Natura meramente “prosecutoria” del procedimento per convalida di sfratto dopo il mutamento del rito
28 Agosto 2025
Massima A seguito della c.d. conversione del rito il procedimento di sfratto prosegue nelle forme del rito speciale con preclusioni assertive ed istruttorie, potendo unicamente le parti modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, previa autorizzazione del giudice. Il caso Dinanzi al Tribunale di Modena veniva intimato sfratto per morosità relativamente ad un immobile affittato ad uso cava. Il tribunale, ritenendo che detta domanda, pur dopo la modifica dell'art. 658 c.p.c. ad opera del d.lgs. n.149/20022, prima, e del d.lgs. n.164/2024, dopo, comportante la estensione della procedura di sfratto all'affitto di azienda, non comprendesse gli affitti di beni produttivi (cava), disponeva il mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. per pronunziare nel merito sulla domanda risolutoria. Solo nella memoria integrativa autorizzata l'attore intimante introduceva la domanda avente ad oggetto il versamento dell'indennità di occupazione abusiva , che il giudicante riteneva inammissibile. La questione Il Tribunale di Modena ritorna sulla questione relativa alla ammissibilità delle domande nuove dell'intimante lo sfratto dopo il provvedimento di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. La natura e il rapporto tra le due fasi che compongono il procedimento in esame, quella c.d. sommaria e quella, solo eventuale, che scaturisce dalla opposizione dell'intimato e che, attraverso lo snodo sintetizzato negli artt. 426 e 667 c.p.c. sfocia nel rito c.d. locatizio per essere definito, una volta che le parti abbiano provveduto “all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria” (art.426 c.p.c.), con sentenza (artt. 429 e 430 c.p.c.), ha formato oggetto negli ultimi anni di una serie di pronunce, incentrate per lo più ad indagare i limiti dello ius variandi consentito alle parti dopo la fase sommaria. La questione ha registrato alcune pronunce della Suprema Corte in cui si affermava la autonomia delle due fasi processuali da cui si faceva discendere la possibilità per le parti di introdurre domande nuove nelle memorie integrative secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza 15 giugno 2015, n.12310 in relazione alla facoltà di parte attrice di modificare la domanda "ab origine" proposta con i seguenti limiti: la domanda nuova deve essere "connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio" e non deve avere "determinato la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei tempi processuali". L'assunto della Suprema Corte è così riassumibile: “Nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato ai sensi dell'art. 665 del codice di procedura civile determina la conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un nuovo e autonomo procedimento con rito ordinario” (vedi Cass. civ. sez. III, 8 maggio 2023, n.12131; Cass. civ. sez. III, ord., 23 giugno 2021, n. 17955; Cass. civ. sez. III, 26 maggio 2023, n.14779 e Cass. civ. sez. III, ord., 23 giugno 2021, n. 17955, Cass. civ., sez. III, sent., 29 settembre 2006, n. 21242, Cass. civ., sez. III, sent., 5 marzo 2009, n. 5356, Cass. civ., sez. III, sent., 28 giugno 2010, n. 15399; per il merito cfr. App. Genova, sez. I, 9 gennaio 2019 n. 1921; App. Milano, sez. III, 19.7.2019 n.2252; Trib. Bologna, 29 ottobre 2019, n. 2301; Trib. Torino, sez. VIII, 15 gennaio 2019, n. 171; Trib. Ivrea, sez. I, 14 dicembre 2018; Trib. Torino, sez. VIII, 15 gennaio 2019 n. 171; Trib. Bolzano n. 334/2018.). Le soluzioni giuridiche Il Tribunale di Modena accede, invece, ad una interpretazione rispettosa della ricostruzione anche storica del procedimento di sfratto quale giudizio unitario, sebbene distinto in due fasi, che inizia con l'atto di intimazione e termina, in caso di opposizione dell'intimato, dopo una seconda fase solo eventuale, con sentenza. Il presupposto – unitarietà del procedimento, che può snodarsi in una seconda fase di merito in caso di opposizione dell'intimato – fonda le sue radici nella evoluzione storica della procedura sommaria di sfratto (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2003, n. 8411; Trib. Roma, sez. VI, 19 febbraio 