Riforma del Terzo settore e dell’impresa sociale. Legge delega e Decreti attuativi: profili tributari

31 Agosto 2017

Il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato tre decreti legislativi di attuazione della Legge delega per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Tali Decreti attuativi, i cui principi generali erano stati anticipati dalle Linee guida (2014) e dalla Legge delega (2016), realizzano l'obiettivo di ricostruire le fondamenta giuridiche dei soggetti del Terzo settore, eliminando, asimmetrie normative, disarmonie e legislazioni disorganiche che prevedono soluzioni differenti a fronte di comuni fattispecie. Le ragioni plurime di questa criticità, si fondano sull'esistenza di due competenze e due normative (quella civile e quella fiscale) che si intrecciano e non si coordinano.Sul piano strutturale, si tratta, quindi, di interventi sistematici, finalizzati a creare forme reali ed effettive di coordinamento tra la disciplina civilistica, le singole leggi speciali e la disciplina tributaria, con l'obiettivo di «un riordino e armonizzazione delle diverse forme di fiscalità di vantaggio per gli enti del Terzo settore, con riferimento ai regimi sia delle imposte dirette che indirette».
Codice del Terzo settore. Riordino e revisione della disciplina degli enti no profit. Nuovo regime fiscale

Il riordino e la revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore, nell'intervento di riforma in esame, viene realizzato con la costituzione di un Codice del Terzo settore, per la raccolta e il coordinamento delle relative disposizioni, con l'indicazione espressa delle norme abrogate.

Il nuovo Codice riordina la normativa riguardante gli enti del Terzo settore al fine di sostenere l'autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l'inclusione e il pieno sviluppo della persona e valorizzando il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa.

Sul piano sistematico, il provvedimento introduce, la nozione di “ente di Terzo settore”, inteso come «ente costituito in forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta, o di fondazione, per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma volontaria e di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore». (cfr. D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, Codice del Terzo settore, a norma dell'art. 1, comma 2, lettera b), della Legge 6 giugno 2016, n. 106, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 179, 2 agosto 2017-Suppl. Ordinario n. 43, (entrata in vigore del provvedimento 3 agosto 2017), art. 4).

Qualificazione che risente della difficoltà, a mio avviso, di ordine genetico, di trasferire categorie delle scienze sociali/economiche in ambito giuridico.

Nel dettaglio, si delimita, comunque, il novero degli enti facenti parte del Terzo settore, che ricomprende le organizzazioni di volontariato e di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali (incluse le cooperative sociali), le reti associative e le società di mutuo soccorso.

Per ciò che concerne le attività svolte da tali enti, quelle istituzionali, denominate “attività di interesse generale”, sono elencate dettagliatamente e ricomprendono, tra le altre:

  • il sistema integrato di interventi e servizi sociali;
  • prestazioni sanitarie riconducibili ai Livelli essenziali di assistenza;
  • educazione, istruzione e formazione professionale;
  • tutti i servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente;
  • interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
  • organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
  • servizi finalizzati all'inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati o con disabilità;
  • organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche;
  • riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata (cfr. art. 5, norma cit.).

Sul piano funzionale, oltre allo svolgimento delle attività istituzionali, si prevede anche l'esercizio di “attività diverse” (cfr. art. 6, norma cit.), espressamente indicate nell'atto costitutivo o nello statuto, a condizione che siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, tenendo anche conto dell'insieme delle risorse impegnate, in rapporto a quelle impiegate nelle attività di interesse generale.

In particolare, il Codice in esame, disciplina il regime fiscale degli enti del Terzo settore, allo scopo di operare una semplificazione ed armonizzazione, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, del quadro legislativo attuale, caratterizzato da un'estrema frammentazione e da una pluralità di disposizioni che si sono stratificate nel tempo (Consiglio dei Ministri, relazione illustrativa, Schema di decreto legislativo recante “Codice del Terzo settore”, cit.).

Il moltiplicarsi di discipline di dettaglio, infatti, è stato finora di ostacolo alla costruzione di un percorso di semplificazione fiscale e procedimentale per gli enti in esame e soprattutto per gli operatori del settore, chiamati a confrontarsi con definizioni normative, adempimenti (ad es. in materia di pubblicità e di raccolta fondi) e modalità di attuazione dei fini statutari diversificati a seconda delle varie tipologie di enti, oltre che con qualificazioni fiscali delle attività a volte simili ma non sovrapponibili.

In questo scenario generale, risultava necessaria, quindi, un'opera di riordino. La Legge delega ha fornito, quindi, una serie di criteri direttivi per innovare la disciplina tributaria applicabile a tali enti, soffermandosi in particolare sulla necessità di una revisione complessiva della definizione di ente non commerciale; di una razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali e dei regimi fiscali e contabili semplificati; di introdurre agevolazioni per favorire il trasferimento di beni patrimoniali a detti enti e, infine, di rivedere l'attuale disciplina delle ONLUS.

