Responsabilità civile dei magistrati e mancato rispetto del termine di conclusione delle indagini preliminari: la persona offesa che non ha presentato denuncia querela e non si è costituita parte civile non ha diritto al risarcimento
08 Settembre 2025
Massima In tema di responsabilità civile dei magistrati, è esclusa la risarcibilità dei danni subiti, a causa del mancato rispetto del termine di conclusione delle indagini preliminari, dalla persona offesa che non ha presentato denuncia querela e non si è costituita parte civile, non essendo né l'una (querela), né l'altra (costituzione di parte civile) condizioni necessarie per poter agire civilmente e non potendo i lamentati danni essere considerati conseguenza immediata e diretta della mancata tempestiva conclusione delle indagini. Il caso Nel caso di specie, una vittima di truffa citava in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni tutti patiti, patrimoniali e non, ai sensi degli artt. 2 e 3 della legge n. 117 del 1988 in tema di responsabilità civile dei magistrati. A sostegno della domanda evidenziava che aveva sporto denuncia per truffa, ma il processo penale si era tuttavia concluso con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, lamentando la colpa grave del PM, per non aver rispettato il termine di conclusione delle indagini preliminari. La domanda era rigettata nei due gradi di merito. Il ricorrente proponeva ricorso in cassazione, deducendo che aveva presentato cinque istanze di prelievo, rimaste tutte inevase, sicché tale evenienza integrava il mancato rispetto dei termini di durata massima delle indagini preliminari. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso rilevando che la vittima di una truffa subita nel corso della vendita di un autoveicolo, pur avendo proposto denuncia-querela e nonostante l'inutile decorso del termine di conclusione delle indagini preliminari e la conseguente declaratoria di estinzione del predetto reato per prescrizione, avrebbe potuto esperire l'azione civile risarcitoria, così che il danno asseritamente patito era riconducibile soltanto alla sua negligenza nella cura e nell'esercizio dei propri diritti, che aveva comportato che detta azione si prescrivesse. La questione La questione in esame è la seguente: il decorso dei termini di indagini preliminari costituisce diniego di giustizia, qualora la persona offesa non abbia presentato denuncia querela e non si sia costituita parte civile? La soluzione giuridica La pronuncia in commento consolida l'orientamento a mente del quale, in tema di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, per la persona offesa dal reato in quanto tale e per il querelante, che non si siano costituiti parte civile, il procedimento penale non può essere definito come una propria causa; ad essi, pertanto, non può essere direttamente e personalmente riconosciuto il diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ai fini dell'equa riparazione prevista dalla citata l. n. 89 del 2001 (Cass. n. 26625/2016). Da quanto precede, consegue che: a) i danni ricollegati allo svolgimento della indagine preliminare sono causalmente attribuibili al denunciante, che non è obbligato a presentare la denuncia per agire civilmente; b) la costituzione di parte civile non è l'unico strumento giuridico per l'esercizio dell'azione civile risarcitoria; c) la lamentata prescrizione dell'azione risarcitoria civile è anche essa attribuibile in via esclusiva al denunziante, dato che la presentazione della denunzia penale e lo svolgimento delle indagini preliminari non impediscono la proposizione dell'azione civile (art. 75 c.p.p.). Ne deriva che la persona offesa dal reato, che al fine di conseguire il risarcimento del danno si sia costituita parte civile nel processo penale instaurato contro l'autore di detto reato, ha diritto alla ragionevole durata del processo, con le connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione, soltanto a partire dal momento della costituzione di parte civile, senza che possa darsi alcun rilievo al fatto che essa persona offesa dal reato abbia, comunque, dovuto attendere lo sviluppo del procedimento per potersi costituire parte civile (Cass. n. 2842/2013; Cass. n. 5294/2012; Cass. n. 10303/2010; Cass. n. 19032/2005). Tali considerazioni non appaiono destinate a subire modificazioni a seguito dell'entrata in vigore del D.L.vo n. 212 del 2015, con il quale è stata data attuazione alla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che, pur avendo rafforzato la posizione della vittima del reato, anche in vista dell'esigenza di tutela di soggetti aventi difficoltà di comprensione della lingua italiana (cfr. l'introduzione dell'art. 143 bis c.p.p.) e pur avendo individuato specificamente una serie di elementi che debbano essere comunicati ovvero costituire oggetto di informazioni per la persona offesa (cfr. i novellati artt. 90 bis e 90 ter c.p.p.) non incide sulla conclusione circa l'impossibilità di attribuire la qualifica di parte del processo penale alla persona offesa prima della sua costituzione come parte civile. Pertanto, la persona offesa può liberamente decidere di svincolarsi dalle sorti del procedimento penale, per autonomamente promuovere domanda risarcitoria in sede civile. Osservazioni