L'espropriazione di beni in comunione legale

19 Agosto 2025

La particolare natura della comunione legale tra coniugi si riflette sulle modalità con le quali va condotta l'espropriazione forzata dei beni che vi appartengono, specialmente quando uno solo dei coniugi sia debitore. Si analizzeranno, quindi, le peculiarità del pignoramento, secondo la ricostruzione offertane dalla Corte di cassazione, non senza evidenziarne le criticità.

La comunione legale come comunione senza quote

La comunione è quel fenomeno giuridico per cui un diritto è nella titolarità di una pluralità di soggetti, a ciascuno dei quali ne appartiene una quota, che, nel loro insieme, vengono a costituire l'intero.

La comunione legale – istituto introdotto dal legislatore per improntare il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi al criterio della solidarietà tra gli stessi – si discosta da questa impostazione, secondo la ricostruzione elaborata dalla giurisprudenza (costituzionale e di legittimità): come rilevato da Corte cost., 17 marzo 1988, n. 80, infatti, la disciplina della comunione legale marca una sensibile distanza da quella della comunione ordinaria, configurandola come una comunione senza quote, nella quale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni della comunione nella loro interezza, mentre la quota ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari dei coniugi (art. 189 c.c.), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190 c.c.) e la proporzione secondo cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo vanno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194 c.c.).

La comunione legale, dunque, si instaura sull'intero patrimonio comune complessivamente inteso, di modo che ciascuno dei coniugi è titolare di un diritto avente per oggetto tutti i beni della comunione e ognuno di essi per l'intero e non per una frazione.

Una tale configurazione della comunione legale si riflette, innanzitutto, sul regime degli atti dispositivi dei beni che vi appartengono: così, per quanto concerne gli immobili, ciascun coniuge è legittimato a disporre di essi (non già per una inesistente quota della metà astrattamente attribuibile a ognuno di loro, bensì) per l'intero e a pieno titolo, costituendo la mancanza del consenso dell'altro coniuge solo ed esclusivamente motivo di annullamento dell'atto dispositivo, senza influire sulla validità e sull'efficacia dello stesso qualora la relativa azione non venga esercitata nel breve termine di un anno previsto dall'art. 184 c.c.

In quest'ottica, il consenso del coniuge pretermesso non costituisce atto autorizzativo, ossia attributivo di un potere, ma atto che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo dell'altro coniuge e requisito di regolarità del procedimento di formazione del negozio, la cui mancanza si traduce in un vizio dello stesso, nel senso che l'acquisto del terzo non è avvenuto a non domino, bensì a domino, ma in base a un titolo viziato (Cass. civ., sez. un., 24 agosto 2007, n. 17952).

Va da sé che, una volta scioltasi la comunione legale e caduti i beni che vi appartenevano in regime di comunione ordinaria, ciascun coniuge può invece liberamente e separatamente alienare la propria quota relativamente a ognuno di essi.

Come precisato da Cass. civ., sez. I, 5 aprile 2017, n. 8803, quella che viene chiamata comunione senza quote è, in realtà, un artificio tecnico-giuridico per affermare il diritto del coniuge di non entrare in rapporti di comunione con estranei alla stessa e di difendere il patrimonio familiare da interferenze di terzi; questa fondamentale esigenza, tuttavia, viene meno a seguito dello scioglimento della comunione legale (per una delle cause previste dall'art. 191 c.c.), sicché a quel punto ciascun coniuge può cedere separatamente la propria quota, indipendentemente dalla persistenza del vincolo coniugale, non essendo pensabile che i limiti ai quali sono assoggettati i beni in comunione legale persistano anche quando il corrispondente regime patrimoniale e le necessità funzionali allo stesso collegate siano venuti meno.

La struttura del pignoramento di immobili in comunione legale 

La quota, dunque, non è elemento strutturale della proprietà dei beni in regime di comunione legale.

Un tanto esplica effetti, oltre che sugli atti di disposizione compiuti dai coniugi, pure sull'espropriazione dei beni in comunione legale, per quanto manchino regole ad hoc che tengano conto delle inevitabili peculiarità che la caratterizzano.

