Cassazione Penale, Sez. V, 19 marzo 2012, n. 10778
La cessione di beni patrimoniali è legittima se destinata alla realizzazione delle finalità d'impresa, da valutarsi in concreto; costituisce, invece, bancarotta fraudolenta l'alienazione di un ramo d'azienda dalla quale derivi la paralisi dell'attività e l'impossibilità di perseguire utilmente l'oggetto sociale.
E' questo il principio che viene affermato dalla sentenza penale n. 10778 della Corte di Cassazione, depositata il 19 marzo scorso. I giudici di legittimità hanno confermato la condanna inflitta a causa della cessione ad altra società di un ramo d'azienda, comprensivo dei cespiti più facilmente collocabili sul mercato, così di fatto distruggendo ogni possibilità di prosecuzione dell'attività commerciale e accelerando il fallimento dell'impresa già in crisi.
Secondo i giudici di legittimità, il criterio discretivo sulla legittimità della manovra di cessione di beni patrimoniali va riferito «all'interesse dell'impresa all'esitazione della porzione di ricchezza in vista, comunque, dell'integrità del suo patrimonio» complessivamente considerato.
L'alienazione può, dunque, considerarsi legittima solo se con essa viene realizzata una finalità aziendale e se, in ogni caso, viene conservato l'ammontare quantitativo del patrimonio sociale.
Al contrario, quando con la perdita del cespite la società perde non solo una porzione di ricchezza, ma anche la possibilità di perseguire utilmente l'oggetto sociale, è ravvisabile una condotta distrattiva fraudolenta che può integrare gli estremi della bancarotta.