Il trattamento del leasing nel concordato preventivo

Danilo Galletti
25 Gennaio 2012

Nei concordati preventivi, ove il debitore sia vincolato da contratti di leasing non risolti al momento dell'accesso alla procedura, sembra allo stato impossibile ipotizzare che l'obbligatorietà del concordato possa produrre l'effetto di falcidiare i crediti del concedente scaduti successivamente all'ammissione.

Nei concordati preventivi, ove il debitore sia vincolato da contratti di leasing non risolti al momento dell'accesso alla procedura, sembra allo stato impossibile ipotizzare che l'obbligatorietà del concordato possa produrre l'effetto di falcidiare i crediti del concedente scaduti successivamente all'ammissione.

Come è noto, il diritto concorsuale pur riformato non prevede una specifica disciplina dei rapporti pendenti in ordine al concordato preventivo. Risulta ormai acclarata in particolare, quanto al leasing, la inapplicabilità tanto dell'art. 72-quater l. fall. quanto dell'art. 74 l. fall.
Il leasing, a prescindere dalla sua “variante” (di godimento o traslativa), è un contratto ad esecuzione continuata o periodica, e dunque le prestazioni scadute in epoca antecedente all'ammissione debbono subire la falcidia concordataria, laddove le successive saranno soddisfatte integralmente (c.d. scindibilità delle prestazioni).
In senso contrario, di recente, si sono avanzate alcune proposte ermeneutiche.
Così, si sono valorizzati al massimo i disposti di cui agli artt. 167-168 l. fall., a sottolineare l'incidenza dell'apertura della procedura sull'esercizio dell'impresa, cosicché l'esecuzione di quei contratti, pur “pendenti”, che non siano direttamente strumentali alla prosecuzione dell'attività d'impresa dovrebbe configurarsi come materia di “straordinaria amministrazione”, presupponente l'autorizzazione del G.D. ai sensi dell'art. 167 l. fall.; ed ancora si è enfatizzato il significato dell'espresso rinvio dell'art. 169 l. fall., nel testo riformato, anche all'art. 45 l. fall.
Da altro punto di vista, si è ritenuto che il debitore potrebbe inserire nel piano concordatario una clausola contenente esplicita proposta diretta al leasing, al fine di risolvere o comunque modificare il contratto; la tutela del contraente in bonis sarebbe racchiusa nella possibilità di votare contro la proposta, eventualmente sollecitando anche il giudizio di cram down.
Ancora, si è proposto di considerare il leasing come un rapporto in realtà non “pendente”, stante la insussistenza di obbligazioni residue in capo al concedente, tale da assimilare la posizione contrattuale del medesimo a quella di un mero creditore, falcidiabile ai sensi dell'art. 184 l. fall.
Tali prospettazioni tuttavia sembrano scontare talune non indifferenti forzature sistematiche.
Da un lato, infatti, gli artt. 167 e 168 l. fall. non sembrano autorizzare interventi così penetranti degli organi della procedura nel campo dei contratti in corso, nell'ambito di una procedura concorsuale priva di spossessamento, se non in forma meramente “attenuata”, laddove la tesi proposta in sostanza comporterebbe l'importazione nel campo del concordato della disciplina del fallimento (artt. 72 ss. l. fall.), addirittura privata di quegli elementi normativi espressione della volontà del Legislatore di contemperare l'interesse della Massa con quello del contraente in bonis (e così attribuendo paradossalmente al debitore concordatario privilegi superiori a quelli della curatela fallimentare).
Dall'altro, il significato dell'inserimento espresso dell'art. 45 l. fall. nella sfera dei rimandi di cui all'art. 169 l. fall. pare assai meno pregnante di quanto auspicato.
Quanto poi all'argomento che valorizza la elasticità e la “atipicità” del piano, avente natura obbligatoria per tutti i creditori antecedenti, l'ambito del principio di maggioranza, che configura l'attribuzione di un “potere privato” alla maggioranza, come tale soggetto ad interpretazione necessariamente restrittiva, è saldamente ancorato al dominio dell'obbligazione, e non del contratto.
D'altro canto, nel nostro sistema la considerazione differenziata di debito (come obbligazione rimasta “isolata” dalla sua matrice genetica contrattuale) e posizione contrattuale (benché “passiva”) è assai comune (arg. ex artt. 2558-2560 c.c.), e risponde anche all'esigenza di tutelare il contraente in bonis, il quale altrimenti si troverebbe a dover subire lo sconvolgimento del sinallagma contrattuale, ove esso potrebbe essere esposto al rischio di dover comunque erogare la propria prestazione, in forma al limite integrale, nonostante la “riduzione” eteroimposta dal concordato della controprestazione. Ciò anche in evidente contrasto con l'argomento sistematico ricavabile dalla disciplina di cui all'art. 56 l. fall.
Quanto poi alla tesi della c.d. unilateralità del contratto di leasing, va detto che la stessa parrebbe in sostanza trattare il lessor alla stregua del creditore mutuante, ove infatti la tesi dominante (in realtà avversata in letteratura da opinioni discordanti) predica l'applicazione dell'art. 55 l. fall. (ritenuto assimilabile all'art. 1186 c.c.) al fine di conseguire l'effetto della risoluzione del contratto alla data del fallimento (mutatis mutandis, ai sensi dell'art. 169 l. fall., del deposito del ricorso).
Tuttavia la “debolezza” del sinallagma nell'ambito della figura generale del contratto di locazione è noto alla civilistica da sempre, ove infatti si ricorre alla teorizzazione di un inedito obbligo del locatore di “lasciar godere” il conduttore; ma ciò non ha impedito al Legislatore di trattare comunque la locazione come un rapporto “pendente” nell'ambito del fallimento (arg. ex art. 80 l. fall.).
Ed anche la notoria difficoltà dogmatica di applicare al contratto di mutuo i rimedi tipici dei contratti a prestazioni “corrispettive” non sembra sufficiente a poter predicare la trasformazione del contratto di leasing in mera obbligazione del concessionario di corrispondere i canoni, sia pur con cadenze ripetute e periodiche, a causa della maggior complessità del regolamento negoziale, che non pare riducibile sotto il profilo giuridico al mero “differimento” di un obbligazione di restituire una somma di denaro.
Pertanto, in conclusione, pur se sarebbe forse auspicabile un intervento legislativo, che contemperi i vari interessi coinvolti, è allo stato a mio avviso semplicemente impossibile, dal punto di vista economico, prima che giuridico, approdare a risultati ermeneutici compatibili con quelli proposti.

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