Con la sentenza n. 6575 del 14 marzo 2013, la Corte di cassazione, rilevando proprio l'assenza di una disciplina specificamente riferita all'espropriazione forzata di beni in comunione legale (in ragione dell'inapplicabilità alla stessa sia di quella dettata per il pignoramento di beni indivisi, che presuppone l'esistenza di una quota, sia di quella prevista per l'espropriazione contro il terzo proprietario, che ha natura eccezionale – per il fatto di assoggettare a esecuzione forzata un soggetto non debitore – e non è, dunque, suscettibile di estensione analogica), si è fatta carico di delineare il modulo attraverso il quale deve avvenire, che si sostanzia nei seguenti passaggi:

- se un bene non è diviso in quote, il creditore non può pignorarne una soltanto, perché al pignoramento si attribuirebbe una impossibile funzione di costituzione di diritti reali di contenuto o estensione prima insussistenti;

- di conseguenza, anche per la soddisfazione del credito vantato nei confronti di uno solo dei due coniugi, l'immobile dev'essere assoggettato a pignoramento per l'intero;

- in ragione di ciò, anche il coniuge non debitore viene ad assumere la veste di soggetto passivo dell'esecuzione, sicché, da un lato, anche a lui va notificato l'atto di pignoramento e, dall'altro lato, pure nei suoi confronti valgono le regole dettate dagli artt. 567 e 498 c.p.c. (nel senso della necessaria acquisizione della documentazione ipotecaria ventennale che lo riguarda e dell'obbligo di dare avviso ai suoi creditori personali iscritti);

- il bene va messo in vendita per l'intero, cosicché, a seguito della pronuncia del decreto di trasferimento, si determina lo scioglimento della comunione limitatamente al bene pignorato (sebbene nessuna norma lo preveda, trattandosi dunque di ipotesi di scioglimento eccezionale e desumibile esclusivamente dal sistema legislativo);

- in sede di distribuzione del ricavato dalla vendita o dall'assegnazione del bene pignorato, la metà di esso va distribuita tra i creditori del coniuge esecutato, mentre l'altra metà va attribuita al coniuge non debitore (al lordo delle spese resesi necessarie per la liquidazione del bene, non potendosi addebitare a lui – sia pure in parte – oneri imputabili solo ed esclusivamente all'inadempimento altrui, che ha reso necessaria l'espropriazione forzata), così come avverrebbe in caso di fisiologico scioglimento della comunione nel suo complesso, non essendo immaginabile che tale somma rientri nuovamente in comunione, poiché ciò significherebbe consentire altre esecuzioni individuali sul controvalore così solo formalmente restituito alla comunione, ma – di fatto – asservito al soddisfacimento del creditore particolare di uno dei coniugi.

Con la medesima pronuncia, è stato pure precisato che il coniuge non debitore è legittimato a proporre le opposizioni esecutive, peraltro con i seguenti limiti:

- con l'opposizione all'esecuzione, potrà fare valere la presenza di beni personali del coniuge debitore utilmente aggredibili dal creditore personale di questi, onde escludere la pignorabilità di quello assoggettato a espropriazione forzata per mancata integrazione della condizione di sussidiarietà prevista dall'art. 189, comma 1, c.c.;

- con l'opposizione agli atti esecutivi, potrà fare valere le nullità degli atti dell'esecuzione che comportino la violazione o la limitazione del suo diritto alla metà del controvalore del bene, come pure quelli che incidano sulla pienezza di quest'ultimo, se relativi alle operazioni di vendita o di assegnazione;

- con l'opposizione di terzo, potrà fare valere la proprietà esclusiva del bene pignorato, ossia la sua estraneità alla comunione, mentre non potrà addurre l'esclusione dall'espropriazione forzata di una quota del bene (che non gli spetta e di cui – fino allo scioglimento della comunione, anche solo limitatamente a quel bene – non è titolare).

Gli stessi giudici di legittimità, peraltro, non hanno sottaciuto la consapevolezza in ordine alle criticità insite in una tale ricostruzione, dovute al fatto che, qualunque fosse stata la soluzione prescelta, ne sarebbero derivate conclusioni non del tutto coerenti dal punto di vista sistematico.

