Domicilio e elezione di domicilioFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 18
10 Gennaio 2016
Inquadramento
Gli artt. 18 e 19 c.p.c. stabiliscono i principi generali per determinare la competenza per territorio, ossia il luogo in cui il processo deve essere incardinato. Si tratta, in particolare, dei c.d. «fori generali» rispettivamente delle persone fisiche e delle persone giuridiche ed associazioni non riconosciute, che hanno competenza rispetto ad ogni controversia salve specifiche disposizioni di legge che istituiscano un foro diverso, detto, per l'appunto, speciale in contrapposizione al foro generale.
Rispetto alle persone fisiche, la norma attribuisce la competenza al giudice del luogo dove il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se essi sono sconosciuti, a quello del luogo della dimora; se poi il convenuto non ha nel territorio della repubblica né residenza né domicilio né dimora, ovvero quest'ultima è sconosciuta, la competenza spetta al giudice del luogo di residenza dell'attore. Ne deriva che l' art. 18 c.p.c. pone due fori alternativi, che l'attore può scegliere liberamente e che sono individuati nella residenza e nel domicilio , per le cui nozioni bisogna far riferimento alla disciplina codicistica sostanziale. Invece la competenza determinata dalla dimora è consentita solo in via sussidiaria, allorché sia impossibile, con ordinari mezzi di ricerca, reperire la residenza o il domicilio del convenuto; a questa ipotesi è equiparata quella del convenuto residente all'estero.
La competenza del giudice del luogo di residenza dell'attore è invece del tutto residuale, ossia si verifica quando il domicilio, la residenza e la dimora del convenuto si trovino all'estero, o quando non sia possibile individuarli: vale, tuttavia, la sola residenza dell'attore e non sono nemmeno menzionati gli altri criteri del domicilio e della dimora validi, invece, per il convenuto.
Il criterio del foro del convenuto vale infine anche per le controversie promosse contro il pubblico ministero, in ordine alle quali è competente il giudice del luogo in cui si trova l'ufficio del pubblico ministero passivamente legittimato nella fattispecie (Cass. civ., 27 luglio 1978, n. 3769). I c.d. fori esclusivi sono invece quelli in cui il convenuto deve essere ivi citato con preferenza rispetto agli altri fori; essi non hanno, tendenzialmente, vocazione per l'inderogabilità, a meno che ciò non sia espressamente previsto. Questa interpretazione si fonda sul principio che la riserva contenuta negli artt. 18, sul foro generale delle persone fisiche, e 19 sul foro generale delle persone giuridiche, «salvo che la legge disponga altrimenti», fa riferimento solo alle norme cogenti, ossia all' art. 28 c.p.c. che pone, rispetto alla competenza territoriale, delle specifiche ipotesi di inderogabilità.
Competenza del giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio
Il legislatore, tra i due soggetti del processo, attore e convenuto, rispetto ai quali si poteva determinare il giudice competente, ha scelto il convenuto perché, visto che è l'attore ad incardinare il processo, il convenuto deve essere privilegiato almeno nella determinazione della sedes processuale. Il convenuto è colui che, all'interno delle parti originarie del processo, ha un reale interesse a contraddire alla domanda attorea. Non rilevano, pertanto, gli intervenienti, siano essi volontari (Cass. civ., 3 aprile 1978, n. 1501), siano essi coatti (Cass. civ., 14 maggio 1979, n. 2794).
In particolare, a norma del comma 1 dell' art. 18 c.p.c. , l'attore può liberamente scegliere, tra il foro della residenza o il foro del domicilio del convenuto: i due fori concorrono nel senso pieno del termine, data la totale libertà di scelta dell'attore verso l'uno o l'altro qualora non coincidenti. Foro sussidiario è invece la dimora del convenuto che residua unicamente laddove siano sconosciuti la residenza o il domicilio, ovvero, a norma del secondo comma, qualora il convenuto risieda all'estero. L' art. 43, comma 2, c.c. individua la residenza nel luogo in cui il soggetto ha la dimora abituale; quindi, a norma della previsione in parola, l'individuazione della residenza, come situazione di fatto, si determina accertando i luoghi in cui si svolge la vita dell'individuo.
