Fattibilità giuridica vs. fattibilità economica

13 Gennaio 2014

Con la decisione n. 24970 del 6 novembre 2013, la Corte di cassazione torna ad affrontare la spinosa questione del sindacato del giudice sulla fattibilità del piano concordatario. E riafferma il principio già espresso con la sentenza delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013 sulla piena sindacabilità, anche in via di ufficio, della fattibilità giuridica, “intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili” e della fattibilità economica, “intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo”, il sindacato sulla quale deve invece limitarsi alla “verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato”, causa che proprio in quanto concreta, ossia aderente al caso storico, rimane “individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole”.

Con la decisione n. 24970 del 6 novembre 2013, la Corte di cassazione torna ad affrontare la spinosa questione del sindacato del giudice sulla fattibilità del piano concordatario. E riafferma il principio già espresso con la sentenza delle Sezioni Unite n. 1521 del 2013 sulla piena sindacabilità, anche in via di ufficio, della fattibilità giuridica, “intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili” e della fattibilità economica, “intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo”, il sindacato sulla quale deve invece limitarsi alla “verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato”, causa che proprio in quanto concreta, ossia aderente al caso storico, rimane “individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole”.
La grande differenza tra l'amplissimo spazio del giudizio sulla fattibilità giuridica e invece l'angusta area in cui può svolgersi la valutazione sulla sussistenza della fattibilità economica viene giustificata con la considerazione che “la fattibilità economica … è intrisa di valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l'impianto generale prevalentemente contrattualistico dell'istituto del concordato”.
La giurisprudenza di merito spesso non è d'accordo; il sindacato sulla fattibilità economica è nei fatti e in molti casi estremamente penetrante.
Gli episodi che giungono all'esame della Suprema Corte non possono ovviamente essere utilizzati per fare statistica, tenuto conto del fatto che nella materia fallimentaristica, come è consapevolezza diffusa, il giudice in pratica decide quasi sempre in prima ed unica istanza, giacché gli effetti della decisione sull'impresa sono nei fatti immediatamente risolutivi; cosicché i debitori e i loro avvocati tendono ad uniformarsi all'opinione dei tribunali cercando di realizzarne i suggerimenti nella conformazione della domanda di concordato e del piano rispetto alla prospettazione inizialmente proposta.
Lo stesso indirizzo di legittimità che stiamo discutendo si risolve in realtà in un mero escamotage argomentativo: nel tentativo di affermare un determinato indirizzo, fortemente limitativo del giudizio sulla fattibilità, la Cassazione si preoccupa di occultarne la reale portata in modo da renderlo digeribile ai tribunali più riottosi. Così quel giudizio, in sostanza escluso con riguardo alla fattibilità economica, si espande in tutta la sua ampiezza circa la fattibilità giuridica.
La ricerca del consenso è però pagata a caro prezzo. Lo sdoppiamento del giudizio di fattibilità nell'ambito giuridico e nell'ambito economico ha raddoppiato la presenza, nell'ordinamento, di un concetto nuovo e indeciso, quale appunto quello di “fattibilità”. La questione si è poi ulteriormente complicata con il ricorso all'idea della “causa concreta”, elaborata nel diverso settore del diritto contrattuale e difficilmente collocabile nel contesto delle procedure concorsuali.
Eppure sarebbe semplicissimo chiamare le cose con il loro nome. “Fattibilità giuridica” sta per giudizio di ammissibilità. Si tratta del giudizio di conformità della domanda alle norme imperative dell'ordinamento civilistico (oltre che penalistico) che cadono in questione della singola domanda di concordato (come accade per il giudizio sulla domanda che si preoccupi della continuità aziendale dell'impresa illecita). La fattibilità giuridica vorrebbe dunque indicare il giudizio di legalità che spetta al giudice sul concordato. Ma ovviamente, affermare che un qualsiasi istituto non sia giuridicamente “fattibile” rimane un modo molto curioso di esprimersi: non soltanto estremamente lontano dal lessico giuridico, ma anche dal buon italiano.
Fattibilità economica” sta per realizzabilità del programma economico descritto nel piano concordatario. Quest'ultimo, risolvendosi in una strategia di natura economica di ristrutturazione dell'attività (anche a fini di liquidazione del patrimonio), è suscettibile di essere valutato sul piano economico.
Una valutazione economica spetta senza dubbio ai partner economici del debitore. In primo luogo ai creditori concorsuali, inoltre a tutti gli altri soggetti chiamati a collaborare nella ristrutturazione pur non essendo creditori concorsuali (nuovi finanziatori, affittuari o acquirenti di aziende o di beni, nuovi fornitori, e così via). Non spetta invece al giudice esprimere valutazioni economiche sugli atti di autonomia privata, poiché egli esprime solo valutazioni giuridiche.
In settori contigui al diritto della crisi d'impresa, in cui pure si realizzano scelte economiche e pianificazioni di attività di impresa, dottrina e giurisprudenza non sono assillate dai dubbi che assillano i fallimentaristi.
Il giudice chiamato a sindacare la condotta degli amministratori di una società commerciale limiterà il suo giudizio sul piano giuridico e verificherà se la condotta degli amministratori sia conforme al diritto; non entrerà mai nel merito della scelta economica e non sostituirà mai la propria opinione, o l'opinione di qualche parte processuale, all'opinione degli amministratori sulla bontà della scelta economica adottata (e così, esemplarmente, della pianificazione dell'attività d'impresa deliberata dagli amministratori).
Né lo spazio che la Cassazione riconosce in ogni caso al giudizio sulla fattibilità economica contraddice queste conclusioni come valide anche nel diritto fallimentare. La radicale irragionevolezza, la manifesta illogicità della pianificazione economica, descritta come mancanza della causa in concreto, sono oggetto di un giudizio comunque indefettibile, in quanto preoccupato di escludere in ogni caso idee strampalate sulla soluzione della crisi d'impresa.
Chi ha voglia di ripercorrere la giurisprudenza sulla mancanza di causa, si rende conto immediatamente della particolarità dei casi concreti in cui i giudici hanno ritenuto che mancasse una qualsiasi ragionevolezza economica nell'affare sottoposto alla loro attenzione e veicolato in un atto di autonomia privata (in genere, un contratto).
Il giudizio sulla manifesta illogicità del piano è quindi intrinsecamente rivolto alla emarginazione dei casi in cui sia riscontrabile una manifesta illogicità desumibile dalla lettura stessa del piano concordatario. Così nel caso in cui sia dichiarata o risulti soltanto remota la possibilità del pagamento promesso ai creditori, oppure quel pagamento risulti condizionato ad eventi del tutto sottratti al dominio del debitore.

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