Riconoscimento delle sentenze straniere

Rita Russo
29 Agosto 2017

La tradizionale procedura della delibazione delle sentenze straniere è stata, negli anni, definitivamente superata, sia dalla legge di diritto internazionale privato...
Inquadramento

La tradizionale procedura della delibazione delle sentenze straniere è stata, negli anni, definitivamente superata, sia dalla legge di diritto internazionale privato che, per i rapporti interni all'UE, al diritto uniforme europeo. Oggi è definitivamente affermato il principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere in materia civile e commerciale, al fine di realizzare una armonica regolamentazione nello spazio dei diritti che le persone acquisiscono in un determinato paese e che non possono venir meno quando le persone devono spostarsi in un altro paese. Ciò vale a maggior ragione nello comune casa europea che costituisce uno spazio «senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali»: in definitiva un luogo d'esercizio di libertà fondamentali per l'individuo. Per questa ragione il diritto uniforme europeo stabilisce l'equivalenza tra titoli esecutivi di Stati membri, in virtù del principio di reciproca fiducia che è alla base del riconoscimento della esecutività delle decisioni in ogni Stato membro.

La certezza delle situazioni giuridiche nello spazio

Nell'ordinamento italiano vige il principio del riconoscimento automatico della sentenza straniera o di un provvedimento ad essa equivalente secondo quanto stabilito negli artt. 64 ss. l. 31 maggio 1995, n. 218 di riforma di diritto internazionale privato (legge d.i.p.).

La l. n. 218/1995 ha infatti abrogato gli artt. 796 ss. c.p.c. che oggi si applicano soltanto al giudizio di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, perchè legge d.i.p. fa salva l'applicazione delle Convenzioni internazionali già in vigore per l'Italia, e quindi anche del Concordato con la Santa Sede del 1929, come modificato dall'Accordo del 18 febbraio 1984 ratificato con l. 25 marzo 1985 n. 121.

I provvedimenti giudiziali di cui si chiede il riconoscimento di efficacia in Italia possono essere adottati in uno Stato estero in base ad un diritto materiale diverso da quello che avrebbe potuto applicare il Giudice italiano. Tuttavia la decisione straniera è ugualmente riconosciuta come strumento di regolamentazione della fattispecie al fine di garantire la certezza dei rapporti giuridici. E' evidente che ciò comporta una compressione della funzione giurisdizionale del paese in cui viene richiesto il riconoscimento: per tale ragione, al fine di realizzare un equilibrio tra certezza dei diritti e imperatività delle norme interne fondamentali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 64 e 67 della legge d.i.p., il diritto italiano limita il riconoscimento automatico delle sentenze straniere al rispetto di determinate condizioni ed ai soli effetti relativi all'accertamento del diritto contenuto nel titolo, mentre ai fini della esecuzione forzata è necessaria l'autorizzazione preventiva del giudice nazionale.

Dal principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere discende la presunzione di efficacia che accompagna la decisione straniera, di modo che le condizioni ostative vanno intese alla stregua di eccezioni da interpretare in senso restrittivo.

Le condizioni del riconoscimento

Le condizioni del riconoscimento automatico e cioè senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, sono esplicitate dall'art. 64 della legge d.i.p..

In primo luogo la competenza del giudice straniero, che deve sussistere secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano; altra condizione è il rispetto delle garanzie processuali fondamentali ed in specie dei diritti essenziali di difesa. Si tratta del c.d. "ordine pubblico processuale" (concetto diverso dall'ordine pubblico materiale, di cui infra) principio in virtù del quale il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento relativi al procedimento formativo della decisione: regolarità formale dell'atto di notificazione in base all'ordinamento d'origine, costituzione delle parti, contumacia legalmente dichiarata.

La giurisprudenza nazionale afferma che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo. Ad esempio, non può considerarsi contraria all'ordine pubblico italiano la sentenza resa all'esito di un procedimento nel quale le modalità di notificazione o comunicazione dell'atto introduttivo del giudizio, ancorché difformi da quelle previste dalla legge italiana, siano state effettuate nel rispetto della normativa straniera e non abbiano comportato la violazione dei diritti fondamentali della difesa (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2006, n. 16978). Particolare importanza ha invece il perseguimento dello scopo e cioè che l'atto, comunque notificato, entri nella sfera di conoscibilità del destinatario.

