Concordato preventivo e contratti pendenti. Questioni applicative sull'art. 169-bis l. fall.

07 Aprile 2014

L'art. 169 –bisl. fall. ha introdotto la possibilità di sospendere o sciogliere i contratti in corso di esecuzione alla data di presentazione della domanda di concordato.L'Autore propone una riflessione sull'ipotesi in cui il contraente in bonis abbia già compiuto la propria prestazione. Partendo dalla giurisprudenza che ha dichiarato applicabile la norma in questione anche in questa specifica ipotesi, vengono esaminate le conseguenze di tale orientamento e posti alcuni dubbi interpretativi.
Applicabilità dell'art. 169-bis l. fall. quando la prestazione del contraente in bonis è già stata eseguita

Recentemente la giurisprudenza di merito si è espressa, in diverse occasioni, sull'applicabilità dell'

art. 169-

bis

l.fall

. ai contratti in cui la prestazione del contraente in bonis è già stata eseguita, soprattutto nel caso di contratti di finanziamento in cui la banca ha già eseguito la propria prestazione, scontando i crediti verso terzi del debitore concordatario, ed ha provveduto ad incassare in virtù di mandato all'incasso o di cessione di credito il credito vantato da quest'ultimo nei confronti del terzo. Numerosi tribunali hanno ritenuto che fosse ammissibile lo scioglimento o la sospensione del contratto, con conseguente ordine alla banca di rimettere le somme incassate al debitore concordatario.

Questa giurisprudenza ha sollevato numerose questioni, alle quali si cercherà qui di dare risposta.

Ci si chiede anzitutto se la nozione di contratto in corso di esecuzione cui fa riferimento l'art. 169-bis sia diversa da quella di contratto pendente di cui all'

art.

72 l

.

fall

. e quindi se l'ammissibilità dello scioglimento o sospensione quando la prestazione del contraente in bonis è già stata eseguita, vada valutata in base a criteri diversi da quelli normalmente seguiti da dottrina e giurisprudenza in sede d'interpretazione dell'art. 72

l. fall

.

La risposta è no, posto che il primo comma dell'art. 72 l.fall. fa chiaramente riferimento al contratto non eseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, vale a dire alla stessa nozione richiamata dall'art. 169-bis con riguardo al contratto in corso di esecuzione. E d'altra parte soltanto in questa ipotesi vi può essere interesse allo scioglimento, perché diversamente vi sarebbe soltanto un credito o un debito della massa, sì che di scioglimento anticipato dal contratto non si potrebbe parlare.

La giurisprudenza di merito, argomentando dalla giurisprudenza della Cassazione sul patto di compensazione che rende legittimo l'incasso di crediti del correntista da parte della banca per effetto di operazioni autoliquidantisi (sconto fatture, ecc.), osserva che, intervenuta la sospensione del contratto o il suo scioglimento, il patto di compensazione più non opera, con la conseguenza che a far tempo dal momento in cui la sospensione o lo scioglimento è produttivo di effetti, la banca non può più trattenere le somme incassate e le deve rimettere all'imprenditore in concordato. Tale tesi, ovviamente, si applica anche al preconcordato, per chi ritiene che anche in tale ipotesi possa intervenire lo scioglimento dei contratti pendenti, tesi questa che più che urtare contro il fatto che l'art. 161, comma 6, non è richiamato dall'art. 169-bis, posto che l'art. 169-bis fa riferimento genericamente al “ricorso di cui all'art. 161-bis” e quindi anche alla domanda di preconcordato, deve confrontarsi con le difficoltà strutturali connesse al fatto che ancora s'ignora quale sarà l'esito del preconcordato (ipotesi che non venga presentata alcuna domanda o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione). Non pare invece che, contrariamente a quanto sostenuto da App. Brescia 19.6.2013 (ivi), la sospensione ponga problemi, posto che essa non impedisce definitivamente il verificarsi della compensazione tra credito della banca e controcredito del correntista.

