La perdita del feto non causa un mero “danno potenziale”

La Redazione
10 Ottobre 2025

Una recente pronuncia della Corte di cassazione si è occupata di ribadire l’assimilabilità tra il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici e il danno da perdita del rapporto parentale.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dai congiunti di una bambina nata priva di vita avverso la pronuncia della Corte d'appello di Napoli la quale aveva a sua volta parzialmente accolto il gravame proposto dalla azienda ospedaliera avverso la sentenza di loro condanna pronunciata dal Tribunale di Benevento. La Corte d'appello aveva nella sostanza affermato che, stante il mancato instaurarsi, nel caso di specie, di una “relazione affettiva”, bensì di un mero “rapporto affettivo potenziale”, risultasse equa e congrua la liquidazione del risarcimento in misura pari alla metà del minimo riconoscibile in base alle tabelle milanesi all'epoca operative (ciò in base a quanto espresso dalla Suprema Corte nelle pronunce Cass. 22859/2020 e Cass. 12717/2015).

La Corte – richiamando i principi espressi da Cass. 26301/2021 – si concentra dunque sul sintagma “danno potenziale”, impiegato dalla Corte d'appello. Ritiene la S.C. che tale espressione non possa che leggersi come riferita «alla (mancata) evoluzione di un rapporto genitore-figlio, normalmente destinato a dipanarsi nel tempo, ed impedito dalla colpevole attività dei sanitari». Di converso è errata – per la sua non attinenza alla realtà, prima ancora che al diritto – una interpretazione del “danno potenziale” che ne escluda la rilevanza sia sotto il profilo della sofferenza interiore (specie della madre), sia sotto quello dinamico-relazionale.

Si legge nella pronuncia che «è constatazione diffusa (…) che già durante la gravidanza il genitore comincia a viversi come tale, instaurando una relazione affettiva (oltre che strettamente biologica, da parte della madre) con il concepito, adeguando alla nuova situazione, al tempo stesso attuale e in fieri, la propria dimensione di vita. Ove l'illecito abbia causato la morte del feto, quella che si produce è, dunque, lesione di un rapporto familiare (non solo potenziale, bensì) già in essere».

La Corte di cassazione enuncia pertanto i seguenti principi di diritto, cui dovrà attenersi il giudice del rinvio: «In tema di responsabilità sanitaria, il danno da perdita del feto imputabile ad omissioni e ritardi dei medici è morfologicamente assimilabile al danno da perdita del rapporto parentale, che rileva tanto nella sua dimensione di sofferenza interiore patita sul piano morale soggettivo, quanto nella sua attitudine a riflettersi sugli aspetti dinamico-relazionali della vita quotidiana dei genitori e degli altri eventuali soggetti aventi diritto al risarcimento del danno.

In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento prima della sua venuta in vita, imputabile a omissioni e ritardi dei medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, che si manifesta prevalentemente in termini di intensa sofferenza interiore tanto del padre, quanto (e soprattutto) della madre.

In tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito è tenuto ad applicare le tabelle milanesi, utilizzandone i singoli parametri alla luce dei principi in tema di morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, procedendo altresì, tutte le volte in cui sia possibile, all'interrogatorio libero delle parti ex art. 117 c.p.c.»

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