La competenza del Tribunale fallimentare nel giudizio di divisione
15 Giugno 2017
Nel fallimento per il quale sono curatore, sono stati inventariati alcuni beni facenti parte di una comunione indivisa; rilevato che la modifica disposta dal D.L. n. 35/2005, convertito nella legge n. 80/2005, ha modificato l'art. 181 disp. att. c.p.c., può essere considerato competente il Tribunale fallimentare per il procedimento divisionale, considerando che, con la suddetta modifica, la divisione di beni indivisi nell'ambito di una procedura espropriativa è sempre promossa davanti al Giudice assegnatario della procedura esecutiva?
Riferimenti normativi – L'art. 600 c.p.c., rubricato “Convocazione dei comproprietari”, dispone che “Il giudice dell'esecuzione, su istanza del creditore pignorante o dei comproprietari e sentiti tutti gli interessati, provvede, quando è possibile, alla separazione della quota in natura spettante al debitore. Se la separazione in natura non è chiesta o non è possibile, il giudice dispone che si proceda alla divisione a norma del codice civile, salvo che ritenga probabile la vendita della quota indivisa ad un prezzo pari o superiore al valore della stessa, determinato a norma dell'art. 568”. L'art. 181 disp. att. c.p.c., titolato “Disposizioni sulla divisione” enuncia che “Il giudice dell'esecuzione, quando dispone che si proceda a divisione del bene indiviso, provvede all'istruzione della causa a norma degli artt. 175 e seguenti del codice, se gli interessati sono tutti presenti. Se gli interessati non sono tutti presenti, il giudice dell'esecuzione, con l'ordinanza di cui all'art. 600, secondo comma, del codice, fissa l'udienza davanti a sè per la comparizione delle parti, concedendo termine alla parte più diligente fino a sessanta giorni prima per l'integrazione del contraddittorio mediante la notifica dell'ordinanza”.
Osservazioni – Il quesito in esame concerne, in sostanza, la possibilità di estendere la disciplina descritta dall'art. 181 disp. att. c.p.c. alle ipotesi di procedura concorsuale fallimentare. Occorre, anzitutto, esaminare la normativa giuridica applicabile al caso di specie e, in particolare, l'art. 600 c.p.c. La disposizione in parola consente al Giudice dell'Esecuzione di procedere, in presenza di beni indivisi soggetti ad esecuzione, in tre distinti modi, tra loro graduati:
Con riferimento a quest'ultima ipotesi, l'art. 181 disp. att. c.p.c., così come riformato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005 n. 80, disciplina, al comma primo, l'istruzione del giudizio di divisione e, al comma secondo, i criteri di competenza. La norma in parola specifica infatti che il giudice dell'esecuzione, quando ordina la divisione del bene, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice. In punto, occorre precisare che il procedimento di divisione – previsto dall'art. 784 e ss c.p.c. – si attua mediante l'instaurazione di un giudizio ordinario che ha ad oggetto l'accertamento del diritto di ogni comproprietario di procedere alla divisione e l'attuazione pratica dello scioglimento stesso.
Prendendo le mosse dalla pacifica possibilità per il Curatore Fallimentare di disporre della quota indivisa del bene del comproprietario fallito, occorre chiedersi se la disciplina prevista dal combinato disposto degli artt. 600 c.p.c. e 181 disp. att. c.p.c. possa essere estesa anche alla fattispecie fallimentare. Più in particolare, occorre chiedersi se lo stesso Tribunale Fallimentare possa essere ritenuto competente per l'espletamento del giudizio di divisione. Orbene, l'art. 105 l.fall. – nella sua versione anteriforma – disponeva che per le procedure di vendita dell'attivo fallimentare trovavano applicazione le disposizioni del codice di rito, in quanto compatibili. Tuttavia, a seguito della riforma della Legge Fallimentare attuata con il D.Lgs. n. 5 del 9 gennaio 2006, la procedura di liquidazione concorsuale ha assunto una propria autonomia – sostanziale e processuale – rendendo così complessa l'estensione e la conseguente applicazione delle norme del codice di procedura civile. Del resto, è sufficiente comparare il ruolo e le attribuzioni dei principali soggetti della procedura fallimentare, da un lato, e dell'esecuzione forzata, dall'altro, per ritenere inapplicabili le soggette disposizioni procedurali. Per esemplificare, si pensi alla figura del Curatore: in ambito fallimentare esso è titolare del potere/dovere di instare per la vendita dell'attivo, dirigere la procedura e notificare gli atti e provvedimenti del giudizio; di contro, nella fase esecutiva, è processualmente equiparato alla parte debitrice, poiché subentrato nella gestione dei relativi beni. Alla luce di quanto sin qui argomentato appare ragionevole , pur in assenza di statuizioni della giurisprudenza di legittimità, aderire a quel filone dottrinale che sostiene l'inapplicabilità dell'art. 181 disp. att. c.p.c. in ambito concorsuale, con conseguente incompetenza del Tribunale Fallimentare a conoscere del giudizio di divisione. Per completezza espositiva, occorre comunque evidenziare che, sebbene questo sembrerebbe l'indirizzo suggerito dal dato legislativo, non mancano comunque arresti delle Corti di merito che riterrebbero competente il Tribunale Fallimentare per il giudizio di divisione (cfr., ex multis, Trib. di Firenze). |