Esecuzione: pignoramento presso terzi
05 Settembre 2016
Inquadramento
L'espropriazione di crediti (disciplinata a partire dall'art. 543 c.p.c. e, quanto alla competenza, dall'art. 26 bis c.p.c.) ha ad oggetto crediti del debitore esecutato verso terzi. Evitando il meccanismo di liquidazione (che si realizza tramite la vendita forzata), essa costituisce la forma di espropriazione di regola più efficace ed immediata ed è connotata da significative peculiarità, atteso il coinvolgimento di un soggetto estraneo al rapporto che si intende attuare. Esaminata, sia pur brevemente, la posizione del terzo, saranno qui approfondite le norme che maggiormente assumono rilievo quanto alla realizzazione dei crediti lato sensu alimentari. La posizione del terzo
Nell'espropriazione presso terzi il terzo pignorato (c.d. debitor debitoris) è soggetto estraneo all'esecuzione nella quale è tuttavia coinvolto al fine di assicurare la realizzazione del credito del procedente su beni (per lo più crediti) dei quali egli è debitore nei confronti dell'esecutato. Secondo autorevole dottrina (A. M. Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2016, 956 ss.), in conseguenza delle riforme succedutesi a partire dal 2012, il terzo non è parte in senso tecnico del processo di esecuzione (non essendo nei propri confronti proposta alcuna domanda), pur avendo un obbligo (e non più un mero onere) di collaborazione la cui violazione è sanzionata ai sensi dell'art. 548 c.p.c.. Ai sensi di tale norma, infatti, nel caso di mancata dichiarazione (o di rifiuto di rendere la dichiarazione) il credito pignorato si considera non contestato (ai soli fini del procedimento esecutivo e della successiva esecuzione fondata sull'ordinanza di assegnazione). La l. n. 132/2015 ha peraltro precisato che la non contestazione opera solo ove l'allegazione del creditore consenta di identificare il credito. È quindi molto importante che il pignoramento rechi un'indicazione puntuale dell'entità del credito o, quanto meno, di elementi alla stregua dei quali addivenire alla quantificazione dello stesso (indicando, ad esempio, nel frequente caso di pignoramento di stipendi, il contratto collettivo e la qualifica del lavoratore-esecutato). In caso contrario, per l'ipotesi di mancata o contestata dichiarazione del terzo, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti ed il terzo, provvede con ordinanza ad accertare (con efficacia limitata al procedimento di esecuzione ed all'esecuzione fondata sul conseguente provvedimento di assegnazione) l'esistenza e l'entità del debito del terzo nei confronti dell'esecutato. Da ultimo va precisato che, pur non essendo parte in senso tecnico dell'esecuzione, il terzo deve partecipare ai giudizi di opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi mediante i quali si contesti la validità o legittimità del pignoramento ogni volta che tali giudizi abbiano ad oggetto questioni che possano comportarne la liberazione dal vincolo derivante dal pignoramento (tra le altre, Cass., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5342). La regola generale per la quale il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740, comma 1, c.c.) subisce alcune deroghe che trovano giustificazione nell'esigenza di tutelare diritti costituzionali di rango primario. Tali deroghe sono oggetto di espresse previsioni di legge (art. 2740, comma 2, c.c.) le quali, in quanto eccezionali (poiché, appunto, in contrasto con la regola generale), non sono suscettibili di interpretazione analogica (tra le altre, Cass., sez. lav., 8 ottobre 1996, n. 8789). L'impignorabilità può essere assoluta ovvero relativa. Nel primo caso è esclusa in modo totale la possibilità di agire in via esecutiva sul bene. Tanto accade, ad esempio, per i «crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza» (art. 545, comma 2, c.p.c.); disposizione sulla quale a breve si tornerà. Assolutamente impignorabili sono, ai sensi dell'art. 2117 c.c., anche i fondi speciali per la previdenza e l'assistenza costituiti dall'imprenditore (anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro) che sono strettamente vincolati agli scopi per i quali sono stati istituiti ed ai quali è definitivamente