Ciononostante e sebbene la dottrina non abbia mancato di muovere critiche, tutt'ora assai vivaci, l'impianto delineato dalla Corte di cassazione è venuto a porsi in termini di diritto vivente, dal momento che non è mai stato messo seriamente in discussione dalla giurisprudenza tanto di legittimità, quanto di merito; né, d'altra parte, si è ritenuto che la sentenza del 2013 abbia integrato un'ipotesi di overruling (in questo senso si è espressa Cass. civ., Sez. VI, 14 gennaio 2021, n. 506, secondo cui la pronuncia non ha comportato un mutamento interpretativo idoneo a scardinare un consolidato orientamento giurisprudenziale su cui le parti potevano fare legittimo affidamento).

Il coniuge non debitore quale soggetto passivo dell'esecuzione

Secondo la ricostruzione del pignoramento di beni in comunione legale proposta dalla Corte di cassazione, che prevede l'assoggettamento a espropriazione forzata dell'immobile nella sua interezza, il coniuge non debitore diviene, obtorto collo, soggetto passivo dell'azione esecutiva promossa dal creditore dell'altro coniuge.

Ciò comporta la necessità di compiere anche nei suoi confronti gli atti introduttivi del processo esecutivo, che, come noto, nell'espropriazione immobiliare consistono:

- nella notifica dell'atto di pignoramento;

- nella trascrizione del pignoramento.

Pertanto, destinatario dell'ingiunzione e degli avvisi prescritti dall'art. 492 c.p.c. dovrà essere tanto il coniuge debitore, quanto quello non debitore, giacché, se così non fosse, quest'ultimo risulterebbe esonerato dall'obbligo di non compiere atti dispositivi del bene, che, per effetto del combinato disposto degli artt. 180 e 184 c.c., esplicherebbero i propri effetti sull'intero immobile, compromettendo il regolare sviluppo e l'esito stesso dell'espropriazione forzata.

In realtà, la stessa giurisprudenza di legittimità ha osservato che, ai fini della valida instaurazione del processo esecutivo avente per oggetto beni in comunione legale, potrebbe reputarsi idonea la notifica al coniuge non debitore, in alternativa a un atto di pignoramento vero e proprio, un qualsiasi altro atto a esso equipollente (si veda, in proposito, Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6230).

Sulla scia della medesima impostazione e sebbene ad altri fini, la recente pronuncia di Cass. civ., sez. III, 1 maggio 2025, n. 11481, ha affermato che, nell'espropriazione forzata di beni in comunione legale promossa dal creditore particolare di uno dei coniugi, la notifica dell'atto di pignoramento al coniuge non debitore ha natura di mera denuntiatio (equiparabile, quanto agli effetti, all'avviso ex art. 599 c.p.c.) dell'avvenuta sottoposizione a vincolo del bene in sua contitolarità, non essendo, dunque, necessario che esso sia in concreto strutturato come un pignoramento – recando l'ingiunzione ad astenersi, gli avvisi e gli avvertimenti previsti dall'art. 492 c.p.c. – anche nei suoi confronti.

Se così fosse, tuttavia, non solo la fruttuosità dell'esecuzione resterebbe esposta al rischio derivante dal compimento di atti dispositivi del bene (a quel punto legittimamente) compiuti dal coniuge non debitore, ma a risultarne compromesso verrebbe a essere l'intero impianto delineato dalla sentenza n. 6575 del 2013.

Infatti, in assenza di un pignoramento nei suoi confronti, il coniuge non debitore:

- non potrebbe essere considerato soggetto passivo dell'esecuzione (come non lo sono i comproprietari ai quali l'art. 599 c.p.c. prescrive che venga notificato soltanto un avviso dell'eseguito pignoramento);

- non potrebbe essere considerato nemmeno ai fini di quanto previsto dagli artt. 567 e 498 c.p.c., che riguardano solo chi subisce l'esecuzione, tenuto conto, in particolare, del fatto che, mentre l'avviso prescritto dal menzionato art. 498 c.p.c. è diretto a provocare l'intervento dei creditori dell'esecutato che vantano diritti di prelazione destinati a essere purgati con l'emissione del decreto di trasferimento, quello contemplato dall'art. 180, comma 2, disp. att. c.p.c. vede come destinatari – in quanto ricompresi tra gli altri interessati ai quali fa riferimento la disposizione – anche i creditori iscritti dei comproprietari non esecutati con la diversa finalità di coinvolgerli nell'esecuzione allo scopo di rendere loro opponibile la divisione del bene in comunione che fosse disposta ai sensi dell'art. 600 c.p.c.