Contrasti giurisprudenziali in merito all'applicazione della tesi della compensazione

La giurisprudenza, come vedremo meglio in seguito, applica il principio non soltanto al mandato all'incasso, ma anche alla cessione di credito, affermando che anche in questo caso vi è un patto di compensazione che opera attraverso le annotazioni in conto corrente. Il ragionamento seguito da questa giurisprudenza di merito si fonda sul rilievo che, impedendosi la compensazione, si evita che attività vengano sottratte alla massa con conseguente danno per i creditori concorrenti. Ciò perché ai sensi dell'art. 169-bis, comma 2, il contraente in bonis ha diritto, in caso di scioglimento del contratto, ad un indennizzo “equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento”.

Tale conclusione lascia perplessi sotto due profili:

a)

per l'applicazione anche a rapporti che hanno già avuto esecuzione per quanto concerne la prestazione della banca, che ha già erogato il finanziamento. Va osservato che l'art. 169-bis non è applicabile ai rapporti che non sono in corso di esecuzione o per le prestazioni a coppie contrapposte per le quali già è intervenuta l'esecuzione di una delle parti. Se quindi la banca ha erogato il finanziamento, come avviene nell'anticipo su fatture, sia esso assistito da mandato all'incasso o da cessione di credito, non può ritenersi che lo scioglimento possa colpire le prestazioni già eseguite. Per questa parte il contratto quindi rimane in vita. La ratio dell'art. 169-bis è di liberare l'imprenditore da onerosi vincoli contrattuali, ma per quanto concerne la gestione futura dell'impresa, non per quanto concerne il passato.

Il principio è stato dimostrato (F. Lamanna, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in i Fallimentarista.it

) con chiarezza in base a vari argomenti, e in particolare i seguenti: 1) l'art. 169-bis, comma 4, richiama espressamente, nel prevedere deroghe alla possibilità di scioglimento, gli artt. 72, 72-ter ed 80 in tema di contratti pendenti, a dimostrazione che si tratta della medesima fattispecie; 2) l'art. 169 rende applicabili con riferimento alla presentazione della domanda di concordato gli artt. 55 e 59, con la conseguenza che se la prestazione inadempiuta è nella titolarità del contraente in bonis, questa s'intenderà scaduta in forza dell'art. 55 e dovrà seguire la regola del concorso, fatta salva la possibilità della compensazione. Se invece fa capo al debitore, questi la potrà esigere alla scadenza, senza in ogni caso che possa trovare applicazione la disciplina dei contratti pendenti. A dire il vero sul punto la Corte d'Appello di Genova (

App. Genova, 10 febbraio 2014

) considera l'argomento “paradossale” osservando che il punto sta nel fatto che gli artt. 72 e ss. non sono richiamati dall'art. 169-bis. In realtà così non è, perché la disciplina dettata da tali norme è richiamata, come limite all'operatività della possibilità di sospensione o scioglimento, proprio dal quarto comma dell'art. 169-bis;

b)

per il fatto che nella cessione di credito non c'è patto di compensazione, perché la banca incassa un credito proprio. Sul punto peraltro va detto che il trasferimento della titolarità del credito verso il terzo ha funzione di garanzia e che spesso il meccanismo contrattuale in base alla modulistica prevede la compensazione e comunque l'annotazione in conto.

Va osservato che, già prima della riforma del 2005-2006, la giurisprudenza (

Cass. 1 settembre 2011, n. 17999

) aveva ritenuto, con riferimento all'amministrazione controllata, che in tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, ove le relative operazioni fossero state compiute in epoca antecedente rispetto all'ammissione del correntista alla procedura di amministrazione controllata, era necessario accertare, qualora il correntista - successivamente ammesso al concordato preventivo - agisse per la restituzione dell'importo delle ricevute incassate dalla banca, se la convenzione relativa all'anticipazione su ricevute regolata in conto contenesse una clausola attributiva del "diritto di incamerare" le somme riscosse in favore della banca (cd. patto di compensazione o, secondo altra definizione, patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto). In tale ipotesi, la banca aveva diritto a "compensare" il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito fosse anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non poteva ritenersi operante il principio della "cristallizzazione dei crediti", con la conseguenza che nè l'imprenditore durante l'amministrazione controllata, nè gli organi concorsuali - ove alla prima procedura ne fosse conseguita altra - avevano diritto a che la banca riversasse in loro favore le somme riscosse (anziché porle in compensazione con il proprio credito). Ciò sul presupposto che il contratto di anticipazione fosse proseguito in pendenza di procedura e che il patto di compensazione avesse con esso carattere unitario.