Altro significativo richiamo è quello alla condizione di “giudicato”. Taluni ordinamenti stranieri ignorano la stessa nozione di giudicato (formale o sostanziale) Questa condizione va intesa pertanto nel senso che le sentenze pronunciate dal giudice straniero devono essere definitive, e cioè tendenzialmente immutabili, in modo da considerarle equivalenti al giudicato nazionale, tenendo conto che taluni provvedimenti, segnatamente quelli in tema di affidamento dei minori e delle condizioni economiche del divorzio passano in giudicato rebus sic stantibus.

Gli artt. 65 e 66 della legge d.i.p. per il riconoscimento degli altri provvedimenti che non rivestono la forma di sentenza e segnatamente quelli di volontaria giurisdizione (art. 66), più sinteticamente dispongono che abbiano effetto in Italia i provvedimenti pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme della legge d.i.p. italiana, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa.

La reciproca fiducia all'interno dell'UE

All'interno dell'Unione Europea si è adottato un sistema ancora più semplificato tanto delle condizioni del riconoscimento che delle procedure per l'efficacia di decisioni straniere; il provvedimento giudiziale di un altro paese europeo ha quindi una maggiore capacità di libera circolazione, vigendo tra gli Stati membri il principio della reciproca fiducia sull'esercizio della funzione giurisdizionale. Per incrementare la certezza del diritto nello spazio, lo Stato si vincola con obblighi sul mutuo riconoscimento di sentenze ed altri provvedimenti giudiziari fino a configurare all'interno della UE un vero e proprio "spazio giudiziario" integrato.

Il clima di reciproca fiducia operante all'interno dell'UE rende più blanda la verifica da parte del Giudice richiesto sulla competenza giurisdizionale dell'autorità straniera che ha emanato la sentenza o un provvedimento affine. Il controllo sulla giurisdizione è escluso per i provvedimenti che rientrano nella tipologia del titolo esecutivo europeo.

Anche la verifica sul rispetto dei diritti della difesa presenta alcune differenze. La disciplina uniforme europea considera ostativa al riconoscimento la circostanza che il convenuto sia stato condannato nonostante una notifica irregolare dell'atto di citazione, tale da non consentirgli di preparare le sue difese, eccetto però nel caso in cui egli, pur avendone avuto la possibilità, non abbia impugnato la decisione (così ad esempio il Reg. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari). Pertanto la notifica della decisione al convenuto in tempo utile per l'impugnazione preclude a quest'ultimo, se non ha utilizzato la facoltà di impugnare, di opporsi al riconoscimento. Altre violazioni del principio contraddittorio, che non riguardino la costituzione delle parti, vengono in rilievo solo se costituiscono una violazione "manifesta e smisurata" del contraddittorio.

Orientamenti a confronto

Diritto di difesa

A fini del riconoscimento di una sentenza straniera non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio.

Cass. civ., sez. I,3 settembre 2015, n. 17519

Viola il principio di ordine pubblico processuale, una procedura che, pur rispettosa formalmente delle regole vigenti nel Paese in cui il processo fu celebrato, non risulta nella specie adeguata a consentire che l'atto introduttivo del giudizio entri nella sfera di conoscibilità dei destinatari dell'atto.

Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2013, n. 17463

ll giudice dello Stato richiesto del riconoscimento della decisione adottata in un altro Stato membro può tenere conto, ai fini di valutare la contrarietà all'ordine pubblico, del fatto che il giudice dello Stato di origine ha statuito sulle domande del ricorrente senza sentire il convenuto, che si era regolarmente costituito, qualora, considerate tutte le circostanze, ritenga che tale provvedimento di esclusione abbia costituito una violazione manifesta e smisurata del diritto del convenuto al contraddittorio.