Inoltre, se il coniuge non debitore non fosse destinatario del pignoramento negli stessi termini del coniuge esecutato, non si vede in che modo il pignoramento medesimo potrebbe trascriversi anche contro di lui; è d'uopo ricordare, a questo proposito, che la formalità pubblicitaria è indispensabile non solo per perfezionare il vincolo, ma anche per renderlo opponibile ai terzi e, dunque, per evitare che eventuali atti dispositivi compiuti dal coniuge non debitore possano esplicare effetti in pregiudizio dei creditori partecipanti all'esecuzione, nonché dell'aggiudicatario o dell'assegnatario.

Pignoramento dell'intero bene e pubblicità immobiliare

Proprio dalle regole alle quali risulta improntata la pubblicità immobiliare, peraltro, scaturisce una delle principali incongruenze del modello di pignoramento di beni in comunione legale delineato dalla Corte di cassazione.

Da questo punto di vista, ferma restando la natura di comunione senza quote propria della comunione legale, la trascrizione tanto degli atti dispositivi dei beni che ne formano oggetto quanto del pignoramento vedono, quali soggetti contro i quali viene presa la formalità, entrambi i coniugi, ma non già per l'intero diritto (di proprietà o altro) dei quali sono solidalmente contitolari (come sarebbe lecito attendersi, in virtù dei principi affermati dall'ormai granitica giurisprudenza), bensì per la quota di un mezzo ciascuno, trattandosi dell'unica opzione consentita dal sistema meccanizzato.

Un tanto assume rilievo, con particolare riguardo alla trascrizione degli atti di acquisto della proprietà dei beni, da un duplice punto di vista:

- in primo luogo, perché una simile risultanza della pubblicità immobiliare potrebbe indurre a ritenere che i coniugi sono solidalmente titolari non già dell'intero diritto di proprietà, ma della sola quota di un mezzo (come pure potrebbe accadere, qualora avessero acquistato dal terzo una frazione del diritto);

- in secondo luogo, perché, per principio assolutamente consolidato, nei confronti dei terzi che fanno affidamento sul sistema della pubblicità immobiliare vale ciò – e soltanto ciò – che risulta dalla nota di trascrizione, non essendo loro onere verificare il contenuto dell'atto (ossia del titolo) in forza del quale è stata eseguita la formalità (così, per citare solo le più recenti, Cass. civ., sez. II, 26 aprile 2024, n. 11213; Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2024, n. 5403; Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4842).

In questo senso, affermare che la comunione legale attribuisce a ciascun coniuge la piena proprietà dell'intero bene (sia pure in via solidale con l'altro coniuge, che, alla stessa maniera, ne è pieno proprietario) e, nel contempo, essere costretti ad ammettere che, per il modo in cui è impostato il regime della pubblicità immobiliare, questo dà conto di una diversa realtà giuridica (emergendo che ciascun coniuge è proprietario della quota di un mezzo, per quanto nella nota possa essere precisato che il regime patrimoniale dei coniugi è quello della comunione legale), rischia di creare un cortocircuito difficilmente aggirabile.

Senza contare che anche il pignoramento effettuato nei confronti di entrambi i coniugi per l'intero diritto dagli stessi vantato sul bene (e non sull'inesistente quota di un mezzo facente capo al coniuge debitore) va nondimeno trascritto sì contro entrambi i coniugi, ma per la quota di un mezzo (e non per l'intero) ciascuno.

Anche questa discrepanza tra realtà giuridica e realtà emergente dai registri immobiliari è fonte di possibili discrasie difficilmente riducibili a una composizione unitaria e coerente con i principi affermati dalla giurisprudenza.

