Le esigenze solidaristiche e di inclusione sociale nell’amministrazione di sostegno
Giuseppe Spadaro
Andrea Lestini
06 Agosto 2025
Il focus, mediante l’analisi della più significativa casistica, cerca di dare conto dei principali e recenti orientamenti giurisprudenziali formatisi intorno all’ormai classico tema dell’amministrazione di sostegno, evidenziando come tra le finalità dell’istituto rientri anche quella di rispondere alle esigenze solidaristiche e di inclusione sociale del beneficiario.
Premessa
Le soluzioni e ricostruzioni giuridiche offerte da alcune recenti pronunce costituiscono l’occasione per ripercorrere il passaggio dai tradizionali modelli codicistici, incentrati sulla incapacitazione, alla introduzione e rilevante diffusione di uno strumento malleabile, quale l’amministrazione di sostegno, capace di proteggere effettivamente l’individuo fragile ed assurgere a istituto di sicuro rilievo nella moderna evoluzione del diritto delle persone (P. Cendon, C. Comand, 20 anni di Amministrazione di Sostegno, 2024).
Segnando un vero e proprio cambio di paradigma – tale è il congiungimento tra il piano sociale e quello normativo – il percorso intrapreso, in particolare, consente di individuare le varie forme e dimensioni della tutela della dignità del beneficiario, nella consapevolezza che l’essere umano vive in un sistema (più o meno complesso e complicato) di relazioni e si espone quotidianamente alle più diverse opinioni ed interferenze (specialmente se ritenuto un “soggetto debole”).
Il quadro normativo e le ricostruzioni giurisprudenziali
L'A.d.S., come noto, è stata introdotta nell'ordinamento giuridico dall'ampia e organica riforma attuata con legge 9 gennaio 2004 n. 6, con il precipuo fine di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire (e, quindi, con la «precisa direttiva di “non mortificare” la persona»: Cass., 27 settembre 2017, n. 22602), i soggetti privi in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (Cass., 28 febbraio 2018, n. 4709).
La vera, reale e concreta attuazione della disciplina – caratterizzata, allo stato, da una crescita impetuosa – però, fu lenta e graduale (tanto che si è parlato di «atteggiamento eccessivamente prudenziale», di «un'interpretazione self restraint e di conservatorismo degno di miglior causa»: R. Masoni, Un decennio di amministrazione di sostegno: nuove esigenze, nuove risposte, in Dir. fam. Pers., 3/2014), nonostante a livello culturale fosse risalente la «battaglia ideale e di civiltà protratta per molti anni» (R. Masoni, Un decennio di amministrazione di sostegno, cit.) da autorevole dottrina (P. Cendon, Infermi di mente e altri “disabili” in una proposta di riforma del codice civile, in Giur. it., 1988; P. Cendon, Un altro diritto per il malato di mente. Esperienze e soggetti della trasformazione, Napoli, 1988; P. Cendon, P. Rossi, L'amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Padova, 2009; R. Masoni, Il contributo di Guido Stanzani all'amministrazione di sostegno, in Dir. fam. Pers., 1/2013).
Eppure, allo stato, appare pacifico che l'A.d.S. è «l'istituto di elezione e di primo impiego per l'apprestamento della tutela della persona inferma o menomata e dei suoi interessi, mentre solo ove tale misura si riveli inadeguata alla concreta situazione, per la complessità dell'attività da gestire o per impedire al soggetto di compiere atti pregiudizievoli per sé anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione o in ogni altra ipotesi in cui si pone un'analoga esigenza, potrebbe farsi luogo alla misura più radicale della interdizione, che attribuisce, a differenza dell'amministrazione di sostegno, uno status di incapacità» (Trib. Messina, 16 dicembre 2022, n. 2162; Trib. Messina, 30 aprile 2021, n. 887; Cass., 12 giugno 2006, n. 13584); ed infatti, tutto ciò che il giudice tutelare, nell'atto di nomina od in successivo provvedimento, non affida all'amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilità di quest'ultimo, così consentendosi un adattamento dello strumento al caso concreto e la realizzazione di un vero e proprio «vestito su misura» (Cass., 20 marzo 2024, n. 7414).
Ne deriva che non potrebbero adottarsi provvedimenti stereotipati o moduli standardizzati, poiché dalla apertura della A.d.S. non discende, quale effetto legale, che la persona debba essere assistita o sostituita in tutte le attività giuridicamente rilevanti, ma solo in quegli ambiti in cui il giudice ha rilevato specifiche criticità, vale a dire deficit di competenze decisorie e gestorie che possono causare un serio pregiudizio alla persona (Cass., 8 luglio 2025, n. 18549).
La ratio, in particolare, è quella di non limitarne la capacità di agire se non (e nel limite) strettamente indispensabile, dovendo il giudice adeguare la misura alla situazione concreta della persona nonché variarla nel tempo, così da assicurare all'amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass., 17 settembre 2024, n. 24878).
Si discute, invece, se l'A.d.S. possa essere disposta in presenza di una mera menomazione fisica, non accompagnata da un deficit psichico o intellettivo.
Secondo una prima ricostruzione, l'istituto si dovrebbe ritenere inapplicabile nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass., 31 dicembre 2020, n. 29981); in proposito, appare significativa l'affermazione secondo cui la gestione autonoma del proprio patrimonio da parte di un soggetto, anche se caratterizzata da scelte di spesa che non prevedono l'accumulo di risparmio, non può automaticamente giustificare l'imposizione di un amministratore di sostegno, a meno che non emergano elementi concreti di pregiudizio per il soggetto stesso (Cass., 12 marzo 2025, n. 6584).
