Revoca dell'aggiudicazione definitiva: condizioni e presupposti
28 Dicembre 2016
Massima
L'aggiudicazione della gara a un'impresa che ha diligentemente confezionato la sua offerta in conformità alle prescrizioni della lex specialis può essere validamente rimossa, con lo strumento della revoca, solo nell'ipotesi eccezionale in cui una rinnovata istruttoria ha rivelato l'assoluta inidoneità della prestazione inizialmente richiesta dalla P.A. a soddisfare i bisogni per i quali si era determinata a contrarre, non essendo sufficiente un mero ripensamento circa il grado di satisfattivà della prestazione messa a gara. Il caso
La vicenda al vaglio del Consiglio di Stato concerne la fornitura a noleggio di apparecchiature mediche a favore di un'Azienda Ospedaliera che, dopo aver aggiudicato l'appalto alla prima classificata, ha dapprima revocato l'aggiudicazione definitiva e, in un secondo momento, ha bandito una nuova procedura. Avverso tale sequenza provvedimentale l'aggiudicataria ha proposto un articolato ricorso che il TAR ha respinto giudicando legittime sia la contestata revoca dell'aggiudicazione, sia l'indizione e la definizione della nuova procedura (TAR Puglia, Bari, 20 maggio 2016, n. 694). La questione
È controversa, dunque, la legittimità della revoca dell'aggiudicazione di un appalto di servizi, l'indizione di una nuova procedura e la definitiva aggiudicazione dell'appalto a terzi, sotto il peculiare profilo del valido esercizio del potere di autotutela. I presupposti del corretto esercizio dello ius poenitendi sono fissati dall'art. 21-quinquies, l. n. 241 del 1990 con clausole di ampia latitudine semantica. I predetti presupposti consistono: i) nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, ii) nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell'adozione del provvedimento) e iii) in una rinnovata (e diversa) valutazione dell'interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici). A differenza del potere di annullamento d'ufficio, che postula l'illegittimità dell'atto rimosso d'ufficio, quello di revoca esige, infatti, solo una valutazione di opportunità: sicché il valido esercizio dello stesso resta rimesso a un apprezzamento ampiamente discrezionale della P.A.. Un'esegesi e un'applicazione della disposizione coerente con i principi della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e P.A. e del buon andamento dell'azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l'imparzialità e la proporzionalità) impongono la lettura e l'attuazione della norma secondo stringenti canoni, quali: a) la revisione dell'assetto di interessi recato dall'atto originario dev'essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell'atto da revocare; b) non è sufficiente un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell'emanazione dell'atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l'intensità dell'interesse pubblico che si intende perseguire; d) la motivazione dev'essere profonda e convincente, nell'esplicitare i contenuti della nuova valutazione dell'interesse pubblico e la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole. Le soluzioni giuridiche
La declinazione dei presupposti, contenuti e finalità dell'istituto testé riferiti nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti comporta, secondo quanto osservato dal Collegio, che: i. l'aggiudicazione è pacificamente revocabile prima del perfezionamento del contratto (Cons. St., Sez. III, 13 aprile 2011, n. 2291); ii. la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d'appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (Cons. St. Ad. plen., 29 giugno 2014, n. 14); iii. la regolare definizione della procedura mediante la selezione della migliore offerta consolida in capo all'aggiudicataria una posizione particolarmente qualificata, il che impone l'onere di una ponderazione particolarmente rigorosa degli interessi coinvolti; iv. il ritiro di un'aggiudicazione legittima postula la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell'impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l'esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi (cfr. Cons. St., Sez. V, 19 maggio 2016, n.2095); v. quando il ripensamento concerne le caratteristiche dell'oggetto dell'appalto – come nel caso in esame –, può farsi ricorso alla revoca, solo nell'ipotesi eccezionale in cui una rinnovata (e, comunque, tardiva) istruttoria riveli l'assoluta inidoneità della prestazione