Non va, peraltro, dimenticato che il regime patrimoniale di coniugi è desumibile non già dalle risultanze dei pubblici registri immobiliari, bensì da quelle dei registri di stato civile e, in particolare, dall'annotazione posta a margine dell'atto di matrimonio iscritto nel registro tenuto presso gli uffici del comune di celebrazione: infatti, ai sensi degli artt. 162 e 163 c.c., la stipula e la modifica delle convenzioni matrimoniali, al pari di ogni altra variazione concernente il regime patrimoniale dei coniugi, sono opponibili ai terzi nella misura in cui venga effettuata tale annotazione (Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2021, n. 17207), mentre la trascrizione che, per esempio, sia stata effettuata ai sensi dell'art. 2647 c.c. in caso di costituzione di fondo patrimoniale avente per oggetto immobili, resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti (Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2019, n. 12545).

Occorre, pertanto, fare attenzione, perché è possibile che la nota di trascrizione dell'atto d'acquisto dia conto di un bene assoggettato al regime di comunione legale, che, al momento del pignoramento, ricade invece in comunione ordinaria tra i coniugi (in quanto, nel frattempo, siano sopravvenuti la loro separazione personale o il divorzio, ovvero il passaggio al regime di separazione dei beni a seguito della stipula di apposita convenzione matrimoniale); di conseguenza, per valutare la corretta modalità di esecuzione del pignoramento, bisogna necessariamente verificare in via preventiva qual è, in quel preciso momento, il regime patrimoniale effettivamente vigente, attraverso l'esame dell'atto di matrimonio e delle eventuali annotazioni poste a margine dello stesso.

Pignoramento dell'intero bene e limiti alla presentazione di offerte d'acquisto

Sempre dalla particolare natura della comunione legale e dagli effetti che dalla stessa promanano dovrebbe farsi discendere il divieto per il coniuge non debitore di presentare offerte per l'aggiudicazione dell'immobile staggito.

È vero, infatti, che l'art. 571 c.p.c. circoscrive tale divieto (suscettibile di interpretazione restrittiva, trattandosi di limite alla libertà negoziale) al debitore, ma è altrettanto vero che:

- anche il coniuge non debitore, assumendo le vesti di soggetto passivo dell'esecuzione, viene a ricadere – di fatto – nel fuoco della disposizione e del divieto da essa sancito;

- inoltre, se a rendersi aggiudicatario fosse il coniuge non debitore (che, per inciso, ne era già proprietario per l'intero in via solidale), del bene sarebbe ipso iure acquirente anche l'esecutato ai sensi dell'art. 177 c.p.c., salvo che, nel caso di specie, ricorrano le condizioni previste dall'art. 179 c.c. per escludere che l'immobile ricada in comunione e divenga, dunque, di proprietà esclusiva del coniuge non debitore risultato aggiudicatario (ma trattasi di circostanza che non può essere appurata in sede di esame dell'offerta e di svolgimento dell'esperimento di vendita, bensì, al limite, quando avviene il versamento del saldo del prezzo di aggiudicazione);

- infine, non sarebbe concepibile la trascrizione dell'acquisto a favore, oltre che del coniuge non debitore acquirente del bene in sede esecutiva, anche del coniuge esecutato, ossia del soggetto contro cui il medesimo acquisto dev'essere trascritto.

Senza contare, infine, che, una volta pagato il prezzo di aggiudicazione, il coniuge non debitore se ne vedrebbe restituita la metà in sede di distribuzione, con evidente distorsione del meccanismo competitivo che caratterizza la vendita forzata.

In effetti, in diversi tribunali, le ordinanze di vendita includono il coniuge del debitore in regime di comunione legale tra i soggetti ai quali è espressamente preclusa la presentazione di offerte d'acquisto.

Tuttavia, si registrano prassi diverse presso altri uffici giudiziari, nei quali viene invece ammessa la partecipazione del coniuge non debitore alla gara per l'aggiudicazione del bene, evidentemente sulla scorta di quell'orientamento di legittimità – invero assai risalente – che, in questo senso, faceva leva sulla natura eccezionale del divieto a offrire e sulla conseguente impossibilità di applicarlo a soggetti diversi in via analogica (così, per esempio, Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605).

