Notifica via PEC: violazione delle regole tecniche, raggiungimento dello scopo e diritto di difesa

18 Maggio 2016

Il principio, sancito in via generale dall'art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni...
Massima

Il principio, sancito in via generale dall'art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, in relazione alle quali, pertanto, la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l'atto, malgrado l'irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario.

Il caso

Chiamate a decidere una controversia avente tutt'altro oggetto, le Sezioni Unite hanno dovuto in via preliminare risolvere un'eccezione di nullità del controricorso, per vizi formali della sua notificazione effettuata con PEC, in ragione della asserita violazione delle regole dettate dall'art. 3-bis, commi 4 e 5, l. n. 53/1994 e dall'art. 19-bis provvedimento 16 aprile 2014. Era infatti accaduto che l'atto consegnato telematicamente avesse una estensione .doc, invece che .pdf, in violazione quindi delle regole tecniche dettate allo scopo.

La questione

La questione controversa, in sostanza, si incentra nella individuazione delle conseguenze processuali, in caso di avvenuta notificazione, a cura della parte, di un atto predisposto in una forma diversa rispetto a quella prevista dalle regole tecniche.

Le soluzioni giuridiche

In relazione alle conseguenze della violazione delle regole tecniche inerenti la forma degli atti da depositare, e alla valenza negativa di tale mancato rispetto delle regole, in senso contrario si è pronunciato Trib. Milano, 23 febbraio 2016, in un caso di deposito di foglio di precisazione delle conclusioni in formato PDF immagine.

Apparentemente, la decisione della Corte è stata nel senso della affermazione di principi giuridici non solo condivisi, ma ormai consolidati.

E tuttavia, se si approfondisce l'esame delle affermazioni ci si accorge che tale decisione non è affatto scontata.

Converrà partire dal dato normativo.

La norma che consente le notifiche telematiche agli Avvocati è contenuta nella l. n. 53/1994, e in particolare nell'art. 3-bis (come risultante a seguito delle modifiche di cui ai d.l. n. 90/2014 e d.l. n. 83/2015, convertiti rispettivamente dalle l. n. 114/2014 e l. n. 132/2015), il quale prevede che la notificazione con modalità telematica si esegua con la trasmissione di un messaggio di posta elettronica certificata, da un indirizzo di PEC, risultante dai pubblici elenchi, ad un altro indirizzo di PEC, a sua volta risultante dai pubblici elenchi.

Possono presentarsi diverse situazioni di atti da notificare: vi è il caso del documento originale informatico, ma vi sono anche i casi del duplicato informatico, della copia informatica del documento informatico, e, infine, della copia informatica del documento analogico.

L'art. 3-bis l. n. 53/1994 disciplina il caso nel quale l'atto da notificare sia cartaceo, prevedendo che dello stesso l'avvocato estragga una copia informatica (in sostanza un file immagine, mediante scansione), attestandone la conformità con le modalità previste dall'art. 16-undecies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221.

Le medesime considerazioni valgono anche qualora ci si trovi di fronte alla copia informatica di un documento informatico (è il caso di dire che ai sensi dell'art. 1 d.lgs. n. 82/2005, la copia informatica di un documento informatico è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto, su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari). Ove si consideri che il duplicato informatico è invece il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario, va da sé che gli adempimenti di cui all'art. 3-bis, comma 2,l. n. 53/1994 non siano necessari nei casi nei quali venga all'attenzione un duplicato informatico, così come quando ci si trovi di fronte ad un documento informatico “nativo” del difensore. In entrambi i casi non occorre infatti l'attestazione di conformità, proprio perché questi due ultimi tipi di documenti non rappresentano tecnicamente delle “copie”.

E tuttavia, ai sensi dell'art. 19-bis delle specifiche tecniche dettate con il provvedimento del DGSIA del 16 aprile 2014, qualora l'atto da notificarsi sia un documento originale informatico, è previsto che esso sia «in formato PDF e ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è ammessa la scansione di immagini. Il documento informatico così ottenuto è allegato al messaggio di posta elettronica certificata».

Questa disposizione, come si vede, prevede per il documento “nativo” digitale un formato specifico, rappresentato dal .pdf.

