Fallimento ed esercizio provvisorio di ramo d’azienda: quale disciplina per l’impianto fotovoltaico?

18 Gennaio 2016

In caso di fallimento, la presenza di un impianto fotovoltaico non rientrante nell'oggetto principale della società fallita ma accessorio, di sua proprietà (impianto installato sul tetto dell'immobile condotto in locazione e finalizzato a utilizzo diretto dell'energia prodotta e immissione in rete per la quota residuale), dovendo cedere l'energia prodotta alla rete, comporta esercizio provvisorio in quanto identifica un ramo di attività della società fallita? È evidente l'interesse della procedura a proseguire nel contratto cedendo l'energia prodotta e non più utilizzata al fine di incassare quanto derivante dalla convenzione con il gestore. La domanda è posta nell'ottica di comprendere quali provvedimenti autorizzativi richiedere, se del caso, e quali attività porre in essere.

In caso di fallimento, la presenza di un impianto fotovoltaico non rientrante nell'oggetto principale della società fallita ma accessorio, di sua proprietà (impianto installato sul tetto dell'immobile condotto in locazione e finalizzato a utilizzo diretto dell'energia prodotta e immissione in rete per la quota residuale), dovendo cedere l'energia prodotta alla rete, comporta esercizio provvisorio in quanto identifica un ramo di attività della società fallita? È evidente l'interesse della procedura a proseguire nel contratto cedendo l'energia prodotta e non più utilizzata al fine di incassare quanto derivante dalla convenzione con il gestore. La domanda è posta nell'ottica di comprendere quali provvedimenti autorizzativi richiedere, se del caso, e quali attività porre in essere.

RIFERIMENTI NORMATIVI – L'art. 104 l. fall., rubricato “Esercizio provvisorio dell'impresa del fallito” dispone tra l'altro che “Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori. Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell'esercizio dell'impresa, anche limitatamente a specifici rami dell'azienda, fissandone la durata”.