2024, n. 3377, Nardone e Trib. Roma, sez.VI, 28 maggio 2018, n. 5706) . L'autonomia delle due fasi, infatti, era predicabile prima della riforma processuale del 1990, quando la competenza per la fase sommaria di sfratto e per la emissione dei provvedimenti provvisori di rilascio era del Pretore o del Conciliatore, mentre per la fase di merito si determinava in base al “valore” della controversia. Il secondo comma dell'art. 667 c.p.c. all'epoca vigente sanciva infatti: “Se, anche in dipendenza delle eccezioni opposte dal convenuto, la causa eccede la competenza del conciliatore o del pretore adito, questi rimette le parti al giudice competente e fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa”. In tale contesto quindi, l'opposizione dell'intimato, ai sensi dell'art. 665 c.p.c., determinava la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo e autonomo processo con rito e cognizione ordinari da “riassumere” dinanzi al giudice competente. Pertanto, l'art. 667 c.p.c. (nella formulazione antecedente, appunto, la modifica del 1990), nel regolare i problemi di competenza che sorgevano dal coordinamento fra la procedura sommaria di sfratto, di competenza per materia del pretore, e il giudizio ordinario di cognizione scaturito dall'opposizione dell'intimato, prevedeva, dopo la pronuncia (o il diniego) dell'ordinanza non impugnabile di rilascio (art.665 c.p.c.) ovvero dell'ordinanza di condanna al pagamento dei canoni non controversi (art. 666 c.p.c.), che il giudizio proseguiva davanti al pretore, per la decisione di merito, soltanto se la causa era di sua competenza, dovendo il pretore, nel caso contrario, rimettere le parti innanzi al giudice competente per valore. In questo sistema l'opposizione segnava sì il nascere di un "novum judicium", in cui le parti potevano, quindi, esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni tra cui, per il locatore, porre a fondamento della pretesa di rilascio dell'immobile una "causa petendi" diversa da quella assunta nell'atto di intimazione (Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1993, n. 6806; Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 1981, n. 282), e persino introdurre una domanda nuova (Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1984, n. 3930; Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1979, n. 5541). Lalegge n. 353/1990 (art. 3) – con la modifica dell'art. 8 c.p.c. – ha attribuito al pretore la competenza per materia in ambito locatizio (art. 8, n. 3, c.p.c) a decorrere dal 30 aprile 1995. Successivamente la medesima competenza per materia è stata attribuita al tribunale dal d.lgs. n.51/1998 (Istituzione del Giudice unico) a decorrere dal 2 giugno 1999 e in contemporanea è stato introdotto, in dette cause, il rito speciale locatizio (art. 447-bis c.p.c.). Nella complessiva modifica del quadro procedimentale si è inserita quella dell'art. 667 c.p.c. che, nella attuale formulazione, non prevede più la riassunzione del giudizio dinanzi ad altro giudice ma la “prosecuzione” del procedimento di sfratto dinanzi a quello che si è occupato della fase sommaria. Pertanto, per il combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., una volta pronunciati (o naturalmente denegati) dal pretore (prima) e dal Tribunale (dal 1998 in poi) i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., sopra menzionati, il giudizio "prosegue nelle forme del rito speciale", previa ordinanza di mutamente del rito, con la quale ultima le parti sono facultate all'integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Ciò significa che l'opposizione dell'intimato non coincide più (dal 1990 quindi) – e come ribadito dal Tribuanle di Modena - con l'instaurazione di un nuovo e autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che, non sussistendo più questioni di competenza per valore, continua a svolgersi davanti al medesimo giudice, in una nuova fase, quella di merito (che si concluderà con la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato). Quindi, come chiarisce la lettera della legge (art.667 c.p.c.), quell'unico procedimento, iniziato con l'esercizio, da parte del locatore, di un'azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida "prosegue", con cognizione