Concessione in comodato dell'immobile da parte dell'usufruttuario
11 Settembre 2025
Massima L'espressione adottata dall'usufruttuario di un immobile “ritengo che la migliore soluzione da prendere con sollecitudine potrebbe essere quella di sistemarvi liberamente e definitivamente in questo appartamento abbastanza confortevole per tutti noi”, attesta inequivocabilmente la volontà di concedere alle parti il godimento di quel bene al fine di soddisfare anche le loro esigenze abitative; trattasi, dunque, di paradigma negoziale ascrivibile alla fattispecie delineata dagli artt. 1809 e 1810 c.c., in quanto le formule “liberamente” e “definitivamente” sono idonee a qualificare la natura gratuita della concessione in godimento del bene (caratteristica tipica del comodato), così come la sua assenza di termine, volto a soddisfare le esigenze abitative degli interessati, finché sussistenti. Il caso In una scrittura privata del 2009, prodotta in giudizio e recante la firma risultata ascrivibile con certezza al firmatario (all'epoca usufruttuario del bene), nonno dell'attore, nonché padre di uno dei convenuti (l'altro è la nuora), l'uomo aveva espresso la volontà di concedere a tutte le parti dell'odierno giudizio (ovvero suo figlio e la nuora, oggi convenuti, nonché al loro figlio e suo nipote, oggi attore) il godimento di un appartamento, ritenuto abbastanza confortevole per tutti, al fine di soddisfare anche le loro esigenze abitative (“ritengo che la migliore soluzione da prendere con sollecitudine potrebbe essere quella di sistemarvi liberamente e definitivamente in questo appartamento abbastanza confortevole per tutti noi”). L'attore - che, all'epoca della scrittura del 2009, era già nudo proprietario, per testamento della nonna del 2005, e a sua volta parte dell'offerta unilaterale del nonno, alla quale tutti hanno dato spontanea attuazione - non aveva mosso alcuna obiezione o riserva a quel “definitivamente” contenuto nella scrittura del nonno. Lo stesso attore si richiamava all'art. 1809, comma 2, c.c. chiedendo la restituzione immediata del bene, adducendo un urgente bisogno, e sostenendo di aver stipulato un contratto di mutuo per l'acquisto di una nuova casa, richiamando altresì la nascita del figlio. Risulta infatti che, nel 2022, l'attore ha acquistato con la moglie un immobile, pagato mediante due bonifici. Non è stata, però, fornita alcuna documentazione in merito alla stipulazione di un mutuo per tale acquisto. I genitori dell'attore, oggi convenuti, hanno continuato a vivere in tutti questi anni nell'immobile oggetto di causa, sostenendo nel 2023, dopo la cessazione dell'usufrutto, anche le spese straordinarie (seppur imputate dall'amministratore al figlio attore), legittimando in tal modo un affidamento degli stessi nella ratifica della pattuizione disposta dal defunto nonno. Costituendosi in giudizio, i convenuti hanno esperito domanda riconvenzionale chiedendo il riconoscimento di alimenti, anche in via compensativa mediante il godimento dell'immobile. La questione Si tratta di stabilire, nello specifico, se un bene immobile concesso in comodato dall'usufruttuario, possa continuare ad essere goduto dai comodatari alla morte di quest'ultimo. Le soluzioni giuridiche Il Tribunale ritiene non fondata la domanda attorea, rigettandola. Afferma, infatti, che la detenzione del bene in capo ai convenuti sia legittimata da un contratto di comodato tutt'ora vigente. In particolare, rappresenta che le espressioni “liberamente” e “definitivamente”, utilizzate dal firmatario della scrittura del 2009, siano idonee a qualificare la natura gratuita della concessione in godimento del bene, caratteristica tipica del comodato, così come la sua assenza di termine, volta a soddisfare le esigenze abitative degli interessati fino a che le stesse rimangano sussistenti. Inquadra, dunque, la fattispecie in esame in quella descritta negli artt. 1809 e 1810 c.c. Dichiara, inoltre, inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti, i quali si erano costituiti tardivamente, e condanna l'attore a rifondere a questi ultimi le spese di lite e a pagare le spese di CTU. Osservazioni La situazione in esame assume rilevanza in quanto il soggetto (nonno) che ha concesso in comodato gratuito il bene immobile, affinché i comodatari tutti se ne servissero “liberamente” e “definitivamente” per soddisfare le proprie esigenze abitative, era, a sua volta, usufruttuario del bene stesso. Il quadro si è ulteriormente complicato alla morte dell'usufruttuario, quando appunto si è avuta la confusione del diritto di usufrutto in capo al nudo proprietario, il quale ha così riacquistato la piena proprietà del bene. L'usufrutto - che insieme all'uso e all'abitazione appartiene alla categoria dei diritti reali di godimento su cosa altrui - è un istituto disciplinato dal legislatore negli artt. 978 ss. c.c. e consiste nel diritto di godere della cosa, traendone ogni utilità che questa può dare, nel rispetto della sua destinazione economica (art. 981 c.c.). La facoltà di godimento comprende l'uso della cosa, lo sfruttamento diretto del bene, consistente nella produzione e nella percezione dei frutti naturali (art. 984 c.c.) e di tutte le utilità che la cosa può fornire, nonché lo sfruttamento indiretto del bene, attraverso l'attribuzione a terzi dell'utilizzazione della res e la conseguente percezione dei frutti civili. Costituisce ulteriore espressione di tale facoltà di godimento la possibilità riconosciuta all'usufruttuario di apportare alla cosa dei miglioramenti (art. 985 c.c.) e eseguire addizioni (art. 986 c.c.) purché non ne alterino la destinazione economica. L'usufruttuario ha il diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l'usufrutto (art. 982 c.c.), potendo utilizzare l'immobile direttamente oppure concederne l'uso a terzi, mediante un contratto di locazione (al fine di percepirne il canone) o mediante un comodato. Quest'ultimo (detto anche prestito d'uso) è un contratto con il quale