OSSERVAZIONI – La legge fallimentare riformata adesso prevede che il Tribunale o, successivamente, il Giudice Delegato possano autorizzare l'esercizio provvisorio dell'azienda, o di un suo ramo, nel caso in cui l'interruzione dell'attività comporti un “danno grave” e non sussistano pregiudizi per i creditori dalla prosecuzione dell'attività d'impresa (ancorché limitata ad un ramo di attività).
Nel caso in esame, pertanto, occorre anzitutto stabilire se l'impianto fotovoltaico installato sul tetto dell'azienda e destinato principalmente al soddisfacimento del fabbisogno dell'azienda stessa, con re-immissione in rete della parte residua di energia non utilizzata, possa considerarsi un autonomo ramo d'azienda suscettibile di esercizio provvisorio, tenuto conto del costante insegnamento della Suprema Corte secondo la quale, per ramo d'azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata intesa quale entità produttiva funzionalmente autonoma (si veda, ex pluribus, Cass. 9 aprile 2015 n. 7144; Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 3 ottobre 2013, n. 22627).
Ebbene, premesso che la natura giuridica degli impianti fotovoltaici è dibattuta sia in dottrina sia in giurisprudenza ed anche la stessa Amministrazione finanziaria, chiamata in più occasioni a risolvere questioni collegate alla tassazione dei ricavi prodotti dagli impianti fotovoltaici e relative al trasferimento degli stessi, non ha ancora raggiunto una soluzione univoca, si riporta un recente studio del Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 221-2011/C) il quale ha distinto, per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici connessi in rete, “tra piccoli impianti fotovoltaici in rete e centrali fotovoltaiche. I primi sono impianti, generalmente di potenza non superiore a 20 kW, di norma installati su immobili privati e che possono usufruire del servizio “Scambio energia alla pari” (Net-Metering); le centrali fotovoltaiche, invece, sono impianti di potenza superiore a 20 kW generalmente preordinate alla produzione di energia per la vendita”.
Tenuto conto della distinzione prospettata dal Consiglio Nazionale del Notariato e della definizione data dalla Suprema Corte di ramo d'azienda si ritiene che, per gli impianti di potenza inferiore a 20kW, destinati precipuamente alla copertura del fabbisogno energetico del fabbricato, non possa parlarsi di ramo d'azienda suscettibile di autorizzazione all'esercizio provvisorio in caso di fallimento dell'azienda a cui tale impianto risulta(va) servente.
Tra l'altro occorrerebbe anche verificare se la convenzione stipulata con il gestore prevede(va) la possibilità di produrre energia al solo fine di re-immetterla in rete anche per tale tipologia di impianti.
In ogni caso tale nuova destinazione dell'impianto fotovoltaico porterebbe ad escludere, sotto altro profilo, la possibilità di qualificare l'impianto fotovoltaico in esame quale autonomo ramo d'azienda, atteso che per raggiungere tale finalità occorrerebbe mutare la destinazione d'uso di tale impianto (da bene accessorio destinato alla copertura del fabbisogno energetico del fabbricato ad autonomo impianto per la produzione e vendita di energia elettrica).
A conferma di quanto appena esposto, deve darsi atto che nella prassi, qualora l'impianto fotovoltaico non sia ceduto insieme all'azienda, si assiste al trasferimento di tali impianti tramite veri e propri contratti di cessione di ramo d'azienda allorquando il contratto abbia ad oggetto centrali fotovoltaiche (per la produzione di energia elettrica destinata alla vendita) ed insieme all'impianto venga ceduto, oltre alla concessione stipulata con il gestore, anche il bene immobile ove l'impianto è ubicato, mentre, nell'ipotesi di cessione di impianto fotovoltaico accessorio ad un fabbricato, solitamente si assiste alla vendita atomistica di tale bene (anche e soprattutto nel caso di vendite fallimentari in esecuzione del programma di liquidazione).
Ma anche a voler prescindere dalla qualificazione o meno dell'impianto fotovoltaico quale ramo d'azienda, suscettibile di autorizzazione all'esercizio provvisorio, si ritiene che, nel caso in esame, siano carenti gli altri presupposti, previsti dall'art. 104 l. fall., per poter richiedere l'esercizio provvisorio del ramo d'azienda e, in particolare, siano del tutto assenti i “gravi motivi” necessari affinché il Giudice Delegato, successivamente alla declaratoria di fallimento dell'azienda, possa autorizzare – previo parere favorevole del Comitato dei Creditori - l'esercizio provvisorio.
I gravi motivi, infatti, devono essere valutati sempre nell'ottica della migliore liquidazione degli assets fallimentari, atteso che, come noto, l'esercizio provvisorio dell'impresa, ancorché nel vigore della legge fallimentare riformata, risulta caratterizzato da una evidente precarietà e deve essere sempre finalizzato, sia pure indirettamente, alla liquidazione (L. Guglielmucci, “Diritto Fallimentare”, Giappichelli Editore 2013, 73).
In tale ottica la giurisprudenza di merito ha ravvisato la sussistenza di “gravi motivi” legittimanti l'esercizio provvisorio “qualora la pur momentanea interruzione dell'attività di impresa possa pregiudicarne l'avviamento e la possibilità di far luogo alla cessione dell'azienda nel suo complesso e non vi sia rischio di pregiudizio delle ragioni dei creditori”, autorizzando l'esercizio provvisorio “limitatamente all'adempimento degli ordinativi in corso(Tribunale di Lecco 9 luglio 2013) e, ancora, “nella necessità di preservare il know-how dell'impresa al fine di preservare la possibilità di un'immediata riallocazione dell'azienda” (Tribunale di Bologna 14 agosto 2009).
È evidente che la finalità dell'esercizio provvisorio e la sussistenza dei “gravi motivi” legittimanti la sua autorizzazione vadano ravvisati nella salvaguardia degli assets del fallimento (materiali e immateriali) nell'ottica della migliore e più proficua liquidazione dell'attivo e non tanto (o solamente) – come parrebbe nel caso in esame – al fine di percepire i proventi derivanti dalla cessione dell'energia prodotta dall'impianto fotovoltaico che, al più, potrebbe denotare la carenza di pregiudizio del ceto creditorio dall'autorizzazione all'esercizio provvisorio.
In conclusione, deve ritenersi, pertanto, che nel caso di impianto fotovoltaico installato sul fabbricato concesso in affitto all'azienda fallita e destinato principalmente alla copertura del fabbisogno energetico dell'impresa fallita il curatore non possa richiedere l'autorizzazione all'esercizio provvisorio, stante l'impossibilità di identificare in tale impianto un autonomo ramo d'azienda suscettibile di esercizio provvisorio ed essendo altresì assenti i “gravi motivi” necessari affinché il Giudice Delegato possa, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizzare l'esercizio provvisorio, che non possono essere ravvisati (solamente) nell'interesse del ceto creditorio alla percezione dei proventi ritraibili dalla cessione dell'energia prodotta dall'impianto.

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