D'altra parte, si è pure rilevato che il debitore cui fanno riferimento le disposizioni dettate in materia di esecuzione forzata, tra le quali rientra l'art. 571 c.p.c., non coincide necessariamente con l'obbligato sulla base di quanto risulta dal titolo esecutivo azionato, alludendosi piuttosto al soggetto passivo dell'esecuzione, che, secondo la ricostruzione patrocinata dalla giurisprudenza di legittimità, si identifica tanto con il coniuge debitore, quanto con quello non debitore (Trib. Siracusa, 26 luglio 2019).

Pignoramento dell'intero bene e fase distributiva

Venendo alla fase distributiva, si è detto che il ricavato dalla vendita del bene in comunione legale va assegnato:

- per la metà, ai creditori del coniuge debitore;

- per l'altra metà, al coniuge non debitore, che ha dovuto subire, obtorto collo, l'espropriazione.

Con la già menzionata pronuncia n. 11481 del 1 maggio 2025, la Corte di cassazione ha precisato a quali condizioni sulla quota attribuibile al coniuge non debitore possono soddisfarsi i suoi creditori personali.

Infatti, dalla qualificazione della notifica dell'atto di pignoramento a detto coniuge in termini di mera denuntiatio della sottoposizione a espropriazione forzata del bene (anche) di sua proprietà, in modo sostanzialmente analogo a quanto avviene nel caso dell'avviso prescritto dall'art. 599 c.p.c., vista l'assenza di una sua responsabilità patrimoniale nei confronti del creditore procedente, i giudici di legittimità hanno fatto discendere la conseguenza per cui il coniuge non debitore non è soggetto passivo dell'esecuzione alla stessa stregua dell'altro, vista l'inesistenza di un credito azionato nei suoi confronti.

In linea di massima, quindi, non è ammesso l'intervento di suoi creditori personali diretto a consentire loro di soddisfarsi sulla quota di ricavato dalla vendita – pari alla metà – a lui attribuita.

Ciononostante, qualora l'atto di pignoramento sia confezionato in modo tale da determinare un'estensione non solo formale, ma pure sostanziale dell'azione esecutiva nei confronti del coniuge non debitore, essendo l'intimazione e gli inviti in esso contenuti ai sensi dell'art. 492 c.p.c. rivolti anche a lui (oltre che al coniuge debitore), non vi è ragione di escludere che in quel caso – e solo in quel caso – i creditori personali del coniuge non debitore possano intervenire per soddisfare le loro pretese concorrendo alla distribuzione della quota (pari alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita dell'immobile pignorato) di sua spettanza.

Da tale principio deve farsi discendere che, quando il pignoramento non sia diretto (anche) nei confronti del coniuge non debitore, svolgendo la notifica dell'atto la funzione di mera denuntiatio, l'unico modo attraverso il quale i suoi creditori personali possono aspirare a soddisfarsi sulla parte di ricavato dalla vendita del bene pignorato di sua spettanza resta quello di aggredirlo con un pignoramento presso terzi.

Detto ciò, non possono sottacersi le criticità insite in una tale ricostruzione, che, in qualche misura, era già stata preannunciata dalla medesima giurisprudenza di legittimità (visto che, in precedenza, Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6230, aveva rilevato – sia pure in via di obiter dictum – come non potesse escludersi che la notificazione al coniuge non debitore del pignoramento potesse essere surrogata da un altro atto equipollente).

In primo luogo, ritenere che il vincolo d'indisponibilità derivante dal pignoramento si estenda anche al coniuge non debitore, impedendogli di porre in essere atti dispositivi del bene, indipendentemente dal fatto che la relativa ingiunzione sia rivolta pure contro di lui, stride con la pacifica natura del pignoramento immobiliare come fattispecie a formazione progressiva: quand'anche, infatti, il pignoramento fosse trascritto pure contro tale coniuge (ammesso che ciò sia possibile, non essendo destinatario – sia pure in via indiretta e non per rispondere di un debito proprio – dell'azione esecutiva), difetterebbe uno degli elementi essenziali della fattispecie, sicché si sarebbe in presenza della trascrizione di un pignoramento in realtà mai eseguito e, come tale, inesistente e inefficace nei confronti dei terzi con i quali fossero stati posti in essere atti di disposizione del bene.