In sostanza, il documento viene creato a partire dalla elaborazione del testo mediante un comune programma di scrittura, e quindi con la trasformazione dello stesso nella forma prevista dalla regola tecnica che si è richiamata (in genere, l'operazione viene eseguita mediante un comando già contenuto nello stesso software, tra le varie opzioni di salvataggio).

Nel caso che ci occupa, la notifica telematica è stata però eseguita con l'invio non del documento trasformato nel formato .pdf, ma del documento come risultante dalla sua elaborazione con il programma di scrittura, e quindi nel formato .doc.

Proprio per questo motivo è stata eccepita, dalla parte che aveva ricevuto la notificazione, la nullità della stessa.

Ai sensi dell'art. 11 l. n. 53/1994, le notificazioni eseguite in base a tale legge sono nulle, e la nullità è rilevabile d'ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni dettate dalla stessa legge e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica.

La nullità ben potrebbe allora, in un caso come questo, essere ravvisata, ove si consideri che l'art. 3-bis impone, per la notificazione con modalità telematica, il rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. E ciò perché il documento da trasmettere, come visto, non potrebbe essere redatto in formato .doc, ma solo in formato .pdf.

Osservazioni

Il primo punto di interesse nella decisione in commento è costituito dal fatto che la Corte ha valorizzato, anche in questa sede, la sicura operatività del principio generale del raggiungimento dello scopo, per escludere rilievo alla nullità in ipotesi verificatasi.

Non sembri risultato scontato, perché il principio del raggiungimento dello scopo non è sempre stato ritenuto applicabile, nel caso della violazione delle regole tecniche, dalla giurisprudenza di merito che finora si è occupata di processo civile telematico.

Ad esempio, nel caso (diverso, ma comunque relativo alla violazione di una regola tecnica) del deposito del file immagine, invece che del file ottenuto mediante trasformazione del documento in PDF, ha sostenuto la conseguenza della inammissibilità del deposito Trib. Roma, 9 giugno 2014. Tale decisione, dopo aver richiamato i limiti previsti dall'art. 121 c.p.c. (sussistenti allorquando sia la stessa legge a richiedere "forme determinate"), e dopo aver affermato che i regolamenti, di natura delegata, che pongono le regole tecniche indispensabili per assicurare la funzionalità del processo civile telematico, costituiscono integrazione della normativa di livello primario, aveva rilevato come «in tale prospettiva per "scopo" dell'atto processuale non deve intendersi soltanto quello di significare alle altre parti del processo ed al giudice i propri intendimenti o rappresentazioni, nessuno potendo ragionevolmente ipotizzare, ad esempio, che con un sms o con un messaggio di posta elettronica possa darsi validamente corso ad una procedura telematica», bensì «prima d'ogni altro, quello di inserirsi efficacemente in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle regole tecniche che impongono l'adozione di particolari formati in luogo di altri». Ed ancora in tal senso ha concluso Trib. Livorno, 25 luglio 2014. Quest'ultima decisione, dopo aver evidenziato che il rispetto delle regole tecniche abbia lo scopo di rendere gli atti immediatamente intelligibili a tutti gli attori del processo, e dopo aver sostenuto che la norma che impone che l'atto del processo sia un PDF ottenuto mediante la trasformazione di un documento testuale, abbia lo scopo di rendere l'atto navigabile ad ogni attore del processo, e dunque quello di consentire l'utilizzo degli elementi dell'atto, senza la necessità di ricorrere a programmi di riconoscimento ottico dei caratteri, detti OCR (optical character recognition), aveva concluso nel senso che il formato PDF immagine non fosse idoneo al raggiungimento dello scopo predetto.

Come appare evidente, già questa prima affermazione, in ordine alla valorizzazione del principio del raggiungimento dello scopo, per escludere la valenza di eventuali nullità derivanti dalla violazione delle regole tecniche, deve essere intesa come idonea a mettere in discussione le interpretazioni contrarie, che fino ad ora sono già state sostenute (peraltro, l'art. 1, comma 2, lett. h n. 6, del disegno di legge approvato dalla Camera il 10 marzo 2016, atto Senato nr. 2284, XVII Legislatura, che prevede la delega al Governo, tra l'altro, perché preveda il divieto di sanzioni processuali sulla validità degli atti per il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico dell'atto, quando questo abbia comunque raggiunto lo scopo, e l'irrogazione di sanzioni pecuniarie a carico della parte, quando gli atti difensivi, anche se sottoscritti da un difensore, redatti in difformità dalle specifiche tecniche, ledono l'integrità del contraddittorio o rendono inattendibili le rilevazioni statistiche).

