Come la cassazione limita l’uso delle perdite fiscali nelle fusioni: serve vitalità anche nel periodo retrodatato
08 Settembre 2025
La fattispecie La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento nei confronti di una società per azioni, mediante il quale l'Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito d'impresa per l'anno d'imposta 2011, disconoscendo le perdite confluite nella newco, risultante da una fusione per incorporazione con una controllata. L'operazione, avvenuta il 2 dicembre 2011 ma retrodatata al 1° gennaio dello stesso anno, secondo l'Ufficio si poneva in violazione dell'art. 172, comma 7, TUIR, in quanto non risultava superato il "test di vitalità" riferito anche al periodo oggetto di retrodatazione. Inoltre, la società non aveva presentato interpello disapplicativo. La società ha impugnato l'avviso, ma la Commissione Tributaria Provinciale ha rigettato il ricorso. La contribuente ha quindi proposto appello alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che lo ha accolto. L'Agenzia delle Entrate ha infine proposto ricorso per cassazione, lamentando, con il primo motivo, la violazione dell'art. 172, comma 9, TUIR, per avere la CTR erroneamente ritenuto che il test di vitalità fosse riferibile solo all'esercizio antecedente la fusione. Con un secondo motivo, l'Amministrazione finanziaria ha eccepito la violazione degli artt. 101 e 106 TUIR, sostenendo che le perdite su crediti nei confronti di soggetti in procedura concorsuale vadano dedotte nell'esercizio in cui è intervenuto il fallimento o il concordato. La decisione della Corte Pur riconoscendo la pacifica ammissibilità dell'operazione di fusione per incorporazione con effetti fiscali retroattivi, la Suprema Corte ha chiarito che, ai fini del riporto in diminuzione delle perdite pregresse, è necessario che le società partecipanti superino il c.d. “test di vitalità” non solo con riferimento all'esercizio precedente la fusione, ma anche relativamente al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia giuridica dell'operazione straordinaria. Tale conclusione discende dalla modifica dell'art. 172, comma 7, TUIR, operata dall'art. 35, comma 17, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che ha esteso le limitazioni al riporto delle perdite anche al risultato negativo prodotto nel periodo in cui ha luogo la fusione. Conseguentemente, le perdite pregresse possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dall'operazione straordinaria entro i limiti del patrimonio netto emergente dall'ultimo bilancio, ovvero, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di fusione, depurata dei conferimenti e versamenti effettuati nei ventiquattro mesi precedenti, con esclusione di quelli statali o pubblici effettuati ex lege. Inoltre, la società interessata deve superare la prova dell'operatività, dimostrando, nel conto economico relativo all'esercizio precedente alla fusione, la presenza di componenti reddituali rappresentative di effettiva attività d'impresa: in particolare, ricavi e proventi dell'attività caratteristica e spese per lavoro subordinato, comprensive dei relativi contributi, in misura superiore al 40% della media dei due esercizi precedenti. Tali requisiti, spiega la Corte, nel caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, devono essere presenti anche per il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia dell'operazione; infatti, l'ammontare delle suddette poste relativo al suddetto intervallo temporale deve essere ragguagliato ad anno cosicché il confronto con la media degli ultimi due esercizi precedenti possa essere effettuato tra dati omogenei. Le disposizioni di cui all'art. 172 cit., secondo la giurisprudenza di legittimità “perseguono l'obiettivo di evitare l'incorporazione di società inattive a fini elusivi e la fusione di scatole vuote o cariche solo di perdite da portare in “dote” all'incorporante, ma oramai svuotate di ogni concreta operatività, ed esige che la società abbia una residua efficienza, costituendo il predetto limite una presunzione di legge di operatività, che rende irrilevanti, a tali fini, depotenziamenti dell'attività contenuti in tali limiti, ma senza, nel contempo, pretendere alcun depotenziamento (Cass. civ., Sez. V, Ord. 17.7.2019, n. 19222). In continuità con tale impostazione, la Cassazione ha ribadito che: “in tema di reddito imponibile di società partecipanti ad una operazione di fusione, la disciplina contenuta nell'art. 172, comma 7 del TUIR posta a tutela del rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente o prevalentemente elusivi , costituisce una regola “circolare”, che, mediante