una parte (comodante) consegna ad un'altra (comodataria) un bene mobile o immobile affinché se ne serva e ne goda per un periodo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituirlo (art. 1803, comma 1, c.c.). È un contratto essenzialmente gratuito (art. 1803, comma 2, c.c.): qualora infatti fosse previsto un sacrificio patrimoniale in capo al comodatario, il contratto cambierebbe natura. Il codice civile disciplina due "forme" di comodato, quello propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c. e il c.d. precario, al quale si riferisce l'art. 1810 c.c., sotto la rubrica "comodato senza determinazione di durata". È solo nel caso di cui all'art. 1810 c.c., connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dall'impossibilità di desumerlo dall'uso cui doveva essere destinata la cosa, che è consentito chiedere ad nutum il rilascio al comodatario. L'art. 1809 c.c. concerne invece il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale. Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno (art. 1809, comma 2, c.c.). È a questo tipo contrattuale che va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso anche nelle sue potenzialità di espansione. Si tratta, infatti, di contratto sorto per un uso determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, che può essere, cioè, individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale. L'art. 1809 c.c. non dà tutela a ogni esigenza del comodante di rientrare in possesso del bene concesso in comodato. Esso contiene un criterio di equo contemperamento dei contrapposti interessi: quello del comodante a rientrare in possesso del bene prevale su quello del comodatario soltanto di fronte al sopravvenire di un bisogno che sia urgente e imprevisto. La Suprema Corte - nella sua massima composizione (Cass. civ., sez. un., 29 settembre 2014, n. 20448; v., altresì, Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2023, n. 18334) - ha avuto modo di affermare che il connotato essenziale del bisogno legittimante il recesso non è qualitativo, ma cronologico. Con ciò volendo significare che tale bisogno, anche se non pretestuoso, voluttuario o artificiosamente indotto, non deve per forza essere grave, quanto piuttosto imprevisto, ossia sopravvenuto rispetto al contratto. Deve, inoltre, essere urgente. L'urgenza è da intendersi come imminenza, restando quindi esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale e non concreto, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. Pertanto, non solo la necessità di uso diretto, ma anche il sopravvenire imprevisto del deterioramento della condizione economica del comodante, che obiettivamente giustifichi la restituzione del bene per disporne in modo più redditizio (ad es. ai fini della vendita o di una locazione del bene immobile), consente di porre fine al comodato, anche se la destinazione sia quella di casa familiare (ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante) o di abitazione (nel qual caso, divenendo la rilevanza dell'interesse del comodatario più significativa, s'impone al giudice una ponderazione delle esigenze del comodante improntata all'attenta valutazione dei requisiti di fattispecie posti a fondamento dell'esercizio del recesso, così Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2016, n. 20892; cui adde Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2019, n. 6323). Nel caso in esame, l'attore ha chiesto la restituzione immediata del bene sostenendo di aver stipulato un contratto di mutuo e di aver acquistato una nuova casa, indipendente dalle vicende dell'immobile de quo, occupato dai genitori. In realtà, l'immobile risulta acquistato dall'attore insieme alla moglie e pagato mediante due bonifici, mentre non è stata documentata in alcun modo la stipulazione del mutuo per tale acquisto. Certamente, è logico presumersi che, se anche questo mutuo esistesse davvero, lo stesso era stato concesso a fronte di garanzie patrimoniali e potenzialità economiche dei coniugi. Tutto ciò porta inevitabilmente a ritenere che manchi, in una siffatta situazione, una necessità urgente e imprevista che sola giustificherebbe l'anticipato recesso ai sensi dell'art. 1809 c.c. Il giudicante toscano, in questo caso, ha fatto propri e si è dunque richiamato, mutatis mutandis, ai principi validi in tema di comodato avente ad oggetto la casa coniugale, pur trattandosi di differente materia. In questo àmbito, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che ove il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare già formato o in via di formazione, si versa nell'ipotesi del comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare e dalla impossibilità di risoluzione dello stesso in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante, dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi (Cass. civ., sez. un., 21 luglio 2004, n. 13603). Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità, come appunto nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Massa. Volendo concludere, il vincolo di destinazione è idoneo a conferire all'uso della cosa il carattere di termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma strettamente correlata alla destinazione impressa e alle finalità cui essa tende. Pertanto, come nel caso di comodato avente ad oggetto un immobile destinato a casa coniugale - che rientrerebbe nell'ipotesi di cui all'art. 1809, comma 1, c.c., la cui restituzione, pertanto, è legata al termine dell'utilizzo - stesso discorso si ritiene possa affermarsi anche per il caso sottoposto al nostro esame. Riferimenti Trolli, Sul diritto alla restituzione dell'immobile concesso in comodato per esigenze familiari, in Fam. e dir., 2024, fasc. 5, 485; Todeschini Premuda, Comodato senza determinazione di durata e recesso in caso di necessità, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1139; Mascia, Comodato di un immobile adibito a casa familiare, in IUS Condominio e locazione, 18 ottobre 2022. |