaggio fiscale, che configurano abuso del diritto, qualora siano insignificanti rispetto all'intento di risparmiare indebitamente le imposte.
Il quarto comma della disposizione in esame stabilisce che “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”. In questa prospettiva, si può scegliere se conseguire o meno un risparmio di imposta, esercitando la propria libertà di iniziativa economica in base al compimento di atti o fatti, caratterizzati da una minore onerosità dal punto di vista impositivo. L'unico limite previsto dalla norma è rappresentato dal divieto di perseguire un vantaggio fiscale indebito. A ben vedere, il soggetto passivo può scegliere tra i diversi regimi opzionali offerti dalla legge e tra le operazioni comportanti un differente carico fiscale, obbligandosi a modellare il proprio business, in base all'operazione più conveniente. Si può dire, quindi, che la scelta del contribuente è libera e che, nella comparazione tra più operazioni alternative, quella meno onerosa non configura la fattispecie di abuso del diritto. Dalle considerazioni effettuate, la nuova nozione non elimina l'istituto del legittimo risparmio di imposta, ma rappresenta, come sottolineato dalla recente dottrina, un profilo immanente dell'elusione. Non è ravvisabile, in questo caso, da parte del contribuente, un aggiramento di imposta nelle due operazioni alternative messe a disposizione del sistema, in quanto gli è consentito di regolare i propri affari nel modo ritenuto fiscalmente meno oneroso. La norma in esame, pur presentando alcune incertezze applicative, è da valutarsi positivamente in quanto ha consentito una chiara identificazione della fattispecie elusiva-abusiva, con la regolamentazione dei profili di carattere procedurale e sanzionatorio.
In ambito europeo manca una definizione legislativa del principio generale di abuso di diritto, concetto che è stato oggetto di accesi dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza. Nell'opera di ricostruzione dell'istituto, la Corte di Giustizia Europea, ha evidenziato alcuni elementi costitutivi soprattutto in materia di imposta sul valore aggiunto. Nel sistema dell'IVA, l'abuso del diritto è stato esaminato con riferimento ad alcuni casi in cui il pagamento del tributo era in contrasto con alcune disposizioni riguardanti l'applicazione dell'imposta indiretta. In quest'ambito, infatti, diversi sono i comportamenti abusivi che si possono manifestare legati al meccanismo della detrazione, cioè ad una situazione soggettiva facente capo al cessionario con cui quest'ultimo potrebbe indebitamente conseguire svariati vantaggi fiscali. Ai fini dell'individuazione degli elementi caratterizzanti il fenomeno, è necessario effettuare una distinzione tra “l'abuso in senso lato” e “l'abuso in senso stretto”. Nel primo caso, si fa riferimento all'aggiramento della legge nazionale in base a regole dell'Unione europea per eludere l'applicazione delle norme nazionali con lo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale, violando i principi fondamentali sanciti nei Trattati dell'Unione europea. Il secondo caso, invece, si origina attraverso un uso distorto dei diritti soggettivi riconosciuti a livello comunitario con l'intento di conseguire un vantaggio fiscale contrastante con gli obiettivi individuati dall'ordinamento europeo. In termini di meccanismi applicativi, in Italia, ha trovato spazio solo la prima fattispecie. Diverse e specifiche sono le linee comportamentali elaborate dalla Corte di Giustizia in materia di IVA che prevedono la possibilità per il contribuente di scegliere, nello svolgimento dei suoi affari, le forme che gli consentono di ridurre l'onere fiscale.
Alla luce di quanto detto, il comportamento del privato è da considerarsi abusivo solo laddove sia in contrasto con i principi fondamentali alla base del sistema tributario armonizzato. Da quanto si evince, la Corte, piuttosto che fornire una definizione del concetto di abuso, si preoccupa di individuare alcune circostanze oggettive e soggettive fondamentali per l'accertamento dell'eventuale comportamento abusivo. Con la sentenza Halifax si è riconosciuto un vero e proprio divieto di abuso del diritto nell'ordinamento europeo, evidenziando gli elementi necessari che danno luogo alla manifestazione di pratiche fiscali abusive: individuazione della titolarità di un diritto soggettivo, la possibilità che l'esercizio del diritto sia effettuato in base a modalità non determinate e che, in ultimo, sia svolto secondo modalità non conformi rispetto ai criteri di valutazione. La Corte di Giustizia ha fornito una definizione di abuso di diritto in materia di IVA riconoscendolo in tutte “le operazioni controverse che devono, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste (…), procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito dalle stesse disposizioni”. I recenti interventi relativi all'armonizzazione normativa in materia di IVA, hanno riportato come casi tipici di abuso, alcune ipotesi specifiche costituite dal diritto alla detrazione, all'esenzione o alla non imponibilità di determinate operazioni.