ordinaria ma con rito speciale, dinanzi al medesimo giudice competente per materia. Tale ricostruzione, che trova ormai larga condivisione nella giurisprudenza di merito – cfr. Trib. Teramo, sent, 22 maggio 2025, n. 609; Trib. Napoli Nord, sent., 28 maggio 2024, n. 2612 ; Trib. Milano, sent., 18 luglio 2023, n. 6189; Trib. Civitavecchia, sent., 11 luglio 2023, n. 772; Trib. Roma, sent., 12 gennaio 2022, n. 847 – ha di recente trovato la consacrazione in una pronuncia della Suprema Corte che, sia pure in tema di liquidazione dei compensi legali ha chiarito: “le due fasi di cui si compone il procedimento per convalida di sfratto, l'una sommaria, l'altra (eventuale) a cognizione piena, alla quale si fa luogo in caso di opposizione dell'intimato, costituiscono articolazioni di una struttura procedimentale essenzialmente unitaria: tanto si desume dal testuale tenore dell'art. 667 c.p.c., secondo cui, a seguito dell'opposizione dell'intimato, il giudice, assunti i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666 c.p.c., dispone il mutamento del rito ai sensi dell'art. 426 c.p.c. e il giudizio prosegue nelle forme del rito speciale. È dunque il medesimo procedimento introdotto dal locatore con la citazione per la convalida di sfratto che, una volta chiusa la parentesi sommaria, continua a svolgersi nella fase a cognizione piena ed è destinato a concludersi con la pronuncia di accoglimento o di rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato” (Cass. Civ., sez. II, sent., 12 dicembre 2023, n. 34713). Conclusioni La pronuncia del Tribunale di Modena è rispettosa della natura unica del procedimento di sfratto quale si è storicamente delineato e comprovato dalla attuale formulazione letterale dell'art. 667 c.p.c. (per cui il giudizio “prosegue” nelle forme del rito locatizio). Infatti è indubbio che le memorie integrative di cui all'art. 426 c.p.c. – come lo stesso nome dovrebbe suggerire – non sono atti introduttivi di un nuovo giudizio ma, appunto, mere memorie al punto che, se anche non fossero depositate il giudizio sarebbe comunque retto dall'atto di intimazione originario con le conclusioni in esso rassegnate e dalla eventuale comparsa di costituzione depositata dall'intimato. Le conseguenze pratiche della ricostruzione ormai maggioritaria vanno attentamente soppesate dall'intimante cui è consentita una mera emendatio conseguente alle difese proposte dall'intimato o la proposizione della c.d. reconventio reconventionis (Cass. civ., sez. III, sent., 20 maggio 2013, n. 12247/13). Va precisato che non sono domande nuove – come si legge nella pronuncia in esame – quella relativa alla indennità di occupazione e, come si legge nella sentenza del Tribunale di Napoli Nord n. 2612 del 28 maggio 2024, quelle di pagamento dei danni asseritamente patiti dal locatore a causa dell'inadempimento del conduttore. Si tratta, infatti, di domande da intendersi nuove in quanto aggiuntive e non meramente modificative di quelle contenute nell'atto di intimazione di sfratto per morosità secondo i principi dettati dalla Suprema Corte in materia di modifica delle domande nel rito ordinario (cfr. Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310): “L'introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria costituisce domanda "nuova", come tale implicitamente vietata dall'art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest'ultima e la domanda "modificata" – che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell'udienza e delle memorie previste dalla norma citata – va identificato nell'unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività” (Cass., n. 16807/2018). Tale principio, destinato ad operare nel rito civile ordinario, deve trovare applicazione anche con riguardo al rito speciale locatizio. Riferimenti Anselmi Blaas, Il procedimento per convalida di licenza o di sfratto, Milano, II° ed., 1966; Frasca, Il procedimento per convalida di sfratto, Torino, 2001; Giordano R., Procedimento per convalida di sfratto, Bologna, 2015; Nardone, La convalida dello sfratto, Milano, 2022; Di Marzio, Il procedimento per convalida di licenza e sfratto, Milano, 1998; Lazzaro - Preden - Varrone, Il procedimento per convalida di sfratto, Milano, 1978. |