l'identificazione di criteri legali presuntivi ma specificatamente predeterminati, assicura all'operatore economico la conoscenza degli effetti della fusione sotto il profilo fiscale ed è in ogni caso disapplicabile, mediante il ricorso all'interpello previsto dall'art. 11 della L. 212 del 2000, qualora sia dimostrato che la società partecipante all'operazione, pur con perdite fiscali incompatibili con la deducibilità dal reddito della società risultante dalla fusione, non è una scatola vuota” (Cass. civ., Sez. V, Sent. 16.1.2023, n. 1035). La Corte chiarisce, inoltre, che la ratio della normativa sarebbe facilmente elusa se si trascurasse il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia della fusione, poiché in tale intervallo la società potrebbe essere svuotata di contenuto economico, vanificando il test di vitalità, che diverrebbe così una mera formalità priva di sostanza (“una mera quanto inutile formalità priva di efficacia effettiva”). In aggiunta a ciò, viene ribadito che, se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano già possedute dalla società incorporante o da altra società coinvolta nella fusione, le perdite non possono essere riportate in diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare della svalutazione effettuata su tali partecipazioni ai fini della determinazione del reddito. L'assenza anche solo di uno solo dei tre requisiti suddetti, aggiunge la Corte, “determina l'inapplicabilità del regime previsto dalla norma [art. 172 TUIR], stante la sua funzione, operante all'interno delle norme impositive, di presiedere alla determinazione dell'imponibile e del reddito di imposta”. La Corte conclude dunque affermando che, in caso di fusione con effetti fiscali retrodatati, il test di vitalità economica ex art. 172, comma 7, TUIR si estende anche al periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia giuridica dell'operazione, e che la sua mancata verifica determina l'impossibilità di riportare in diminuzione le perdite pregresse. La normativa di riferimento L'art. 172, comma 7, TUIR disciplina le condizioni per il riporto delle perdite pregresse nelle fusioni societarie, stabilendo che tale riporto è consentito entro il limite del patrimonio netto risultante dal bilancio (o dalla situazione patrimoniale ex art. 2501-quater c.c.), depurato dei conferimenti effettuati nei 24 mesi precedenti. È inoltre richiesto che la società cedente dimostri un minimo livello di operatività economica, con ricavi e spese per lavoro subordinato superiori al 40% della media dei due esercizi precedenti. Il medesimo comma, come modificato dall'art. 35, comma 17, D.L. 223/2006, estende queste limitazioni anche al risultato negativo prodotto nel periodo intercorrente tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia giuridica della fusione, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali ai sensi del comma 9. Il comma 9 consente infatti che gli effetti fiscali della fusione decorrono da una data anteriore, purché non precedente alla chiusura dell'ultimo esercizio di una delle società fuse. A livello civilistico, l'art. 2501-quater c.c. regola la situazione patrimoniale di fusione, utile ai fini del calcolo del patrimonio netto deducibile. L'art. 2425 c.c., invece, fornisce lo schema del conto economico necessario per valutare i requisiti di operatività. Infine, l'art. 11 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000) consente il ricorso all'interpello disapplicativo qualora il contribuente intenda dimostrare l'assenza di finalità elusive, anche in presenza di requisiti solo parzialmente soddisfatti. In conclusione La decisione della Suprema Corte introduce un importante tassello di chiarezza nella disciplina del riporto delle perdite nelle operazioni straordinarie. Il principio di diritto affermato rende effettiva la ratio antielusiva dell'art. 172 TUIR, bilanciando l'esigenza di flessibilità operativa con quella di tutela dell'equità fiscale: le perdite pregresse sono riportabili solo a condizione che le società dimostrino una continuità economica sostanziale non soltanto nell'esercizio precedente, ma anche nella frazione di esercizio compresa tra l'inizio dell'anno e la data di efficacia della fusione. Questa impostazione consolida la certezza del diritto, riduce i margini di pianificazione fiscale aggressiva – impedendo il travaso di mere “doti” di perdite – e, nel contempo, preserva uno spazio di legittima flessibilità mediante l'interpello disapplicativo, che consente al contribuente di comprovare l'assenza di finalità elusive anche in presenza di requisiti formali non pienamente soddisfatti. |