La giurisprudenza afferma spesso che la residenza deve essere accertata come fatto e che, al fine di tale accertamento, le risultanze anagrafiche abbiano solo un valore presuntivo (Cass. civ., 8 settembre 1977, n. 3912; Cass. civ., 20 settembre 1979, n. 4829; Cass. civ., 6 luglio 1983, n. 4525;
Cass.
civ.,
8 novembre 1989, n. 4705
;
Cass.
civ.,
7 febbraio 1992, n. 1374
;
Cass.
civ.,
4 aprile 1997, n. 2931
)
, sicché contro di esse il giudice potrà ammettere tutti i mezzi di prova che tendono a dimostrare l'abitualità della dimora in un altro luogo (Cass. civ., 20 settembre 1979, n. 4829). Si è così sostenuto che il compimento delle formalità prescritte dagli artt. 44 e 31 disp. att. c.c. non basta a fornire la prova del cambiamento di residenza, ma occorre dimostrare anche a mezzo di presunzioni, l'effettiva attuazione del proposito di trasferire altrove la propria residenza e provare quindi l'effettiva permanenza della persona nella detta località (Cass. civ., 9 giugno 1959, n. 1725) e, comunque, il suo trasferimento, se non denunciato nei modi prescritti dalla legge, non e` opponibile ai terzi di buona fede (Cass. civ., 10 giugno 1982, n. 3508; Cass. civ, 12 ottobre 1989, n. 4078 ).
L' art. 43 c.c. stabilisce che il domicilio della persona fisica è il luogo in cui essa ha posto la sede principale dei suoi affari ed interessi. La norma determina, pertanto, un concetto autonomo del domicilio rispetto a quello della residenza. Ovviamente i problemi più rilevanti sono determinati dallo stabilire cosa intenda il legislatore con il termine «sede principale». Secondo la giurisprudenza il domicilio, pur presupponendo una situazione di fatto, consiste soprattutto in una situazione giuridica, caratterizzata dalla volontà della persona di stabilire in quel luogo la sede generale delle sue relazioni. Pertanto, a differenza della residenza che è soltanto una res facti, il domicilio è caratterizzato dall'elemento soggettivo e cioè dall'intenzione di costituire e mantenere in un determinato luogo il centro principale delle proprie relazioni familiari, sociali morali e giuridiche (Cass. civ., 21 febbraio 1970, n. 408; Cass. civ., 8 marzo 2005, n. 5006 ). Esso va determinato, pertanto, usando quegli elementi di fatto che in modo diretto o indiretto attestino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona (Cass. civ., 5 maggio 1980, n. 2936).
Per la definizione degli “interessi” si è detto che deve ricomprendere diverse situazione, tra cui i rapporti familiari e gli interessi di carattere morale, e non deve essere ristretta alle mere relazioni economiche (Cass. civ., 14 gennaio 1965, n. 72). L' art. 44 c.c. stabilisce la presunzione di trasferimento di domicilio ove non sia stata fatta una dichiarazione diversa nell'atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza ( Cass. civ., Sez. Lav., 15 marzo 2005 n. 5006 , cit.), sicché nel caso del terzo di buona fede, il terzo stesso può dimostrare il contrario (Cass. civ., 21 marzo 1958, n. 96). Competenza residuale del giudice del luogo in cui il convenuto ha la dimora
Si è precisato come il codice civile non faccia cenno alla dimora né la disciplini espressamente e, pur tuttavia, la presupponga, laddove qualifica la dimora abituale come residenza della persona fisica. Sulla base di un procedimento di astrazione che parte dalla previsione dell' art. 43 c.c. la dottrina (Candian, Domicilio, 120 e ss.) definisce la dimora come il luogo in cui il soggetto permane non abitualmente. Peraltro, che la dimora sia una fattispecie giuridicamente rilevante, è provato proprio dalla norma in commento, che, sia pur in via sussidiaria, conferisce alla dimora il criterio di foro generale; altre norme del c.p.c. rilevano nell'attribuire rilevanza giuridica alla dimora, come, ad esempio, gli artt. 138, 139, 143, al cui commento si rinvia. La sua caratteristica principale è che essa necessita unicamente del fatto della presenza del soggetto in un determinato luogo, senza il carattere della consuetudine, perché altrimenti diventerebbe residenza.