Corte Giustizia UE, sez. I, 02 aprile 2009 (causa C-394/07)

La compatibilità con l'ordine pubblico

La compatibilità con l'ordine pubblico è un limite presente tanto nel diritto comune come nel diritto dell'UE: questo però consente l'impiego del criterio solo in presenza di una violazione manifesta dell'ordine pubblico e comunque lo esclude del tutto per i provvedimenti che configurano un titolo esecutivo europeo. Per la Corte di Giustizia (Corte Giustizia UE, 11 maggio 2000, C-38/98), il giudice di uno Stato membro vi può legittimamente fare riferimento per impedire l'efficacia nel foro di una decisione assunta in un altro Stato membro, contenente disposizioni contrarie a principi fondamentali del diritto dell'UE.

Ai fini del riconoscimento l'ordine pubblico non si identifica con le semplici norme imperative, bensì con i principi fondamentali che caratterizzano l'ordinamento giuridico. La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., 30 settembre 2016, n. 19599) ha affermato che il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico dell'atto straniero, deve verificare non se l'atto straniero sia in contrasto con le norme imperative interne, ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, ricavabili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché dalla CEDU. Non deve quindi farsi riferimento esclusivamente all'ordinamento giuridico nazionale, ma all'ordine pubblico internazionale che consiste nel complesso dei principi cardine dell'ordinamento giuridico (Cass. civ., sez. I, 15 aprile 2015, n. 7613).

A tal fine, si devono considerare non solo i principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche valutare il modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico (Cass. civ. sez. un. del 08 maggio 2019 n. 12193).

Orientamenti a confronto

Ordine pubblico - Kafalah

Il vincolo di protezione materiale ed affettiva derivante dalla kafalah non costituisce presupposto idoneo a giustificare l'ingresso in Italia di un minore straniero affidato ad un cittadino italiano.

Cass. civ., sez. I, 1 marzo 2010, n. 4868

Deve essere dichiarata inammissibile la domanda, proposta ai sensi degli artt. 66 e 67, l. 31 maggio 1995, n. 218, di riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in kafalah di un minore in stato d'abbandono, ad una coppia di coniugi italiana, emessa dal Tribunale di prima istanza di Casablanca (in Marocco), atteso che l'inserimento di un minore straniero, in stato d'abbandono, in una famiglia italiana, può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina dell'adozione internazionale regolata dalle procedure richiamate dagli artt. 29 e 36, l. 4 maggio 1983, n. 184

Cass. civ., sez. I, 23 settembre 2011, n. 19450

Non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato da giudice straniero nel caso in cui il minore sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito.

Cass. civ., S.U., 16 settembre 2013, n. 21108

L'istituto della kafalah negoziale, quando questa sia assoggettata ad un controllo della pubblica Autorità sulla sua conformità all'interesse superiore e poziore del minore, non contrasta con l'ordine pubblico italiano. Il minore straniero, affidato ad un cittadino italiano con provvedimento di kafalah, può rientrare tra gli "altri familiari" di cui all'art. 3, comma 2, d.lg. 6 febbraio 2007, n. 30, per i quali il cittadino italiano può richiedere il ricongiungimento familiare: la cittadinanza italiana dell'affidatario di un minore con provvedimento di kafalah non è, invero, una condizione ostativa al nulla osta all'ingresso del minore nel nostro territorio nazionale per ricongiungimento familiare.

Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2015, n. 1843

Ai fini del riconoscimento di un provvedimento straniero di omologazione della kafalah, si applica la procedura generale stabilita dagli artt. 6 ss., l. 31 maggio 1995, n. 218, e non quella prevista per le adozioni internazionali.

Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2015, n. 1843

Il riconoscimento delle sentenze di condanna ai danni punitivi

I punitive damages sono un istituto giuridico tipico dei paesi di common law, in particolare degli USA, in virtù del quale il danneggiante è condannato a pagare al danneggiato una somma di denaro, spesso di notevole entità, non solo per compensare l'offeso, ma anche quale punizione per l'offensore, con finalità deterrente. L'orientamento tradizionale espresso dalla Corte di Cassazione è contrario alla riconoscibilità delle sentenze straniere di condanna al pagamento di somme a titolo di danni punitivi (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183). Non solo, in alcune pronunce si è affermata la sufficienza del dubbio sull'esistenza di una condanna ai punitive damages, per giustificare la contrarietà all'ordine pubblico della decisione (in tal senso Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1781). In senso contrario si è però espressa la Corte d'appello di Venezia (sent. 3 gennaio 2014) la quale ha ritenuto che una sentenza emessa da un giudice statunitense non costituisse condanna ai danni puntivi, sebbene non fossero state esplicitate le regole legali e i criteri applicati dal giudice americano nella liquidazione delle diverse voci di danno e nonostante che l'importo liquidato fosse elevato. Proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia citata, la prima sezione della Corte di legittimità, con l'ord. 16 maggio 2016, n. 9978 ha rimesso al primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, la questione diparticolare importanza, sulla riconoscibilità delle sentenze straniere che abbiano comminato il risarcimento dei danni punitivi.

Osserva la Corte che nel nostro ordinamento il concetto di ordine pubblico è stato interpretato in senso evolutivo e che sono già stati introdotti, in una prospettiva di dinamicità e polifunzionalità del sistema della responsabilità civile, nonché nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale, rimedi risarcitori con funzione non riparatoria ma sostanzialmente sanzionatoria e tra questi le pronunce di condanna al risarcimento dei danni ex art. 709-ter c.p.c. «la cui natura assume sembianze punitive».

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate con sent. 5 luglio 2017 n. 16601, adottando una posizione abbastanza simile a quella già espressa in Francia un sistema di civil law molto vicino al nostro, dove la Cour de cassation (7 novembre 2012, n. 11-23871, e 1 dicembre 2010 n. 90-13303) ha ritenuto i danni punitivi contrari all'ordine pubblico solo se liquidati in misura realmente eccessiva. Nella sentenza del 5 luglio 2017 le Sezioni Unite hanno affermato che non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto dei risarcimenti punitivi, a condizione che la sentenza sia stata resa su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi. Ciò in quanto, nel nostro stesso ordinamento, la responsabilità civile non ha solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, ma anche funzione di deterrenza e sanzionatoria del responsabile civile.

Casistica

Ripudio unilaterale

È contrario all'ordine pubblico internazionale l'art. 1133 del codice civile iraniano, il quale, consentendo al marito di divorziare secondo il suo arbitrio senza che la moglie possa paralizzare la volontà di quest'ultimo, prevede un vero e proprio ripudio unilaterale (App. Milano 17 dicembre 1991). La decisione di ripudio emanata all'estero da un'autorità religiosa (nella specie il tribunale sciaraitico palestinese), seppure equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta all'interno dell'ordinamento italiano, sotto il duplice profilo dell'ordine pubblico sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna) e dell'ordine pubblico processuale (mancanza della parità difensiva e di un effettivo contraddittorio, oltre che di ogni accertamento sulla definitiva cessazione della comunione di vita tra i coniugi) (Cass. civ. sez. I del 07 agosto 2020 n. 16804)

Scioglimento del matrimonio

Non può essere ritenuta contraria all'ordine pubblico italiano una sentenza straniera di divorzio resa fra cittadini italiani, in applicazione di un diritto straniero, per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana; costituisce profilo di ordine pubblico solo la necessità che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato all'esito di un rigoroso accertamento dell'irrimediabile disfacimento della comunità matrimoniale (Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10378).

Matrimonio telematico

È da ritenersi compatibile con l'ordine pubblico interno italiano il matrimonio celebrato in Pakistan da una cittadina italiana e da un cittadino pachistano e contratto, secondo la legge straniera, in forma telematica e, quindi, senza la contestuale presenza dei nubendi (Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2016, n. 15343).

Stepchild adoption

Non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all'ordine pubblico internazionale un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso (App. Milano, sez. fam., 1 dicembre 2015, n. 2543).

Adozione da parte di coppia omosessuale

In tema di efficacia nell'ordinamento interno di atti adottati all'estero, non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo "status" genitoriale secondo il modello dell'adozione piena, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale, ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione (Cass. sez. un. del 31 marzo 2021 n. 9006)

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