L' “estensione” del numerus clausus degli atti impugnabili
21 Dicembre 2015
Premessa
Il legislatore fiscale ha da tempo optato per una delimitazione dell'ambito oggettivo di operatività della giurisdizione tributaria (rispetto a quella amministrativa e ordinaria) attraverso la previsione di un elenco tassativo degli atti passibili di essere impugnati dinanzi alle Commissioni Tributarie (Provinciali e Regionali). Detto elenco trova declinazione all'interno dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, laddove, al comma 1, sono, specificamente, individuati i seguenti atti:
Secondo la lettera dell'articolo in commento, ciascuno degli atti sopra menzionati è autonomamente impugnabile solo per vizi propri (i.e., vizi di legittimità ovvero di merito), con la conseguenza che l'atto autoritativo non può essere impugnato per vizi riconducibili ad atti precedenti (laddove risulti che questi ultimi siano stati regolarmente notificati al contribuente). Da ciò deriva che avverso ciascun atto della segmentazione impositiva (autonomamente impugnabile) debba essere tempestivamente proposto ricorso, facendo valere, volta per volta, i vizi propri di ciascun atto, essendo preclusa la relativa contestazione nei giudizi incardinati avverso gli atti successivi. È poi prevista, con riferimento agli atti “non impugnabili autonomamente” ma comunque lesivi della sfera giuridica del contribuente, una tutela differita, che si realizza attraverso l'impugnazione dell'atto logicamente susseguente, rientrante in una delle categorie cristallizzate nel primo comma.
Tuttavia, nonostante siffatta delimitazione normativa, la giurisprudenza ha offerto, da tempo, una lettura maggiormente flessibile della disposizione in parola, prevedendo, da un lato, l'impugnabilità di atti “atipici”, ovvero diversi rispetto a quelli riportati nell'elenco di cui supra e, dall'altro, che alcuni di tali atti (diversi) non debbano essere necessariamente impugnati, facendo così salva la possibilità di far valere i relativi vizi tramite l'impugnazione dell' ”atto tipico” susseguente (c.d. atti ad impugnazione facoltativa). Secondo la posizione “tradizionale" della dottrina la funzione dell'elenco tassativo, contenuto nell'art. 19, risiederebbe nella necessità di delimitazione dei confini “interni” della giurisdizione tributaria. Tale impostazione risulta però incrinata a seguito delle modifiche all'art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, apportate dall'art. 12, co. 2, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, che è intervenuta in senso di “ampliamento” della giurisdizione del giudice tributario, estesa astrattamente a “tutte le controversie aventi ad oggetto tributi”. Da qui la dottrina maggioritaria ha individuato una soluzione “ponte”, tra il nuovo quadro sistematico e la tassatività dell'elenco normativo, nella possibilità di attuare un'interpretazione estensiva delle disposizioni ivi riportate, includendo nell'alveo degli atti impugnabili, secondo la norma di legge, tutti gli atti idonei a produrre effetti speculari o omogenei a quelli positivamente individuati (cfr., Tesauro, Fantozzi, Russo).
La giurisprudenza (specie quella di legittimità), invece, è andata oltre, offrendo una lettura più estesa del richiamato art. 19, in un'ottica di attuazione dei principi costituzionali posti a tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), nonché in conformità con il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. In particolare, la Corte di Cassazione, in un primo momento (cfr., Cass. civ., sez.un., 24 luglio 2007, n. 16293 e 26 luglio 2007, n. 16428), ha ritenuto che ai fini dell'accesso alla giurisdizione tributaria dovessero essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, “ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito "bonario" a versare quanto dovuto”. Successivamente, la stessa Corte, visti i riverberi pratici di tali conclusioni, sia per il contribuente (che si vedeva obbligato ad impugnare qualsivoglia comunicazione) che per gli uffici, ha rivisto la propria posizione, optando per una soluzione più “moderata”, espressa nella sentenza 8 ottobre 2007, n. 21045; in tale pronuncia è stata, infatti, individuata una nuova categoria di atti “facoltativamente” impugnabili, la cui mancata impugnativa non comporta di fatto alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla cristallizzazione della pretesa, successivamente reiterata nella forma autoritativa propria dell'atto impositivo tipico, ricompreso nell'elenco dell'art. 19 cit.
Tale orientamento si è così consolidato e la Corte si è più volte espressa, in via generale, per l'impugnabilità, dinanzi al giudice tributario, di tutti gli atti adottati dall'ente impositore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria (così da generare l'interesse ad agire di cui all' art. 100 c.p.c.), senza necessità che gli stessi si vestano della forma autoritativa di uno degli atti tipizzati dall'art. 19 (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. un., 18 febbraio 2014, n. 3773). Fermo restando che al contribuente deve riconoscersi la mera “facoltà”, e non l'”onere” di ricorrere (cfr. Cass. civ., sez. trib., 11 febbraio 2015, n. 2616).
Alla luce di queste pronunce e del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità si tende pertanto a distinguere tra:
Alla luce di queste distinzioni si propone, dunque, di seguito, qualche breve cenno (senza alcuno scopo di esaustività e in via meramente esemplificativa) in relazione a talune categorie di atti fatti rientrare, dalla prassi e dalla giurisprudenza, tra quelli autonomamente impugnabili e assimilabili agli atti tipici, ovvero tra atti impugnabili solo in via facoltativa. Atti autonomamente impugnabili: i dinieghi
Coerentemente con quanto rilevato poc'anzi, gli unici dinieghi ritenuti autonomamente impugnabili, dinanzi al giudice tributario, sono quelli specificamente individuati dall'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Sono pertanto ritenuti impugnabili, ad esempio, il diniego di iscrizione all'anagrafe delle ONLUS (cfr. Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2010, n. 1625), il diniego di rateizzazione del debito tributario iscritto a ruolo (Cass. civ., sez. un., 14 marzo 2011, n. 5928), ovvero la revoca di accertamento con adesione ritenuto inefficace o inesistente.
Secondo la giurisprudenza, rientrerebbe poi, nel novero degli atti impugnabili (in via interpretativa), anche il diniego di autotutela, laddove:
Il giudice può, tuttavia, limitarsi a controllare che l'Ufficio abbia correttamente esercitato il potere (cfr. Cass. civ., sez. trib., 20 novembre 2015, n. 23765; CTP La Spezia, sez. II, 14 ottobre 2015, n. 1094) e non già la fondatezza della pretesa tributaria (Cass. civ., sez. trib., 30 ottobre 2015 n. 22253).
Il diniego tacito di autotutela, invece, non è ritenuto riconducibile all'art. 19 in commento e non dovrebbe essere, quindi, impugnabile se non in via differita (ovvero congiuntamente all'atto successivo, quale può essere l'iscrizione a ruolo). Ciò, coerentemente con la regola generale per cui gli unici dinieghi taciti impugnabili sarebbero quelli susseguenti all'istanza di rimborso.
Quanto poi alle risposte negative rese dall'Amministrazione finanziaria in sede di interpello, fino a poco tempo fa era condivisa soluzione della non impugnabilità, fatta eccezione delle sole risposte negative correlate ad interpelli disapplicativi (di norme tributarie antielusive) in attesa dell'emanazione dell'atto impositivo (Cass. civ., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 17010). L'art. 6, D.Lgs. n. 156 del 2015 è però intervenuto sul punto prevedendo che le risposte agli interpelli non siano mai autonomamente impugnabili. Tuttavia, con riferimento ad interpelli c.d. disapplicativi (non più obbligatori), il contribuente può far valere eventuali doglianze, riferibili alla risposta ricevuta, in sede di ricorso avverso il successivo ed eventuale atto impositivo. Gli atti facoltativamente impugnabili
Come già accennato, la giurisprudenza, specie quella di legittimità, ha da tempo sostenuto l'impugnabilità, da parte del contribuente, di atti diversi da quelli indicati dall'art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, laddove risultino espressivi di una pretesa tributaria ormai definita. Tale ”impugnabilità” è stata (nel più dei casi) inquadrata come meramente facoltativa, e non già obbligatoria, sicché la sua omissione non determina, in via di principio, alcuna preclusione in ordine alla possibilità di elevare ricorso avverso l'atto successivo, manifestazione della medesima pretesa tributaria, riconducibile al perimetro tratteggiato dall'art. 19 cit. (cfr. Cass. civ., sez. trib., 19 agosto 2015, n. 16952; id. 11 febbraio 2015, n. 2616; n. 4513/2009 e n. 21045/2007).
Sulla scorta di tali argomenti è stata, quindi, riconosciuta, sebbene in via giurisprudenziale, l'impugnabilità di atti quali l'avviso bonario, emesso a seguito di controllo formale ex art. 36-ter, D.P.R. n. 600 del 1973 (Cass. civ., sez. VI-T, ord. 28 luglio 2015, n. 15957), assimilato all'atto emesso a quello di controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. Cass. civ., sez. VI-T, 28 novembre 2014, n. 25297). Anche l'impugnazione di tali atti è stata, però, ritenuta meramente facoltativa (cfr. sentenza 11 febbraio 2015, n. 2616), non determinando l'omessa impugnativa il consolidamento della pretesa, reiterata, successivamente, in uno degli atti tipici previsti dall'art. 19 (ovvero nella cartella).