La dimora è il primo criterio sussidiario destinato ad operare nel caso in cui la residenza e il domicilio del convenuto siano sconosciuti ovvero siano fuori del territorio dello Stato. Si tratta, in ogni caso, di una semplice res facti, pur se caratterizzata da una pur minima stabilità, sicché non può ravvisarsene la sussistenza nel caso di sosta momentanea o di semplice pernottamento.
Il comma 2 dell' art. 18 c.p.c. prevede che se il convenuto non ha in Italia né residenza né domicilio, né dimora, ovvero se la dimora é sconosciuta, si deve fare riferimento al foro sussidiario della residenza dell'attore ( Cass. civ., 12 settembre 1997, n. 9033 ; Cass. civ., 18 marzo 1994, n. 2596 ): questo foro va individuato nella sede ex art. 46 c.c. ove si tratti di persona giuridica. Con riguardo all'ipotesi di convenuto straniero si è affermato che ai sensi dell'art. 3, comma 2, ultima parte, della l. 31 maggio 1995, n. 218 , in relazione alla norma in commento, sussiste la giurisdizione italiana in una controversia di separazione personale tra due cittadini stranieri qualora la parte attrice, al momento della domanda risieda in Italia di fatto, ma con intenzione di attribuire stabilità a tale residenza . Elezione di domicilio
L'elezione di domicilio ha una funzione sia sostanziale che processuale. L'atto di elezione contiene, infatti, da un punto di vista sostanziale, lo specifico riferimento ai luoghi nei quali debbano essere notificati o effettuati gli atti concernenti un determinato contratto o negozio; con riferimento alla funzione processuale invece essa si concreta nella determinazione della competenza territoriale di un giudizio e nella relativa deroga alle norme ordinarie sulla competenza stessa. Certamente si tratta di un atto unilaterale caratterizzato dalla necessità della forma scritta per tale dichiarazione, prevista dall' art. 47 c.c. e ribadita dalla totale giurisprudenza. Si tratterebbe di una forma scritta ad substantiam e pertanto non sostituibile con equipollenti, come ad esempio una semplice comunicazione scritta proveniente dal domiciliatario con cui si attesti la precedente elezione di domicilio (Cass. civ., 8 marzo 1983, n. 1690, in Giust. Civ., 1984, I, 255). Si tratterebbe comunque di un atto revocabile, anche rispetto al c.d. domicilio esclusivo espressamente determinato dalla legge nelle ipotesi previste dall' art. 2890 c.c. e dall' art. 543, n. 3, c.p.c. . In queste si avrebbe una facoltà di scelta limitata, per cui le due figure andrebbero inquadrate nel domicilio speciale necessario o necessitato.