In effetti, la giurisprudenza ha rimarcato la necessità che anche il coniuge non debitore sia destinatario dell'ingiunzione di cui all'art. 492 c.p.c. (si veda, per esempio, Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2023, n. 9536).

Non si dubita, del resto, che, quando viene assoggettato a espropriazione forzata pro quotaun bene in comunione ordinaria, il pignoramento non deve colpire le quote dei comproprietari non debitori, sicché a questi non va rivolta alcuna ingiunzione e non va trascritto contro di loro alcun vincolo, proprio perché nessun pignoramento si è perfezionato in loro danno, restando quindi liberi di disporre pienamente e validamente della loro quota.

D'altra parte, per sostenere che anche nei confronti del coniuge non debitore debbano in ogni caso applicarsi le disposizioni dettate dagli artt. 567 e 498 c.p.c. (com'è affermazione ricorrente in giurisprudenza), occorre giocoforza ritenere che detto coniuge sia, a tutti gli effetti, vero e proprio soggetto passivo dell'esecuzione: anche in questo caso, il confronto con quanto avviene nell'ipotesi di espropriazione di beni indivisi (in cui le norme in questione non operano nei riguardi dei comproprietari e dei loro creditori personali, essendo i diversi avvisi prescritti dagli artt. 599 c.p.c. e 180 disp. att. c.p.c. funzionali non già a provocare l'intervento nell'esecuzione, ma a rendere opponibile la divisione che fosse disposta ai sensi dell'art. 600 c.p.c. e, di converso, inopponibile alla procedura quella cui avessero dato autonomamente corso i comproprietari), testimonia la difficoltà insita nell'assimilare la notifica del pignoramento al coniuge del debitore a una mera denuntiatio.

In secondo luogo, è evidente che, assumendo l'ammissibilità e la piena validità di un atto avente le vesti e lo scopo di mero avviso nei confronti del coniuge non debitore, occorre riconoscere che questi, vedendosi notificato un vero e proprio pignoramento, idoneo a estendere l'azione esecutiva in suo danno (sebbene il creditore procedente non vanti alcun credito verso di lui), sarebbe legittimato a proporre opposizione, anche al solo fine di impedire ai suoi creditori personali di potere intervenire: con il rischio che l'accoglimento di una tale opposizione, prospettabile proprio in virtù della configurazione dell'estensione del pignoramento al coniuge non debitore come meramente eventuale e non indispensabile, infici e renda improseguibile l'intera esecuzione, stante l'impossibilità di concepire – secondo il modello ricostruttivo fatto proprio dalla giurisprudenza – l'espropriazione di un bene in comunione legale che veda coinvolto solo uno dei coniugi.

In terzo luogo, nell'ipotesi in cui l'atto diretto al coniuge non debitore non contenesse alcuna ingiunzione nei suoi confronti e non fosse, dunque, qualificabile come pignoramento, non è dato comprendere per quale motivo e a quale scopo occorrerebbe nondimeno effettuare la notifica ai suoi creditori iscritti ai sensi dell'art. 498 c.p.c., che la giurisprudenza continua a reputare indispensabile: se, come già osservato, la norma ha l'obiettivo di provocare l'intervento di coloro che vantano diritti di prelazione sul bene pignorato destinati a essere cancellati a seguito dell'emissione del decreto di trasferimento, affinché possano soddisfarsi sul ricavato dalla vendita di tale bene facendo valere detti diritti (che non saranno più azionabili successivamente, fatta eccezione per il solo caso in cui l'immobile dovesse restare invenduto), è evidente la superfluità di dare corso all'incombente, se il destinatario della notifica non può avvalersi della facoltà processuale che la notifica mira a compulsare, giacché l'intervento rimarrebbe fine a se stesso, non potendo comunque il creditore iscritto partecipare alla distribuzione della quota di ricavato di pertinenza del coniuge non debitore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario