In tema di reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di bancarotta impropria da reato societario, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 46465/2015, ha affermato che l'esposizione in bilancio di passività e crediti inesistenti, strumentale al mascheramento delle distrazioni, quale fatto costitutivo della bancarotta impropria, rientra a pieno titolo nell'esposizione di “fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero” tuttora punita dalla nuova normativa sul falso in bilancio, di cui alla l. n. 69/2015.
La vicenda si è così evoluta: la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato per i reati citati. In particolare, l'imputato in concorso con il ragioniere della società sportiva Ancona Calcio, aveva distratto rilevanti somme di denaro provocando così il dissesto della società, attraverso una serie di operazioni di trasferimento di somme di denaro, dalla Ancona Calcio ai suoi conti personali, giustificandoli con artifici contabili, ad esempio tramite l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti o ancora tramite l'interposizione fittizia di società estere per acquisto simulato di calciatori.
Contro tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l'imputato.
La Suprema Corte, esaminate le doglianze proposte, ha rigettato il ricorso. Nello specifico i Giudici sottolineano che a fronte della certa sussistenza di una serie di episodi distrattivi (tra i quali i pagamenti in nero), il ricorrente si duole dell'operato del perito che avrebbe esaminato le censure di ordine tecnico sollevate dalla difesa alla stregua della sola contabilità ufficiale della società sportiva, che risulta di per sé inidonea a dare un risultato diverso da quello della mancanza di tracce dei pagamenti in nero.
La Corte, seguendo la funzione nomofilattica, deduce che il mancato reperimento di beni ad oltre utilità, già nella disponibilità della società fallita, è idoneo a fondare la ragionevole presunzione della loro distrazione, ove l'imputato non ne giustifichi l'impiego per fini aziendali, ciò non implicando indebita inversione dell'onere probatorio. Senza tralasciare che – come evidenziato già nelle sentenze di merito – l'entità degli ammanchi contestati supera di molto l'entità dei compensi indicati dalla difesa come corrisposti in ‘nero'.
La tesi dei pagamenti in ‘nero', anche se provata, non sarebbe comunque idonea ad attribuire agli ammanchi una destinazione conforme agli scopi sociali. Dunque, le erogazioni effettuate fuori busta ai dipendenti con denaro o altri beni della società poi dichiarata fallita che non avvengano in cambio di adeguata contropartita o che non siano assistite da valide garanzie e non corrispondenti ad un effettivo interesse economico della società medesima, costituiscono condotte di dissipazione del patrimonio societario e non di distrazione.