Onere della provaFonte: Cod. Civ. Articolo 2697
26 Febbraio 2016
Inquadramento
L'art. 2697 c.c. stabilisce che colui il quale vuol far valere un diritto in giudizio deve dimostrare i fatti costitutivi posti a fondamento dello stesso, mentre spetta a chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero che il diritto si è modificato o estinto provare i fatti sui quali si fonda la propria eccezione.
La richiamata regola in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti in giudizio, assume un'importanza fondamentale, assurgendo a criterio di «decisione» dei fatti controversi, nell'ipotesi di mancata prova. In sostanza, infatti, è l' art. 2697 c.c. a ripartire tra le parti in causa il c.d. rischio della mancata prova dei fatti allegati. Il divieto di non liquet posto in capo al giudice determina, in ogni sistema processuale, l'esigenza di individuare una regola di giudizio che ripartisca il rischio della mancata prova tra le parti, affinché, nell'ipotesi in cui manchi, anche in via presuntiva, la dimostrazione dell'esistenza di un fatto idoneo a produrre determinate conseguenze giuridiche, la carenza di prova venga posta a carico della parte alla quale spettava l'onere di dimostrare la sussistenza di tale fatto (MICHELI 1 ss.). Del resto, negli ordinamenti giuridici moderni la c.d. regola di giudizio fondata sull'applicazione dei principi in tema di onere della prova nel senso, positivizzato dall'art. 2697 c.c. , che a ciascuna parte spetta l'onere di dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi della propria pretesa costituisce espressione del principio di legalità, ossia di una regola di civiltà giuridica in forza della quale il rischio della mancata prova non può essere addossato al convenuto ovvero all'accusato, analogamente a quanto avveniva nel processo medievale (VERDE 1972, 438 ss.).
L' art. 2697 c.c. è una disposizione “neutra” rispetto alla posizione di attore o convenuto assunta dalle parti nel corso del processo e comporta che spetti a colui il quale fa valere un fatto in giudizio dimostrare i fatti costitutivi posti a fondamento dello stesso.
In sostanza, l'attore che agisce per ottenere il pagamento di una determinata somma di denaro, deve provare i fatti in virtù dei quali assume di essere creditore.
Spetterà invece al convenuto provare fatti impeditivi (ad esempio, la circostanza che la prestazione eseguita dall'attore era gratuita), modificativi ed estintivi (per esempio la prescrizione) dell'avversa pretesa. Prova dei fatti c.d. negativi
L'onere probatorio gravante, a norma dell' art. 2697 c.c. , su colui il quale intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l'estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia a oggetto fatti negativi, in quanto la natura dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo: tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo ( Cass. civ., sez. I, 0 1 aprile 2009, n. 7962 ).
Peraltro, nella stessa giurisprudenza di merito, si è al contempo precisato, in senso meno rigoroso, che il principio di cui all' art. 269 7 c.c. che distribuisce l'onere della prova, deve essere interpretato adattandolo al caso concreto e ricorrendo a presunzioni qualora ciò sia necessario e conforme all'esperienza positiva. In base a tale impostazione, tutte le volte in cui l'attore si troverà oggettivamente nell'impossibilità di offrire la prova positiva così come l'applicazione del principio di cui sopra vorrebbe, si potrà far ricorso e utilizzare a suo favore elementi indiziari da cui possono scaturire anche presunzioni semplici, confermate, tuttavia dalla condotta negativa del convenuto realizzatasi nella mancata allegazione di circostanze che solo lui potrebbe provare e che basterebbero, da sole, a confutare la tesi dell'attore ( App. Roma, sez. III, 6 maggio 2008 n. 1864, in Guida al dir., 2008, n. 41, 59).
Sotto un distinto e più generale profilo, soprattutto nel diritto del lavoro la giurisprudenza tende ha individuato un significativo temperamento rispetto alla rigida operatività del meccanismo dell'onus probandi stabilito dall' art. 2697 c.c. , onerando della prova di determinati fatti il dominus delle relative informazioni, secondo un criterio di c.d. vicinanza della fonte di prova (Trib. Milano, sez. X, 10 settembre 2007, in Foro padano, 2007, n. 3-4, 546). Invero, la ripartizione dell'onere della prova tra lavoratore, titolare del credito, e datore di lavoro, deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio - riconducibile all'art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio - della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova: conseguentemente laddove i fatti possano essere noti solo all'imprenditore e non anche al lavoratore, incombe sul primo l'onere della prova negativa ( sez. lav., 25 luglio 2008, n. 20484 )Principio di acquisizione
Distinta e più generale deroga alla rigida operatività del meccanismo in tema di onere probatorio posto dall' art. 2697 c.c. è costituita dal c.d. principio di acquisizione.
