Il curatore non risponde degli illeciti commessi da un’impresa fallita

La Redazione
16 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi su una questione riguardante i doveri che sorgono in capo al curatore nel momento in cui subentra in un contratto al posto di una società fallita.

Il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi su una questione riguardante i doveri che sorgono in capo al curatore nel momento in cui subentra in un contratto al posto di una società fallita.

Il caso riguardava una società che, prima che venisse dichiarata fallita, aveva ricevuto da un comune l'ordine di rimuovere entro 90 giorni la situazione di pericolo per la salute pubblica consistente nella presenza di rifiuti depositati nell'area in locazione alla società stessa. La società chiedeva ed otteneva una proroga di 60 giorni del primo termine assegnatole con l'ordinanza del comune.
Prima dello scadere del termine prorogato, al comune veniva comunicato che la società era stata dichiarata fallita e il curatore era diventato avente causa nel contratto di locazione. Il comune rivolgeva quindi al curatore la richiesta di adempiere all'obbligo di rimozione dei rifiuti.
Il curatore proponeva ricorso affermando di essere estraneo all'illecito ambientale commesso dalla società e di essere comunque privo di poteri gestori oltre quelli funzionali alla liquidazione della società e al soddisfacimento della massa dei creditori.
Di diverso avviso era però il Tribunale, che respingeva il ricorso ritenendo che il curatore fosse subentrato al posto dell'impresa fallita nel rapporto di locazione dell'immobile interessato e, di conseguenza, anche nell'obbligo di dare esecuzione alle ordinanze indicate.
Il curatore appellava la sentenza di fronte al Consiglio di Stato, che si pronunciava in senso contrario rispetto al primo grado, richiamando tra l'altro alcuni precedenti di giurisprudenza (Consiglio di Stato n. 3885/2009; n. 4328/2003; Cass. civ. n. 9605/1991; n. 3926/1980) e ribadendo il principio secondo cui la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito: una società che venga dichiarata fallita non perde per questo motivo la propria soggettività giuridica e rimane quindi titolare del proprio patrimonio. L'effetto che deriva dall'intervento di una dichiarazione di fallimento è quello dello spossessamento, ossia la perdita per il fallito della facoltà di disporre, sotto pena di inefficacia dei suoi atti dispositivi. Il fatto che, in conseguenza dell'apertura della procedura fallimentare, i beni del fallito siano nella disponibilità del curatore non è certo sufficiente a traslare in capo a quest'ultimo tutti gli obblighi o gli oneri ad essi relativi, non sussistendo una corresponsabilità del curatore o del fallimento per le condotte anteriormente poste in essere dall'impresa fallita: la stessa ordinanza del sindaco dunque è destinata all'inesecuzione stante l'inottemperanza dell'impresa fallita.
Il curatore resta quindi estraneo agli inconvenienti sanitari riscontrati nell'area, essendo solo un amministratore con facoltà di disposizione dei beni del fallito di cui non acquista la titolarità e tale facoltà di disposizione non è altro che una legittimazione straordinaria fondata sul munus publicum che l'organo concorsuale è chiamato a svolgere.

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