Ma la decisione merita un giudizio positivo anche per due ulteriori profili pure affermati.

In primo luogo perché essa ha affermato che «Il risultato dell'effettiva conoscenza dell'atto […] consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia [nel]l'indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte nell'atto introduttivo del giudizio di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC».

Il raggiungimento dello scopo, in altre parole, si verifica con la consegna telematica dell'atto presso l'indirizzo PEC. E questo non può che voler dire che non sia necessario che la parte si costituisca, per ritenere sanata la nullità. D'altra parte, la giurisprudenza (ad esempio Cass., sez. V, sent., 13 marzo 2015, n. 5057) ha finora valorizzato il compimento dell'atto successivo rispetto alla notificazione nulla, da parte del destinatario (nella decisione indicata la tempestiva impugnazione), non per ancorare l'effetto sanante a questo adempimento conseguente, ma solo per desumere la conoscenza dell'atto da parte dello stesso («La notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell'atto di imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell'art. 156, comma 2, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell'atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione, ad opera di quest'ultimo, dell'atto invalidamente notificato»).

A questo proposito, deve evidenziarsi come l'art. 6, comma 4, d.P.R. n. 68/2005, prevede anche che la ricevuta di avvenuta consegna (che ai sensi del comma 3 integra la prova che il messaggio di posta elettronica certificata sia effettivamente pervenuto all'indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario, e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione) possa contenere la copia completa del messaggio di posta elettronica certificata consegnato. Questo è particolarmente rilevante ai fini qui di interesse, perché nel caso delle notifiche eseguite in proprio dagli Avvocati l'art. 18 comma 6 d.m. n. 44/2011 (Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010, n. 24), prevede che «la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall'art. 3-bis, comma 3, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 è quella completa, di cui all'art. 6, comma 4, del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68» (ciò che consente al giudice di verificare l'atto consegnato esattamente come esso è stato visibile al destinatario).

Tirando le fila di queste indicazioni normative, si ricava che la conoscenza dell'atto, che implica il raggiungimento dello scopo della notificazione, si realizza, e può desumersi in questo caso, con la prova rappresentata dalla ricevuta completa di avvenuta consegna, senza pertanto che sia necessario valutare comportamenti successivi, quali ad esempio la costituzione della parte nei cui confronti era stata compiuta la notificazione affetta da nullità. D'altra parte, che la PEC imponga un onere di attivazione per il difensore, è principio che la Cassazione (Cass., sez. lav., 2 luglio 2014, n. 15070) ha già affermato, con regola che appare di valenza generale («Una volta ottenuta dall'ufficio giudiziario l'abilitazione all'utilizzo del sistema di posta elettronica certificata, l'avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali»).

È vero che la Corte, nella decisione in commento, ha anche fatto riferimento alla circostanza per la quale i ricorrenti non avessero addotto l'eventuale difformità tra il testo recapitato telematicamente, sia pure con estensione .doc in luogo del formato .pdf, e quello cartaceo depositato in cancelleria, ma si tratta di una notazione che si colloca oltre il perimetro della verifica necessaria a ritenere integrato il raggiungimento dello scopo della notificazione, che è quello di portare nella disponibilità della parte l'atto, e non di ottenere la costituzione, che rimane momento successivo ed estraneo al primo. Senza dimenticare che la verifica dell'atto consegnato, come detto, sarebbe direttamente conseguita alla ricevuta completa (art. 6 d.P.R. n. 68/2005), alla quale si è fatto cenno in precedenza (non a caso, a fini di dimostrazione della notificazione telematica, solo qualora non sia possibile fornirla con modalità telematica, art. 9, comma 1-ter, l. n. 53/1994, è consentito all'avvocato di procedere estraendo la copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e attestandone la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte, ai sensi dell'art. 23, comma 1, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

Vi è però un ulteriore profilo che deve essere esaminato, nella decisione della Corte. Essa ha infatti affermato che «la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione (Cass., sez. trib., n. 26831/2014). Ne consegue che è inammissibile l'eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte».