L'operatività del principio di acquisizione anche nella fase di gravame implica che il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15300). La questione afferente il riparto dell'onere probatorio tra le parti in tema di inadempimento delle obbligazioni è stata risolta dalle Sezioni Unite con l'affermazione del principio, ormai consolidato, in forza del quale in materia di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte, negoziale o legale, del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Parimenti, anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. Nell'affermare il principio di diritto che precede, le SS.UU. della Corte hanno ulteriormente precisato che esso trova un limite nell'ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative, nel qual caso la prova dell'inadempimento stesso è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l'adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento: invero, l'esenzione del creditore dall'onere di provare il fatto negativo dell'inadempimento in tutte le ipotesi di cui all' art. 1453 c.c. (e non soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento sul debitore convenuto dell'onere di fornire la prova del fatto positivo dell'avvenuto adempimento, è conforme al principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l'onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione ed appare coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c. , che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione (Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533 , in Corr. Giur., 2001, 1565, con nota di MARICONDA).
L' art. 2043 c.c. stabilisce, in generale, che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Tale disposizione normativa, è stata tradizionalmente intesa nel senso che in tema di responsabilità extracontrattuale l'attore, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento, deve fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, secondo il noto canone onus probandi incumbit ei qui dicit, e dimostrare l'effettiva entità del danno subito.
Tale regola generale trova applicazione non soltanto in tema di risarcimento del danno patrimoniale ma anche per colui il quale agisca in giudizio richiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale che, pur ormai risarcibile anche oltre i casi previsti dall' art. 2059 c.c. , non è mai in re ipsa, ma esige quale danno-conseguenza sempre la prova, che va fornita da parte del danneggiato, delle effettive e concrete ripercussioni che l'illecito ha avuto sulla sua vita personale ( Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 ).
In un recente precedente, si è evidenziato che l 'accertamento di concreti fatti materiali di concorrenza sleale comporta una presunzione di colpa, ex art. 2600 c.c., che onera l'autore degli stessi della dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo ai fini dell'esclusione della sua responsabilità, mentre il corrispondente danno cagionato non è in re ipsa ma, quale conseguenza diversa ed ulteriore rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, necessita di prova secondo i principi generali che regolano il risarcimento da fatto illecito, sicché solo la dimostrazione della sua esistenza consente l'utilizzo del criterio equitativo per la relativa liquidazione ( Cass. civ., sez. I, 23 dicembre 2015, n. 25921 ).
Tale regola generale trova applicazione non soltanto in tema di risarcimento del danno patrimoniale ma anche per colui il quale agisca in giudizio richiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale che, pur ormai risarcibile anche oltre i casi previsti dall' art. 2059 c.c. , non è mai in re ipsa, ma esige quale danno-conseguenza sempre la prova, che va fornita da parte del danneggiato, delle effettive e concrete ripercussioni che l'illecito ha avuto sulla sua vita personale ( Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 ).
Come noto, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non ha ad oggetto la legittimità del provvedimento concesso, bensì la sussistenza o meno della pretesa creditoria che, peraltro, trattandosi di un giudizio a cognizione piena ed esauriente, deve essere accertata mediante gli ordinari mezzi istruttori e non in forza della documentazione di provenienza unilaterale che, eccezionalmente, stante l' art. 634 c.p.c. , è ammessa nella fase sommaria inaudita altera parte del procedimento. Ad esempio, le fatture commerciali costituiscono senz'altro prove idonee ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo ed anche nel giudizio di opposizione, pur costituendo la fattura solo una dichiarazione partecipativa all'altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito, quando tuttavia tale rapporto, per esplicita ammissione o per assunzione di una difesa incompatibile con il disconoscimento, non sia contestato tra le parti, la fattura ben può costituire un valido elemento di prova quanto alle prestazioni eseguite ed al relativo ammontare (v., tra le molte,Trib. Teramo 19 aprile 2010, n. 153 ).
Tuttavia, di regola, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, laddove il destinatario della fattura ne abbia contestato e ne contesti anche parzialmente il contenuto, essa, in quanto atto unilaterale, non può costituire prova a favore dell'emittente dei limiti della prestazione e del relativo compenso oggetto della contestazione. In sostanza, quindi, nel giudizio di opposizione, l'onere della prova del fatto costitutivo del diritto di credito consacrato dal decreto ingiuntivo continua a gravare exart. 2697 c.c. sul ricorrente, in virtù della domanda di pagamento da questi proposta e la formazione del convincimento del giudice sarà nuovamente regolata, agli effetti della decisione in merito all'opposizione, dalle norme vigenti in un giudizio ordinario di cognizione (cfr., in sede applicativa, Trib. Catanzaro, sez. II, 31 marzo 2011 ). Riferimenti
CARNEVALI, Inadempimento e onere della prova, in Contratti, 2002, 113;
COMOGLIO, Le prove civili, Torino 2004;
DE CRISTOFARO, Mancata o inesatta prestazione e onere probatorio, in Riv. dir. civ., 1994, 567;
MACCARONE, Onere della prova e nesso di causalità, in Foro pad., 2010, n. 1, 83; MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro, in Corr. Giur., 2001, 1565;
MICHELI, L'onere della prova, Padova 1942;
VERDE, L'onere della prova nel processo civile, Napoli 1984;
VERDE, Considerazioni sulla regola di giudizio fondata sull'onere della prova, in Riv. dir. proc., 1972, 438 ss. |