La riforma prevede, inoltre, una serie di misure di sostegno tra cui la non applicazione delle imposte sulle successioni e donazioni per i trasferimenti a favore dell'ente, l'applicazione in misura solo fissa delle imposte di registro, ipotecaria e catastale e l'esenzione da bollo e altri tributi minori (cfr. art. 82, norma cit.); le deduzioni e le detrazioni per coloro che effettuano liberalità a favore di tali enti (cfr. art. 83, norma cit.) nonché il “social bonus” (cfr. art. 81, norma cit.), che assegna crediti d'imposta pari al 65 per cento, per i soggetti IRPEF, e al 50 per cento per i soggetti IRES, in caso di erogazioni liberali a favore degli enti del Terzo settore non commerciali assegnatari di immobili pubblici o beni mobili o immobili confiscati alla criminalità organizzata.

In tale ambito, sicuramente il Codice rappresenta uno strumento utile, non a caso agli inizidel secolo scorso sembrava addirittura potesse essere considerato come la soluzione, rispetto ad una serie di problematiche, anche di sistema.

In realtà il successo dello strumento risultava legato ad un tempo generalmente immobile che caratterizzava la società e le sue manifestazioni.

Oggi la velocità dei cambiamenti, il moltiplicarsi continuo di fenomeni sociali, lo rende uno strumento utile (e niente di più).

L'impresa sociale. Nuovo spazio imprenditoriale tra profit e valori etici

Le disposizioni in esame vanno lette in stretta correlazione con quelle in tema di impresa sociale, destinate ad attrarre tutti quei soggetti che svolgono attività commerciale prevalente e la cui organizzazione, pur nel perseguimento di finalità di interesse generale, sia riconducibile, sotto il profilo organizzativo, a quella di un'impresa. Nell'ambito della riforma del Terzo settore l'impresa sociale trova un puntuale inquadramento fiscale con un trattamento agevolato, connesso al reinvestimento degli utili nelle finalità di interesse generale perseguite.

Il legislatore delegato individua i settori in cui può esplicarsi la cd. “attività d'impresa di interesse generale”, il cui svolgimento, in coerenza con le previsioni statutarie e attraverso modalità che prevedano le più ampie condizioni di accesso da parte dei soggetti beneficiari, costituisca requisito per l'accesso alle agevolazioni previste dalla normativa (soggette alle verifiche previste ex lege) (cfr. D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112, Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell'art. 2, comma 2, lettera c) della Legge 6 giugno 2016, n. 106, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 167, 19/07/2017 (entrata in vigore del provvedimento 20/07/2017), art. 2).

Nello specifico, si ridefinisce, ampliandolo, l'ambito delle attività esercitabili; tra queste sono incluse, a titolo esemplificativo:

  • le prestazioni sanitarie riconducibili ai livelli essenziali di assistenza;
  • i servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente;
  • gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
  • la gestione di attività sportive dilettantistiche (cfr. art. 2, norma cit., comma 1, lett. a)-t)).

Riguardo ai profili tributari, in riferimento alle misure fiscali e di sostegno economico (cfr. art. 18 norma cit.), il decreto in esame stabilisce che gli utili e gli avanzi di gestione delle imprese sociali non costituiscono reddito imponibile, ai fini delle imposte dirette, qualora vengano destinati ad apposita riserva indivisibile in sospensione d'imposta in sede di approvazione del bilancio dell'esercizio in cui sono stati conseguiti, e risultino effettivamente destinati, entro il secondo periodo di imposta successivo a quello in cui sono stati conseguiti, allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio, nonché al versamento del contributo per l'attività ispettiva. La destinazione degli utili e degli avanzi di gestione deve risultare dalle scritture contabili.

Non concorrono alla determinazione del reddito imponibile, ai fini delle imposte dirette, gli utili e gli avanzi di gestione destinati ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci. Ancora, non concorre alla formazione del reddito dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società, il trenta per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più società, incluse società cooperative, che abbiano acquisito la qualifica di impresa sociale.

Le richiamate innovazioni normative, tendono a superare le “ragioni di un fallimento”, che avevano caratterizzato il precedente modello dell'impresa sociale, che aveva avuto un impatto ridottissimo, tranne in alcune specifiche zone territoriali, soprattutto a causa della mancanza di benefici fiscali concreti.

Difatti, i principali vantaggi previsti dalla previgente normativa, si ricollegavano solo alla possibilità di partecipare a bandi territoriali o all'acquisizione della responsabilità limitata. Troppo poco rispetto ai molteplici adempimenti societari (revisione dello statuto, elementi di governance) ed amministrativo-contabili (redazione del bilancio sociale, deposito dei bilanci, etc.) che, evidentemente, rendevano poco attrattiva la qualifica di impresa sociale.

La riforma strutturale dell'istituto del cinque per mille

Ai fini di una analisi compiuta, può essere opportuno premettere come l'istituto del cinque per mille sia stato introdotto per la prima volta, in via sperimentale, per l'esercizio finanziario 2006 e riproposto ogni anno con apposite disposizioni normative (reso, poi, stabile dalla Legge 23 dicembre 2014, n. 190).