subordinata la loro disponibilità; tali fondi, secondo la Suprema Corte, non possono essere oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del lavoratore, avendo ad oggetto somme che non fanno più parte del patrimonio di coloro che le hanno versate (Cass., sez. lav., 9 ottobre 2012, n. 17178). Partecipano del regime dell'impignorabilità assoluta, infine, anche le somme dovute (con riferimento al contratto di assicurazione sulla vita - ma Cass., sez. III, 19 luglio 2004, n. 13342 ha ritenuto applicabile la norma anche all'assicurazione contro gli infortuni pur se per le sole indennità dovute per infortunio mortale-) dall'assicuratore al contraente o al beneficiario (art. 1923 c.c.). Peraltro, trovando giustificazione nella natura previdenziale che caratterizza la funzione tipica del contratto di assicurazione sulla vita, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l'impignorabilità operi limitatamente alle somme versate alla naturale cessazione del rapporto (quelle cioè erogate a titolo di reintegrazione del danno provocato dall'evento morte e/o sopravvivenza), non anche a quelle versate a titolo di riscatto esercitato dal debitore poiché in tale caso, venuto meno il contratto di assicurazione sulla vita, cessa ogni funzione previdenziale (Cass., sez. I, 6 febbraio 2015, n. 2256). Nelle ipotesi di impignorabilità relativa, invece, i crediti possono essere oggetto di esecuzione, pur se entro specifici limiti. Tanto accade, ad esempio, con riferimento ai crediti alimentari (per i quali si rinvia a G. Fiengo, Esecuzione: impignorabilità e limiti alla compensazione, in IlFamiliarista.it) o alle somme dovute a titolo di retribuzione o di pensione. Il credito retributivo
Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento possono essere pignorate nella sola misura di un quinto (art. 545, comma 4, c.p.c.) ovvero, ove il creditore sia titolare di un credito alimentare, nella misura (anche superiore al quinto) autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. La norma da ultimo citata, nel richiamare lo “stipendio”, il “salario” ed il “licenziamento”, fa riferimento alle sole somme dovute sulla base di un rapporto di lavoro subordinato. Considerata la segnalata natura eccezionale delle disposizioni (che pongono una deroga al generale principio dell'art. 2740, comma 1, c.c.) dovrebbe ritenersi che le somme corrisposte al lavoratore autonomo o parasubordinato siano aggredibili per l'intero in sede esecutiva. L'esigenza di salvaguardare la fondamentale funzione che la retribuzione assume anche con riferimento a tali categorie di lavoratori ha indotto il Tribunale di Como (ord. 20 novembre 2006) a sollevare, con riferimento al pignoramento degli emolumenti dovuti ad un agente di commercio, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 d.P.R. n. 180/1950 ed 1 d.P.R. n. 895/1950 in relazione agli artt. 3 e 36 Cost.; questione dichiarata inammissibile dalla Consulta con l'ordinanza del 5 novembre 2007, n. 381. Sul punto deve tuttavia segnalarsi come, proprio con riferimento ad un rapporto di agenzia (ricompreso tra quelli di cui all'art. 409, comma 1, n. 3 c.p.c.), la Suprema Corte (Cass., sez. III, 18 gennaio 2012, n. 685) abbia ritenuto operante il limite di pignorabilità del quinto osservando che, per effetto delle modifiche recate dalle leggi nn. 311/2004 e 80/2005, l'art. 1 d.P.R. n. 180/1950 fa ormai riferimento anche agli stipendi ed ai compensi di qualsiasi specie erogati anche dalle aziende private «ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell'opera prestata nei servizi da essi dipendenti», che l'art. 2 del medesimo d.P.R., al n. 2, prevede la pignorabilità nei limiti del quinto delle retribuzioni corrisposte da tutti i soggetti di cui all'art. 1 (comprese, quindi, le aziende private) e che l'art. 52, comma 3, d.P.R. n. 180/1950 stabilisce che i compensi corrisposti ai soggetti titolari dei rapporti di cui all'art. 409, n. 3, c.p.c. con gli enti e le amministrazioni di cui all'art. 1 sono sequestrabili e pignorabili nei limiti di cui all'art. 545 c.p.c. La pignorabilità delle retribuzioni e delle indennità spettanti ai pubblici dipendenti è disciplinata invece dal d.P.R. n. 180/1950 che, all'esito di ripetuti interventi con i quali la Corte costituzionale ha affermato il principio dell'eguaglianza tra lavoratori pubblici e privati quanto all'espropriabilità delle retribuzioni, prevede oggi la pignorabilità delle retribuzioni dei dipendenti pubblici secondo modalità analoghe a quelle previste per i dipendenti privati. L'esecuzione di sequestri e pignoramenti di stipendi, salari e retribuzioni equivalenti nonché di pensioni ed indennità che tengono luogo di pensione si eseguono presso l'organo dell'amministrazione titolare del potere di disporre la spesa (così l'art. 3, d.P.R. 180/1950 come modificato da C. Cost., sent. 10 giugno 1994, n. 231). Per gli impiegati e salariati degli enti, aziende ed imprese indicati nell'art. 1, diversi dalle amministrazioni dello stato, il sequestro e il pignoramento di stipendi, salari e retribuzioni equivalenti si eseguono invece presso l'amministrazione dalla quale gli impiegati e salariati dipendono, in persona del legale rappresentante. Per il medesimo personale, il sequestro ed il pignoramento delle pensioni, delle indennità che tengono luogo di pensione e degli altri assegni di quiescenza si eseguono presso l'amministrazione che conferisce tali assegni in persona del legale rappresentante (art. 4, d.P.R. n. 180/1950). Da ultimo deve segnalarsi come, ai sensi dell'art. 545, comma 5, c.p.c. «Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette». Come osservato in dottrina e giurisprudenza, il simultaneo concorso che consente l'estensione del pignoramento nella misura della metà della retribuzione, riguarda la pluralità delle cause dei crediti, non la pluralità dei crediti stessi (Trib. Rovigo, 5 maggio 1998) e prescinde dall'unicità del processo esecutivo, essendo irrilevante che i creditori agiscano o meno nello stesso procedimento esecutivo o che parte della retribuzione sia già stata assegnata a soddisfacimento futuro di un credito (Cass., sez. III, 23 aprile 2003, n. 6432, relativa all'art. 2, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 che, con riferimento al profilo in esame, reca una disciplina sostanzialmente assimilabile a quella dell'art. 545, comma 5, c.p.c.). Il limite massimo di cui agli artt. 545, comma 5 c.p.c., e 2, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 è destinato ad operare anche in caso di concorso tra cessione volontaria del quinto dello stipendio e successivo pignoramento (Cass., sez. III, 22 aprile 1995, n. 4584). Il credito pensionistico
Al pari di quanto accaduto per le retribuzioni, la Corte costituzionale ha progressivamente assimilato, quanto al regime di pignorabilità, le pensioni spettanti ai dipendenti privati e a quelli pubblici. Il pignoramento delle pensioni è stato tuttavia tradizionalmente caratterizzato da un regime generale di pignorabilità parzialmente difforme rispetto a quello delle retribuzioni. Alla luce dell'art. 38 Cost. la Consulta ha infatti ritenuto assolutamente impignorabile –in via generale- quella parte della pensione che assicura all'avente diritto mezzi adeguati alle esigenze di vita (C. Cost., 23 ottobre 2002, n. 506) e relativamente pignorabile (nella misura prevista dalla legge) la sola parte eccedente quella necessaria ad assicurare le esigenze di vita del pensionato. Il regime di pignorabilità delle pensioni come delineato dalla giurisprudenza costituzionale aveva tuttavia determinato l'insorgere di significative difficoltà (sul punto si veda Cass., sez. III, 7 agosto 2013, n. 18755) con riferimento alla quantificazione della parte del trattamento pensionistico necessario ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita (e, pertanto, assolutamente impignorabile). In assenza di specifici ed analitici parametri normativi idonei a determinare il c.d. “minimo vitale” era infatti rimessa al giudice dell'esecuzione (chiamato ad apprezzare gli elementi del caso concreto, senza necessità di aver riguardo all'importo del trattamento minimo mensile) l'individuazione delle somme idonee ad assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita (Cass., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18225). Tali difficoltà sono ormai superate per effetto dell'introduzione del comma 7 dell'art. 