Va però aggiunto, tornando al concordato preventivo, che l'

art.

169 l

.

fall

, già prima delle recenti riforme, richiamava l'

art.

56 l

.

fall

. e che dunque la compensazione doveva ritenersi esclusa per effetto della cristallizzazione della massa passiva

ex art. 55, comma

2, l

.

fall

. richiamato anch'esso dall'art. 169 (

Cass. 7 maggio 2009, n. 10548

, con riferimento ad un caso di mandato all'incasso. Cfr.

Trib. Lucca, 21 maggio 2013

). La giurisprudenza aveva infatti affermato che ai fini della compensazione era sufficiente che il momento genetico del credito fosse anteriore all'apertura della procedura concorsuale (

Cass. S.U. 16.11.1999, n.

775

, in Fallimento, 2000, 524, con nota di L. Panzani, Compensazione e fallimento: esigibilità e liquidità del credito e obbligazioni restitutorie in caso di scioglimento del contratto pendente), ma nel caso del mandato all'incasso il debito di restituzione della banca nei confronti del correntista sorge al momento dell'incasso e quindi, se l'incasso è successivo all'apertura della procedura di concordato, anche con riserva, non può farsi luogo a compensazione (

Trib. Terni, 12 ottobre 2012

). D'altra parte la giurisprudenza di merito ha affermato esattamente questo principio nel caso del mutuo in cui la banca mutuante abbia effettuato la prestazione relativa al finanziamento (Trib. Monza, 16 gennaio 2013).

Secondo la giurisprudenza della Cassazione tale principio non si applicava nel caso di cessione di credito, perché la cessione determina il trasferimento del credito in capo alla banca cessionaria, che quindi incassa un credito proprio senza che sorga alcun debito di restituzione nei confronti del correntista, se non per l'eventuale eccedenza rispetto all'ammontare del finanziamento garantito. La compensazione, infatti, presuppone l'alterità della titolarità del credito e del controcredito, alterità che nel caso della cessione non sussiste. Sotto questo profilo non incide il fatto che la cessione sia stata o meno notificata al terzo, perché la notifica ha l'effetto di rendere opponibile la cessione ai terzi creditori, ma nel caso del concordato chi agisce per la restituzione della somma incassata dalla banca è lo stesso debitore cedente sì che certamente la cessione gli è opponibile. Ovviamente il discorso è diverso quando al concordato sia seguito il fallimento.

E' stato sostenuto in giurisprudenza (

Trib. Monza 27 novembre 2013

), in un caso in cui è stato ordinato alla banca di restituire le somme riscosse ex art. 700 c.p.c. in ragione del danno che l'incameramento poteva determinare alla società in concordato, che il principio affermato dalla Cassazione, secondo il quale la banca in caso di prosecuzione del rapporto di conto corrente in pendenza del concordato conserva il diritto di incamerare le somme riscosse, si applica anche all'ipotesi di cessione del credito e non solo al caso del mandato all'incasso. Ciò perché “il patto di compensazione si connette in modo essenziale al negozio di credito bancario ed è strutturalmente collegato al potere attribuito alla banca (in forza di un mandato o per effetto di una cessione di credito) di riscuotere il credito del correntista”. Se lo scioglimento del contratto da parte del debitore determina il venir meno del patto di compensazione, la banca perde il diritto di trattenere le somme riscosse che deve rimettere al debitore concordatario, salvo l'indennizzo per lo scioglimento del contratto.