inizialmente richiesta dalla stessa Amministrazione (e, quindi, dovuta dall'aggiudicatario) a soddisfare i bisogni per i quali si era determinata a contrarre; vi. non può in alcun modo giudicarsi idoneo a giustificare la revoca un ripensamento circa il grado di satisfattività della prestazione messa a gara. Se si ammettesse, infatti, la revocabilità delle aggiudicazioni sulla sola base di un differente e sopravvenuto apprezzamento della misura dell'efficacia dell'obbligazione dedotta a base della procedura, si finirebbe, inammissibilmente, per consentire l'indebita alterazione delle regole di imparzialità e di trasparenza che devono presidiare la corretta amministrazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, con inaccettabile sacrificio dell'affidamento ingenerato nelle imprese concorrenti. In applicazione dei principi appena enunciati, la revoca dell'aggiudicazione dell'appalto in questione è stata giudicata illegittima, attesa anche l'omessa comunicazione dell'avviso di avvio del procedimento all'impresa destinataria dell'atto di ritiro dell'aggiudicazione. Come, infatti, affermato da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'esercizio dei poteri di autotutela finalizzati al ritiro dell'aggiudicazione definitiva impone alla stazione appaltante di assicurare la partecipazione dell'impresa aggiudicataria, onde consentirle di tutelare adeguatamente, in sede procedimentale, la posizione qualificata validamente acquisita, per mezzo della necessaria osservanza della prescrizione di cui all'art. 7 l. n. 241 del 1990 (Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2011, n. 2456). L'accertamento dell'illegittimità (e il conseguente annullamento) della revoca dell'aggiudicazione della fornitura comporta la caducazione, siccome viziati da invalidità derivata, degli atti della nuova procedura, ivi compresa l'aggiudicazione della seconda gara. Osservazioni
Sebbene la novella legislativa di cui all'art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014 (che ha modificato l'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990) abbia inteso accrescere la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione – per mezzo dell'esclusione dei titoli abilitativi o attributivi di vantaggi economici dal catalogo di quelli revocabili in esito a una rinnovata valutazione dell'interesse pubblico originario –, il potere di revoca resta connotato da un'ampia ed eccessiva discrezionalità (cfr. ex multis Cons. St., Sez. III, 6 maggio 2014, n. 2311), stante, tra l'altro, la formulazione lessicale (volutamente) generica della norma di riferimento. La configurazione normativa del potere di autotutela in esame si presta, dunque, ad essere criticata, nella misura in cui omette un'adeguata considerazione e un'appropriata protezione delle esigenze, sempre più avvertite come ineludibili, connesse alla tutela del legittimo affidamento (qualificato come “principio fondamentale” dell'Unione Europea dalla stessa Corte di Giustizia UE) ingenerato nel privato danneggiato dalla revoca e all'interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall'atto originario, nonché, più in generale, alla stabilità dei provvedimenti amministrativi: non valendo (come sottolineato dalla pronuncia), di per sé, la previsione della debenza di un indennizzo ai privati danneggiati dalla revoca a compensare gli squilibri regolativi sopra segnalati. In tal quadro, la pronuncia di che trattasi ha il pregio di aver posto dei limiti allo ius poenitendi, declinandone presupposti, contenuti e finalità ed evidenziando l'impossibilità di farvi ricorso sulla sola base di un differente e sopravvenuto apprezzamento della misura dell'efficacia dell'obbligazione dedotta a base della procedura. Diversamente opinando, infatti, si consentirebbe un'indebita alterazione delle regole di imparzialità e di trasparenza e un inaccettabile quanto sproporzionato sacrificio dell'affidamento ingenerato nelle concorrenti circa la serietà e la stabilità della gara, con un rischio concreto di inquinamento e di sviamento dell'operato della P.A. I canoni di condotta sanciti dalla pronuncia in commento restano validi – come ribadito dal Collegio – anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l'art. 21-quinquies, e non anche la disciplina speciale dei contratti, che si occupa, infatti, di regolare il recesso e la risoluzione del contratto, e non anche la revoca dell'aggiudicazione degli appalti (ma solo delle concessioni). |