545 c.p.c. ad opera del d.l.n. 83/2015 (convertito nella l. n. 132/2015); comma applicabile limitatamente alle procedure esecutive iniziate successivamente all'entrata in vigore del decreto n. 83 (27 giugno 2015), cioè limitatamente alle procedure instaurate per effetto di pignoramenti notificati successivamente all'entrata in vigore del decreto. L'art. 545, comma 7, c.p.c. prevede infatti che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità spettanti in luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, mentre la parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dai commi 3, 4 e 5 dell'art. 545 c.p.c. o da disposizioni di legge speciale. I crediti per prestazioni assistenziali
Presentano caratteri in taluni casi riconducibili, almeno prima facie, alle erogazioni pensionistiche alcune prestazioni lato sensu assistenziali. Per esse è fondamentale verificare la relativa riconducibilità all'art. 545, comma 2, c.p.c. (che, come visto, pone un regime di impignorabilità assoluta il quale si giustifica in considerazione della natura vitale del credito, destinato a soddisfare stati di bisogno molto spesso muniti di intensità equivalente o superiore a quelli puramente alimentari di cui al co. 1 della medesima disposizione), ovvero alle pensioni (con conseguente applicazione del regime di pignorabilità visto al paragrafo che precede). In dottrina (A. Crivelli, Esecuzione forzata e processo esecutivo, II, Torino, 2012, 581 ss.) si è sostenuto che il fulcro dell'art. 545, comma 2, c.p.c. stia nel richiamo al “sussidio”, tale essendo l'elargizione fatta di regola da un ente pubblico o di beneficenza senza alcuna contropartita (neppure assicurativa) a persona bisognosa o indigente (in tale prospettiva la norma non sarebbe quindi applicabile alle retribuzioni dovute ai lavoratori in corso di malattia, infortunio o maternità); in termini, Trib. Monza, 4 febbraio 2004 che, nell'escludere la riconducibilità alla norma in esame dell'emolumento previsto all'art. 11, l. n. 431/1998, ha affermato come i crediti cui ha riguardo l'art. 545, comma 2, c.p.c. devono ritenersi assimilabili, almeno a parte debitoris, a quelli alimentari (avendo origine nello stato di bisogno e nell'impossibilità di provvedere al proprio mantenimento), dai quali si distinguono perché l'erogante non è un parente, ma un ente pubblico. La giurisprudenza, nel verificare l'applicabilità dell'art. 545, comma 2, c.p.c., ha, spesso, individuato quale criterio distintivo quello (in verità non sempre agevolmente delineabile) della natura previdenziale o assistenziale dell'erogazione, ritenendo applicabile la norma da ultimo citata solo in caso di prestazioni assistenziali.
Orientamenti a confronto
Prima del d.l. n. 83/2015 un diffuso orientamento giurisprudenziale (tra le altre, Cass. civ., 9 ottobre 2012, n. 17178) riteneva che il limite alla pignorabilità di retribuzioni e pensioni non operasse in caso di pignoramento notificato non al datore di lavoro (o all'ente erogante la pensione), ma all'istituto di credito con il quale l'esecutato intratteneva il rapporto di conto corrente sul quale erano accreditate le retribuzioni e le pensioni percepite; ciò perché, una volta erogati, stipendi e pensioni si confondono con il patrimonio del percettore. Il legislatore del 2015, con il d.l.n. 83, è intervenuto al fine di razionalizzare il sistema ed ha introdotto, all'art. 545 c.p.c. il comma 8 alla luce del quale occorre oggi (quanto al regime di pignorabilità delle somme depositate su conto corrente) distinguere le somme depositate prima del pignoramento da quelle depositate successivamente allo stesso. Nel primo caso, gli stipendi, le altre indennità (comprese quelle dovute per licenziamento) e le pensioni accreditate su conto bancario o postale sono pignorabili nella sola misura (fissata a forfait, stante la difficoltà di distinguere la natura delle somme sino a quel momento depositate) eccedente il triplo dell'assegno sociale. Le retribuzioni o pensioni accreditate alla data del pignoramento o successivamente sono invece pignorabili nei limiti previsti dall'art. 545, commi 3, 4, 5 e 7 o delle leggi speciali vigenti.
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