A questa affermazione deve essere data una necessaria importanza, perché essa impone di valorizzare la violazione di norme di rito non in quanto tale, ma solo in quanto rifletta effetti negativi sul diritto di difesa della controparte. Si tratta di un controlimite fondamentale, perché comporta che lo scostamento dalle norme processuali debba essere apprezzato sulla base di un punto di riferimento certo, che è rappresentato una volta per tutte dal diritto di difesa.

Le implicazioni di questo principio sono molteplici. Per rimanere nell'ambito nel quale qui ci si trova, una appare di estremo interesse, oltre che di estrema attualità. Ci si riferisce alla violazione delle modalità di deposito degli atti processuali, e in particolare alla violazione della norma che prevede che il deposito degli atti endoprocessuali debba avvenire esclusivamente con le modalità telematiche (art. 16-bis d.l. n. 179/2012, secondo cui «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici»).

Converrà prendere le mosse dal fatto che l'art. 12, comma 3, d.P.R. n. 123/2001 prevede tuttora che «la formazione del fascicolo informatico non elimina l'obbligo di formazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo».

Il fascicolo d'ufficio è previsto dall'art. 168 comma 2 c.p.c., e va formato all'atto della costituzione del primo soggetto, parte processuale (l'attore o, se questi non si costituisse, il convenuto). Nel fascicolo d'ufficio (che ai sensi dell'art. 36 disp. att. c.p.c., va formato anche quando non vi sia una specifica prescrizione di legge), il Cancelliere deve inserire la nota di iscrizione a ruolo, gli atti introduttivi del giudizio, le memorie, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze.

Deve pertanto ritenersi che l'obbligo di costituzione del fascicolo cartaceo sia rimasto invariato, e che quindi tuttora il Cancelliere debba provvedere a predisporlo.

In tale condizione normativa, il profilo che va approfondito, alla luce della decisione della Corte, riguarda allora l'individuazione del pregiudizio al diritto di difesa, che consegua al deposito cartaceo invece che telematico, peraltro solo quando questo venga effettuato da una parte già precedentemente costituita.

In altre parole, deve valutarsi se per il solo fatto che il deposito sia avvenuto in forma diversa da quella prevista come esclusiva, vale a dire in forma cartacea invece che telematica, e anche a qualificare tale modalità di deposito alla stregua di una violazione di una norma di rito, si verifichi un pregiudizio del diritto di difesa della controparte.

Come visto, le norme processuali non sono funzionali alla solo astratta regolarità del processo, ma al rispetto delle garanzie del diritto di difesa delle parti. Non c'è dubbio che in alcuni casi sia lo stesso Legislatore ad operare a monte una valutazione negativa, ad esempio prevedendo ipotesi di decadenza (art. 327 c.p.c.), di inammissibilità (art. 331 comma 2 c.p.c.), di improponibilità (art. 329 comma 1 c.p.c.), di improcedibilità (art. 348 c.p.c.).

Nel caso di specie, e in mancanza di previsioni espresse, la conseguenza sanzionatoria, sotto il profilo processuale, dovrebbe allora trarsi in maniera implicita, sulla base della sola previsione di esclusività delle modalità di deposito telematiche, per le parti già costituite. E tuttavia a tale scopo si dovrebbe sostenere l'irrilevanza del pregiudizio al diritto di difesa della controparte.