Altro problema è quello relativo alla natura recettizia o meno della dichiarazione. Se, a logica, i terzi dovrebbero poterla conoscere pena l'improduttività degli effetti, secondo alcuni si tratterebbe di una semplice conoscibilità esteriore e non di una vera e propria recettizietà dell'atto, con la conseguente natura non recettizia nemmeno dell'atto di revoca. In realtà la giurisprudenza a più riprese ha affermato la necessità della comunicazione, con la conseguente natura recettizia dell'atto. Foro del domicilio eletto
L'effetto dell'elezione di domicilio è sempre quello aggiungere un nuovo foro a quello competente per legge, mai quello di escludere la competenza del foro determinato in base alle regole ordinarie. Questo perché il foro del domicilio eletto non è mai esclusivo, neppure in caso di concorde elezione effettuata dalle parti interessate. Si tratta, pertanto, di un atto normalmente unilaterale ma niente induce ad escludere che l'elezione possa provenire anche da entrambe le parti, senza che ciò comporti la creazione di un foro esclusivo, che si potrebbe, viceversa determinare solo se ci si trovasse nell'ipotesi regolata dall' art. 29 c.p.c. , al cui commento rinvio. Anche l'art. 75, r.d. 29 giugno 1939 n. 1127 , sui brevetti per invenzioni industriali, e l'art. 56, r.d. 21 giugno 1942 n. 929 , sui brevetti per marchi d'impresa, nel prevedere che l'indicazione di domicilio annotata nel registro dei brevetti valga a determinare la competenza ai fini di ogni notificazione, non fissa una competenza esclusiva, concorrendo con la competenza del foro della residenza o del domicilio generale del convenuto o, ove ricorra l'ipotesi, col domicilio speciale ex art. 20 c.p.c. .
A norma dell' art. 30 c.p.c. , chi ha eletto domicilio ai sensi dell' art. 47 c.c. può essere convenuto davanti al giudice del domicilio stesso. Si tratta di un foro concorrente con quello indicato dal legislatore e mai di un foro esclusivo. In una fattispecie peculiare i giudici di legittimità hanno precisato che, nell'ipotesi di incidente di falso, la competenza a conoscere appartiene inderogabilmente - stante il previsto intervento obbligatorio del pubblico ministero - al giudice individuabile secondo il criterio del foro generale delle persone fisiche, ai sensi dell' art. 18 c.p.c. . Al riguardo non può farsi diversamente riferimento al foro del domicilio eletto di cuiall' art. 30 c.p.c. , sulla base della sola elezione di domicilio contenuta nella procura speciale exart. 83 c.p.c.
, che rileva ai meri fini del compimento delle attività processuali demandate al procuratore costituito in ordine alla causa di merito, e non anche nei termini sostanziali - concernenti il compimento di determinati atti o affari - postulati viceversa alla stregua del richiamo all' art. 47 c.c. operato dall' art. 30 c.p.c. . Né il carattere endoprocessuale ed incidentale della procedura di falso può far ritenere che la suddetta competenza inderogabile sia modificabile per effetto di attrazione da parte della connessa causa di merito, in mancanza di specifica disposizione normativa, non potendosi, peraltro, stabilire una correlazione tra luogo ove deve effettuarsi la notificazione dell'atto di riassunzione e foro della competenza territoriale ( Cass. civ., 21 maggio 2004, n. 9713 ).
Inoltre l'elezione di domicilio, ai fini della notificazione previstadall' art. 141 c.p. c. , deve contenere, oltre alla dichiarazione di domicilio , di per sé sufficiente solo agli effetti della determinazione della competenza territoriale, exart. 30 c.p.c. , anche l'indicazione della persona del domiciliatario (Cass. civ., 28 ottobre 1981, n. 5677). Riferimenti
Andrioli, Commento al codice di procedura civile, I, Napoli, 1957, 88 e ss.;
Asprella, sub artt. 18, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012, 323 e ss.;
Aspella, sub art. 30, ivi, 418 e ss.;
Candian, Domicilio, residenza, dimora, in Digesto civ., VII, Torino, 1991, 118 e ss.;
Carnelutti, Note critiche intorno ai concetti di domicilio, residenza e dimora nel diritto positivo italiano, in Studi di diritto civile, Roma, 1916, 67 e ss.;
Forchielli, Domicilio, residenza e dimora (dir. priv.), in Enc. Dir., vol. XIII, Milano, 1964, 842 e ss.
Levoni, Competenza nel diritto processuale civile, in Digesto civ., III, Torino, 1988, 128 e ss.;
Montuschi, Del domicilio e della residenza, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1970, 23 e ss.;
Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013, 72 e ss.;
Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, 115 e ss.;
Segré, Della competenza per territorio, in Comm. c.p.c. Allorio, I, 1, Torino, 2000, 223 e ss.; |