Tale tesi dimentica ovviamente che la cessione del credito non comporta l'attivazione della compensazione, ma in qualche modo coglie nel segno perché la cessione ha comunque una funzione di garanzia. Se lo scioglimento colpisce il contratto di finanziamento, non si può immaginare che rimanga in vita la garanzia che era stata concessa. Si può insomma affermare che tutte le clausole del rapporto simul stabunt et simul cadent.

Alcuni dubbi interpretativi

Qualche commentatore ha espresso l'avviso che la soluzione del problema dell'applicabilità dell'art. 169-bis ai contratti di finanziamento in cui il finanziamento sia già stato erogato possa avere soluzione diversa a seconda del tipo di contratto in esame. Mi pare che la distinzione abbia scarsa ragione di essere. Al più occorre distinguere i casi in cui il finanziamento della banca avviene in unica soluzione, perché in tal caso, una volta effettuato il finanziamento, per quanto già si è detto, non pare possibile lo scioglimento, ed i casi in cui il rapporto è destinato a proseguire nel tempo, perché in quest'ipotesi lo scioglimento potrà riguardare le prestazioni future, non quelle pregresse, perché occorre guardare alle prestazioni a coppie contrapposte. Altra distinzione rilevante è quella nelle operazioni autoliquidantisi tra contratti in cui vi è un mandato all'incasso in favore della banca e contratti in cui vi è una cessione di credito, perché nel secondo caso, come si è detto, non vi è un meccanismo compensativo in senso proprio.

Ancora, si è già osservato che l'avvenuta notifica della cessione di credito, salvo il caso di successivo fallimento, non ha rilevanza perché il debitore concordatario che agisce egli stesso facendo valere lo scioglimento, non può dedurre l'inopponibilità alla massa della cessione non notificata al debitore ceduto, posto che egli stesso è parte del contratto.

Sempre con riferimento alla disciplina dei contratti pendenti si è discusso della possibilità per la banca finanziatrice di recedere dal contratto in essere con il correntista che acceda alla procedura di concordato preventivo in deroga al disposto dell'art. 186-bis, che, com'è noto, stabilisce che i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso non si risolvono per effetto dell'apertura della procedura. Ne deriva che sono inefficaci le clausole che prevedessero tale risoluzione automatica anche se travestite con l'indicazione non dell'apertura della procedura quale ipotesi di risoluzione, ma del verificarsi del presupposto oggettivo della stessa, vale a dire dello stato di crisi. Sotto questo profilo la norma è del tutto analoga a quella dettata per il fallimento dall'art. 72, comma 6. Ovviamente nel caso in cui la risoluzione del contratto discenda dall'inadempimento, non si può opporre il disposto dell'art. 186-bis, che fa esclusivo riferimento all'apertura della procedura.

Poiché il legislatore non parla di nullità del patto contrario, ma di inefficacia, è da ritenere che nel caso in cui il concordato non sia omologato, il recesso divenga produttivo di effetti. Per altro verso, ancorchè la norma faccia riferimento all'apertura della procedura, è da ritenere che anche il recesso fondato sulla semplice presentazione della domanda, prima che il tribunale abbia pronunciato sull'ammissione, non possa non subire ugual sorte.

Non mi pare che si possa invocare l'art. 1467 e chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Non ricorre infatti un'ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta, atteso che l'ingresso in procedura non è certamente un evento straordinario ed imprevedibile, rientrando nella normale alea d'impresa. Va poi detto che la prosecuzione del contratto avviene alle condizioni contrattualmente pattuite e che quindi non vi è neppure un evento che incide sul sinallagma contrattuale.

Occorre piuttosto avvertire che la banca si riserva normalmente in base alle condizioni generali di contratto una facoltà di recesso che, nella misura in cui non si tratti di un recesso ad nutum, ma invece di un recesso fondato sulla tensione sul conto, sul mancato rientro nei limiti del fido e in generale su situazioni che implicano una deviazione da quello che è l'iter fisiologico del rapporto, possono giustificare il recesso senza che si possa parlare di violazione dell'art. 186-bis.

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