La Corte di Giustizia ha individuato quattro elementi fondamentali che consentono di definire il comportamento abusivo. Il primo è rappresentato dal presupposto oggettivo che prevede, pur rispettando la normativa europea, la possibilità da parte del contribuente di conseguire un indebito vantaggio fiscale. Il secondo viene individuato nell'elemento soggettivo, rilevabile ogni qual volta il soggetto realizzi creazioni artificiose rivolte ad ottenere un vantaggio tributario, applicando la normativa comunitaria. In questo caso, l'Amministrazione Finanziaria deve verificare se l'operazione posta in essere dal soggetto presenti una giustificazione economica che sia diversa dall'intento di evitare, ridurre o differire il pagamento dell'imposta. Il terzo aspetto si configura nell'essenzialità dello scopo fiscale; la Corte di Giustizia si è pronunciata evidenziando come una pratica fiscale abusiva, possa sorgere da un'operazione perseguita per il raggiungimento di un solo vantaggio fiscale, senza il quale la stessa non sarebbe stata realizzata. L'ultimo elemento è ravvisabile nella situazione di vantaggio che scaturisce dal non pagamento o dalla riduzione dell'imposta oppure dalla possibilità di differire l'onere tributario ricorrendo alle forme abusive.
Il nuovo art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente ha cercato, da un lato di adeguarsi alle indicazioni comunitarie, dall'altro di applicare l'orientamento della Corte di Cassazione in materia di abuso di diritto, per evitare di incorrere in fenomeni di doppia imposizione o di doppia detrazione, mediante l'elaborazione di una norma generale antiabuso applicabile a tutti gli Stati membri. La Commissione europea ha previsto la possibilità di definire un'operazione come abusiva quando contrasta con la finalità delle disposizioni fiscali applicabili, quando l'elusione rappresenta lo scopo essenziale della norma o viene posto in essere un comportamento non ragionevole dal punto di vista del profilo economico e commerciale. Nella norma in esame, non è più presente il concetto di prevalenza del risparmio fiscale, evidenziandosi, così, una concezione di abuso del diritto conforme a quella elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, soprattutto in materia di IVA. In conclusione, il principio europeo dell'abuso di diritto, in base all'orientamento prospettato, appare “quasi” compatibile con l'art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente, individuando quello che gli studiosi chiamano un doppio binario, che si può percorrere a seconda che il comportamento abusivo sia riferibile al diritto interno o al diritto europeo. In conclusione
La nuova disciplina dell'elusione fiscale e/o abuso di diritto ha voluto delineare confini più chiari per questo istituto codificandolo nel sistema tributario e tracciandone il perimetro applicativo, con la principale finalità di individuare un punto di incontro tra le esigenze dei contribuenti e quelle del fisco. La dottrina considera la nuova definizione come una nozione a fattispecie indefinita in quanto maggiormente intenta a cogliere il risultato abusivo dell'operazione rispetto alle sue caratteristiche. Questo modus operandi, lascia ampio spazio all'interpretazione del giudice, sia nell'analisi delle norme che disciplinano le fattispecie contrattuali, che nell'identificazione degli elementi costitutivi della condotta. Il legislatore ha affiancato alla nozione di abuso tutta una seria di regole procedurali che consentono la contestazione del comportamento da parte dell'Amministrazione Finanziaria o la possibilità al contribuente di consultare preventivamente la stessa mediante la proposizione dell'interpello in materia di elusione disciplinato dall'art. 11 dello Statuto. L'esame dell'abuso di diritto non ha alcuna pretesa di esaustività, realizzando esclusivamente un quadro d'insieme del fenomeno.
La giurisprudenza nazionale, trovando ispirazione in quella comunitaria, ha delineato con maggiore chiarezza i presupposti caratterizzanti l'istituto che, tuttavia, si prestano ad interpretazioni non univoche. Non si può del resto negare come la materia resti ancora di difficile definizione in quanto si individua nella fattispecie abusiva una figura collocata tra il legittimo risparmio d'imposta e l'evasione. L'argomento sarà, per molto tempo, oggetto di interventi dottrinali e di pronunce giurisprudenziali non facilmente colmabili in virtù dell'impossibilità di inquadrare gli istituti fiscali in schemi predefiniti. L'art. 10 bis, pur con questi limiti, costituisce un evidente passo in avanti per una maggiore chiarezza dell'istituto rappresentando un'assoluta novità con riguardo alle fattispecie elusive-abusive del diritto, ai profili procedurali e alla rilevanza penal-tributaria. |