Alla figura del diniego di giustizia è dedicato l'art. 3 della l. n. 117/1988, il quale non è stato oggetto di alcun intervento riformatore da parte del Legislatore del 2015. La relativa fattispecie è quindi definita e regolata autonomamente rispetto al dolo ed alla colpa grave, pur essendo menzionata accanto a tali ipotesi nel comma 1 dell'art. 2, nonostante la intitolazione di tale norma, dedicata solo alla “responsabilità del dolo e colpa grave”. Il diniego di giustizia si caratterizza per i suoi connotati oggettivi, in quanto è integrato dal mero trascorrere del termine indicato dalla norma senza che venga emesso il provvedimento richiesto dalla parte (trenta giorni dal deposito dell'istanza, salve ulteriori proroghe concesse per non più di due volte dal dirigente dell'ufficio, sino ad un massimo di complessivi sei mesi e con l'eccezione dei casi concernenti la libertà personale, soggetti a termini molto brevi e non prorogabili). Ciò vale con riguardo sia alle ipotesi in cui il diniego di giustizia venga posto a fondamento di una richiesta risarcitoria azionata dal privato nei confronti dello Stato, sia con riferimento ai casi di rivalsa esercitata da quest'ultimo nei confronti del magistrato. Il diniego di giustizia infatti, da un lato rientra tra quei casi di responsabilità per i quali l'art. 7 prevede l'obbligatorietà dell'azione di rivalsa, essendo equiparato a tali effetti alla colpa grave per violazione manifesta della legge o del diritto dell'Unione Europea ed per il travisamento del fatto o delle prove, ma da queste ultime si distingue perché solo per il diniego di giustizia l'art. 7 non richiede, ai fini della affermazione della responsabilità del magistrato in sede di rivalsa, anche la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della negligenza inescusabile. Venendo al caso esaminato, si precisa che l'esercizio dell'azione civile in sede penale, realizzato mediante lo strumento della costituzione di parte civile, benché consenta di far confluire detta azione nell'ambito del processo penale, tuttavia non implica l'incorporazione della causa civile in quella penale, e non travolge la differenza che esiste tra le parti dell'una e dell'altra causa. A tal fine deve ricordarsi che la causa penale concerne unicamente la pretesa punitiva dello Stato nei confronti di chi si assume essere autore di un fatto costituente reato, mentre quella civile ha per oggetto il diritto del privato al risarcimento del danno eventualmente cagionatogli da quel medesimo reato, con la conseguenza che, la persona offesa dal reato, quand'anche abbia svolto il ruolo di querelante, non può dirsi parte del giudizio penale; e che, viceversa, tale qualità compete al danneggiato che si sia costituito parte civile in relazione alla causa per risarcimento di danni che in tal modo si è innestata nel processo penale (Cass. n. 14925/2015). In tal senso, se è vero che diverse disposizioni del codice di procedura penale attribuiscono alla persona offesa anche un ruolo attivo nel processo penale, al punto che si è parlato di un'accusa privata, in posizione accessoria a quella pubblica e, per certi aspetti, con funzioni anche di sollecitazione e controllo sull'operato di quest'ultima, tuttavia resta il fatto che il processo penale, di per sé, non è volto ad accertare nessuna posizione di diritto o di soggezione facente capo alla persona offesa, la quale non può dunque essere assimilata ad una delle parti private di cui si occupano altre disposizioni del medesimo codice, posto che, il processo penale è pur sempre finalizzato unicamente all'esercizio dell'azione penale, di cui è solo titolare il pubblico ministero, onde i poteri e le facoltà che sono autonomamente riconosciuti alla persona offesa sin dalle indagini preliminari si risolvono in una mera anticipazione di quanto ad essa spetterà una volta che, ricorrendone le condizioni, abbia eventualmente formalizzato la costituzione di parte civile. Ne discende altresì che deve escludersi la violazione delle previsioni della CEDU, in quanto per la persona offesa, il procedimento penale non può essere definito come una "propria causa", in relazione alla quale le possa perciò essere direttamente e personalmente riconosciuto il diritto alla ragionevole durata di tale causa, non avendo un autonomo diritto a che il reo sia sottoposto a pena e neppure, dunque, alla tempestività della decisione di assoluzione o di condanna dell'imputato in sé sola considerata. Ne consegue che il procedimento penale diventa la causa propria anche della persona offesa solo dal momento in cui la stessa faccia valere in sede penale il diritto al risarcimento dei danni subiti per effetto della commissione del reato oggetto della denuncia. Invero, il provvedimento di archiviazione non incide in alcun modo sull'azione civile spettante al danneggiato (v. gli artt. 651- 654 del vigente c.p.p.). Le sentenze istruttorie di proscioglimento (così come i decreti di archiviazione) non rivestono autorità di cosa giudicata nel giudizio civile (o amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato promosso dal danneggiato, trattandosi di provvedimenti per i quali non si verifica la condizione della pronunzia a seguito di dibattimento e che non possono considerarsi irrevocabili. |