È poi da più parti sostenuta l'impugnabilità (sempre in via facoltativa) della comunicazione preventiva di fermo e di ipoteca per crediti tributati (per vizi di merito e formali) entro 60 giorni dalla relativa notifica, nonché dell'atto di variazione della categoria TARSU (cfr. Cass. civ., sez. trib., 19 agosto 2015, n. 16952), notificato prima dell'emissione del successivo avviso di pagamento. Il comma 3 dell'art. 19 prevede, da ultimo, una significativa deroga alla regola per cui gli atti (indicati al comma 1) possono essere impugnati unicamente per vizi propri: nel caso in cui sia omessa la notificazione dell'atto (autonomamente impugnabile) precedente a quello tramite cui il contribuente viene a conoscenza della pretesa, è infatti espressamente prevista la possibilità di far valere i vizi dell'atto non notificato all'interno dell'azione proposta avverso l'atto successivo. Tuttavia la giurisprudenza anche su questo punto è andata oltre, prevedendo, in taluni casi, la nullità dell'atto successivo in caso di omessa notifica dell'atto precedente presupposto (cfr. Cass. civ., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16412; Cass. civ., sez. trib., 15 ottobre 2014, n. 21765).
Riagganciandosi, poi, alla lettera del citato comma 3, la Corte di Cassazione è giunta peraltro ad affermare l'impugnabilità dell'estratto di ruolo, o meglio, di riflesso, l'impugnabilità della cartella che non sia stata notificata e delle cui esistenza il contribuente sia venuto a conoscenza tramite l'estratto di ruolo (Cass. civ., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704).
La Corte, infatti, pur ammettendo l'irrilevanza dell'estratto di ruolo (costituendo il medesimo un mero “elaborato informatico formato dall'esattore”; cfr. CdS, sez. VI, 6 agosto 2014, n. 4209), inidoneo,di per sé, a integrare una provocatio ad opponendum, ha riconosciuto la possibile esistenza di un interesse ad impugnare il “contenuto” del medesimo, ovvero gli atti ivi indicati e riportati (i.e., l'iscrizione a ruolo e, quindi, la cartella). In altre parole, la Corte è giunta ad affermare l'impugnabilità dell'atto non validamente notificato unitamente ad atto successivo non rientrante, peraltro, nel novero degli atti di cui al comma 1, art. 19, D.Lgs. n. 546/1992. In conclusione
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sopra brevemente sintetizzato, è possibile svolgere alcune riflessioni.
Da un lato, infatti, può ritenersi apprezzabile il ruolo suppletivo svolto dalla giurisprudenza che, consapevole della costante evoluzione del modello di riferimento (e della progressiva diversificazione degli atti potenzialmente lesivi della sfera giuridica del contribuente), ha tentato di dare una lettura costituzionalmente orientata delle norme in commento, offrendo copertura giurisdizionale anche ad atti diversi da quelli tassativamente indicati, rispetto ai quali risulterebbe iniquo inibire o rimandare la relativa tutela giurisdizionale. D'altro canto, però, tale lettura “estensiva” della norma non può tradursi in un'estensione acritica degli atti impugnabili, tale da implicare, di fatto, uno svuotamento delle disposizioni recate dall'art. 19, consentendo un accesso indiscriminato alla tutela giurisdizionale.
Nel silenzio, sul punto, del D.Lgs. n. 156/2015 (c.d. riforma del contenzioso tributario) si rende auspicabile un pronto intervento normativo che, potenzialmente, potrebbe concretarsi nell'ultimazione dell'iter di approvazione del codice del processo tributario contenente, all'art. 43, un'elencazione degli atti impugnabili, più precisamente individuati “tenuto conto delle modificazioni normative sopravvenute e degli orientamenti espressi a livello interpretativo da parte della Suprema Corte” (Relazione di accompagnamento al disegno di legge comunicato alla Presidenza del Senato il 1° agosto 2013).
Ciò, in un'ottica di predeterminazione normativa degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, trasferendo sul legislatore, e non già sul giudice tributario, l'onere di individuare e aggiornare il novero degli atti meritevoli di tutela giurisdizionale. |