Il D.lgs. 111/2017 (cfr. D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 111, Disciplina dell'istituto del cinque per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a norma dell'articolo 9, comma 1, lettere c) e d), della Legge 6 giugno 2016, n. 106, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 166, 18/07/2017 (entrata in vigore del provvedimento19/07/2017).) prevede il completamento della riforma strutturale dell'istituto del cinque per mille, attraverso un sistema improntato alla massima trasparenza, con la previsione di conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto degli obblighi di pubblicità (Relazione illustrativa al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 111).

Il legislatore delegato, innovando rispetto alla precedente disciplina, individua come soggetti destinatari tutti gli enti di Terzo settore iscritti nel Registro unico nazionale.

Rimangono inalterati i restanti settori di destinazione del beneficio, ossia il finanziamento della ricerca scientifica e dell'università; il finanziamento della ricerca sanitaria; il sostegno delle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente; il sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche; la tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (cfr. art. 3, norma cit.).

Di rilievo la previsione di una serie di obblighi di trasparenza ed informazione, sia per i soggetti beneficiari che per l'amministrazione erogatrice, in coerenza con la valorizzazione dell'accountability espressa nella legge delega (Relazione illustrativa al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 111).

Le organizzazioni non profit vengono, quindi, a trovarsi in una situazione di mercato con la conseguenza di dover realizzare un vero e proprio mutamento di mentalità, poiché sono destinate ad entrare in un “mercato” delle preferenze, preparandosi a far fronte ad una sorta di competizione per le scelte degli italiani. Tutto questo impone di proporre forme di gestione dell'organizzazione (in armonia con le finalità istituzionali), attraverso la realizzazione di strategie e criteri teoricamente assimilabili a quelli aziendali. L'insieme di strategie di mercato, è utile precisare, non incide sui contenuti istituzionali degli organismi in esame, bensì sulle metodologie e sulle proposte: in altri termini sulle modalità attraverso cui le organizzazioni non profit realizzano le loro finalità istituzionali.

D'altro canto, i nuovi spazi conquistati dalle organizzazioni non profit, comportano la costante ricerca di strumenti di finanziamento e di gestione economica, in modo da renderle capaci ed economicamente autosufficienti per il perseguimento delle finalità istituzionali. Lo stesso sistema economico di riferimento, per certi aspetti concorrenziale, impone sempre più spesso la necessità di dotarsi di strumenti gestionali e di supporti finanziari, al fine di rendere maggiormente visibile l'azione delle singole associazioni.

In altre parole, si realizza una sorta di concorrenza interna alle organizzazioni non lucrative le quali sono chiamate a dividersi le risorse umane ed economiche del settore. L'esigenza di una piena efficienza (anche economica) dell'organizzazione diventa fondamentale, e altrettanto basilare risulta lo sviluppo dell'organizzazione stessa, per conseguire direttamente gli obiettivi istituzionali. Per altro verso realizza una forma indiretta di finanziamento, a favore delle organizzazioni ritenute più meritevoli nel campo delle attività sociali.

Conclusioni

Evidenti le finalità di un intervento normativo che a distanza di venti anni dalla riforma della disciplina tributaria degli enti non commerciali e della introduzione delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (e a dieci dall'impresa sociale) tenta di ridisegnare un nuovo sistema che ha molti pregi, ma una fragilità originaria. Il legislatore, infatti, interviene come se la materia (soprattutto tributaria) non fosse già stata oggetto modifiche; per cui innova senza tener conto delle criticità applicative che hanno caratterizzato la precedente riforma.

Mi riferisco in particolare al tema dei controlli ed alle derive delle attività commerciali che hanno caratterizzato il modo di esistere degli enti senza scopo di lucro. Sotto questo profilo nulla di nuovo, anche se nella riforma in esame si riscontra l'obiettivo di individuare, con chiarezza, criteri per la gestione economica degli enti non profit, unitamente a forme di controllo e accertamento dell'autenticità sostanziale dell'attività realizzata.

Peraltro, non possono trascurarsi patologie funzionali, sulla base delle quali si costituisce un ente in relazione alle forme di finanziamento o alle agevolazioni tributarie (più convenienti), collegate alla scelta dell'uno o dell'altro modello associativo. In diverse circostanze, finalità ideali e attività istituzionali vengono sacrificate sull'altare delle agevolazioni tributarie.

Fenomeno di cui il legislatore mostra consapevolezza; nelle Linee Guida afferma, senza riserve, che «occorre anche sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che, anche in questo ambito, agiscono soggetti non sempre trasparenti che, talvolta, usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge».

Guida all'approfondimento

G. Rivetti, Enti senza scopo di lucro. Terzo settore e impresa sociale. Profili di specialità tributaria tra attività no profit o for profit, Giuffrè, Milano, 2017.

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