Non pare, infatti, sotto un primo aspetto, che possa ravvisarsi una lesione del diritto di difesa, in presenza di un atto depositato in formato cartaceo, quando il deposito sia destinato in prima battuta al giudice -come accade, per citare una ipotesi, nel caso del deposito del reclamo cautelare (che è stato ritenuto da una parte della giurisprudenza di merito quale atto endoprocessuale ad esempio, Trib. Foggia, 15 maggio 2015, anche se in senso contrario Trib. Asti, 23 marzo 2015, e la generale considerazione operata da C. cost., 29 aprile 2015, n. 78, che ha spiegato come il reclamo avverso l'ordinanza, con la quale è stata concessa o denegata la misura cautelare dal giudice monocratico del Tribunale, integri una vera e propria impugnazione che «si propone al collegio»). Si pensi ancora al ricorso cautelare in corso di causa, che è a sua volta indirizzato al giudice che procede (e ancor di più si pensi al caso del ricorso cautelare proposto al Tribunale, dalla parte costituita in un giudizio pendente avanti al Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 669-quater comma 3 c.p.c.).

E parimenti ben potrebbe dubitarsi, sotto un secondo aspetto, che un pregiudizio possa ravvisarsi, per il solo fatto che la controparte possa essere costretta a prendere cognizione di un deposito cartaceo in Cancelleria, piuttosto che di un deposito telematico nel relativo fascicolo virtuale (ove si pensi che la parte non ancora costituita potrebbe legittimamente costituirsi con un deposito cartaceo, un onere di attivazione per la controparte, a fini di verifica del deposito in Cancelleria, si porrebbe comunque, ad esempio nell'ipotesi nella quale il convenuto, costituendosi tardivamente, disconosca legittimamente una scrittura privata prodotta contro di sé ex artt. 215 n. 1 e 293 comma 3 c.p.c.).

Si potrebbe diversamente ipotizzare, per sostenere la tesi negativa, l'inesistenza dell'atto depositato con modalità cartacea. Ad esempio, da ultimo Trib. Vasto, 15 aprile 2016, ha sostenuto che «l'atto creato in modalità cartacea non è semplicemente nullo, ma è da considerarsi giuridicamente inesistente, in quanto, essendo stato redatto in modo assolutamente non previsto dalla normativa ed essendo totalmente privo degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo normativamente considerato, è non soltanto inidoneo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili al corrispondente tipo, ma è addirittura non passibile di considerazione sotto il profilo giuridico. L'atto processuale cartaceo, infatti, non è sottoscritto con firma digitale, non viene depositato nel rispetto delle regole tecniche e delle specifiche tecniche previste dalla normativa regolamentare del PCT e non supera le barriere dei controlli della cancelleria (che certifica il deposito dell'atto e dei documenti allegati e mette a disposizione del giudice e delle altre parti processuali l'atto depositato telematicamente e i relativi allegati)», sicché esso si discosterebbe in modo assoluto dallo schema legale tipico previsto come esclusivo, e non potrebbe essere ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo del connesso deposito telematico. E ciò perché tale scopo dovrebbe essere ravvisato non solo nella creazione di una presa di contatto tra l'ufficio giudiziario ed il depositante, ma anche nell'esigenza che tale presa di contatto avvenga «mediante un supporto smaterializzato e decentralizzato che consenta, da un lato, un più rapido ed immediato accesso agli atti e documenti del processo per il giudice e per le parti e, dall'altro, una diversa e più efficiente ed economica gestione dello scambio di dati e informazioni in ambito processuale rispetto al supporto cartaceo, nell'ottica di favorire la progressiva dematerializzazione del fascicolo cartaceo, per le ragioni di economia processuale e di ragionevole durata del processo cui è ispirato il PCT».

E tuttavia neppure questo spiegherebbe quale possa essere il pregiudizio per la difesa della controparte, derivante da un deposito cartaceo, specie in un quadro normativo che non esclude una volta per tutte il deposito tradizionale, ma lo ammette in relazione all'atto di costituzione (art. 16-bis, comma 1-bis, d.l. n. 179/2012), all'atto depositato in udienza (art. 87 disp. att. c.p.c.), e nei casi di specifica autorizzazione (art. 16-bis, commi 4 e 8, d.l. n. 179/2012).

Appare pertanto particolarmente rilevante il principio affermato dalle sezioni unite, poiché introduce nel dibattito sulle questioni indicate un profilo giuridico del tutto centrale e permette di ipotizzare che la sanzione per la violazione della esclusività della forma di deposito possa essere individuata non nella inammissibilità, o nell'inesistenza, bensì nell'applicazione degli artt. 88 e 92, comma 1, II p.te, c.p.c..

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