Altro orientamento, all'opposto, valorizzando il riferimento normativo (l'art. 404 c.c. si riferisce, alternativamente, alla «menomazione fisica o psichica») inferisce che «è fuor di dubbio … che possa ricorrersi all'amministrazione di sostegno anche laddove sussistano soltanto esigenze di “cura della persona” – come d'altra parte recitano gli artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, cod. civ. – in quanto esso non è istituto finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a soddisfarne i “bisogni” e le “aspirazioni” (art. 410, primo comma, cod. civ.), così garantendo adeguata protezione alle persone fragili, in relazione alle effettive esigenze di ciascuna» (C. Cost., 19 giugno 2019, n. 144); in tal senso si afferma che l'A.d.S. può essere disposta anche nel caso in cui sussistano soltanto esigenze di cura della persona, senza la necessità di gestire un patrimonio, poiché l'istituto non è finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a garantire protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze (Cass., 26 luglio 2018, n. 19866).
Nella diversità di prospettive, in ogni caso, deve riconoscersi come la procedura di nomina dell'amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale, se non d'incapacità, quantomeno di seria difficoltà in cui si trova la persona, cosicché resta escluso il soggetto che si trovi nella piena capacità psico-fisica o tenga condotte di vita solo apparentemente anomale (Cass., 27 maggio 2024, n. 14689).
Il quadro normativo vigente, infatti, deve essere interpretato, tra l'altro, in conformità con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (adottata il 13 dicembre 2006 a New York dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e la cui ratificata è stata autorizzata con legge 3 marzo 2009, n. 18); Convezione che impegna gli Stati contraenti nei confronti delle persone con disabilità a promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali senza discriminazioni di alcun tipo basate sulla disabilità, nel rispetto della dignità e dell'autonomia individuale e dell'indipendenza e dei principi della non discriminazione nonché della piena ed effettiva partecipazione ed inclusione all'interno della società.
L'importanza di questa Convenzione, si deve al fatto che prima della sua adozione i diritti delle persone con disabilità non trovavano autonoma protezione in nessun altro trattato, rinvenendosi taluni spunti solamente nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e, per i minori, nella Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 (R. Sabato, L'amministrazione di sostegno a confronto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in NGCC, 6/2024).
La centralità assunta dall'a.d.s.
Nel panorama normativo brevemente descritto, si afferma ripetutamente che, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione (istituti non soppressi, ma solo modificati), quali misure di protezione di carattere residuale (ed indicati come «forme obsolete e inadeguate di protezione giuridica»: C.M. Bianca, Diritto Civile,La norma giuridica. I soggetti, I, Milano, 2002), l'ambito di applicazione dell'A.d.S. – proprio in ragione della sua duttilità e modulabilità sul singolo caso – va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass., 4 marzo 2020, n. 6079).
Proprio per tale ragione, il giudice, oltre a decidere se applicare l'A.d.S., deve anche definire e perimetrare i compiti e i poteri dell'amministratore, evidentemente in termini direttamente proporzionati all'incidenza degli accertati deficit sulla capacità del beneficiario di provvedere ai suoi interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass., 17 settembre 2024, n. 24878): il provvedimento del giudice tutelare, in particolare, deve contenere «una ragionata corrispondenza tra i deficit rilevati, le risorse della persona interessata e della sua famiglia, e i poteri attribuiti all'amministratore devono essere conferiti nell'ottica di perseguire il miglior interesse della persona, senza comprimerne inutilmente la libertà» (Cass., 8 luglio 2025, n. 18549).
In tale quadro normativo, la centralità assunta dall'A.d.S. è del tutto evidente, potendo essere configurata – fermo restando che, come detto, il beneficiario conserva la capacità di agire (se essa non è stata espressamente limitata) per tutti gli atti che non richiedono, come da decreto, la rappresentanza esclusiva dell'amministratore di sostegno – come una misura di mero supporto (che non tocca in alcun modo la capacità di agire) ovvero caratterizzata dall'estensione di taluni effetti (limitazioni o decadenze) previsti in materia di interdizione e inabilitazione; in quest'ultimo caso, allora, la misura avrà caratteristiche affini alla tutela (amministrazione sostituiva) o alla curatela (amministrazione di assistenza) ovvero assumerà caratteristiche miste (Cass., 8 febbraio 2024, n. 3600).
Pertanto, la differenza tra A.d.S. e interdizione (e inabilitazione) «non risiede in un elemento quantitativo, e cioè nella maggiore o minore gravità della malattia o dell'handicap della persona interessata, che potrebbe anche essere totale e permanente, ma in un criterio funzionale e cioè nella naturae nel tipo di attività che l'incapace non è più in grado di compiere da sé e nella idoneità dell'uno o dell'altro istituto ad assicurare all'incapace la protezione più adeguata col suo minor sacrificio» (Trib. Messina, 16 dicembre 2022, n. 2162; Trib. Messina, 30 aprile 2021, n. 887).
Il carattere residuale dell'interdizione (e dell'inabilitazione) è, dunque, incontestabile laddove si consideri da un lato che l'A.d.S. può pronunciarsi anche in presenza dei presupposti di interdizione ed inabilitazione (Cass., 28 dicembre 2023, n. 36176) e, quindi, anche in presenza di un'infermità mentale grave e abituale, sempreché le esigenze della persona possano essere soddisfatte con tale strumento, tenuto conto della sua flessibilità e minore invasività (Trib. Napoli, 19 marzo 2025, n. 2803); e, dall'altro lato, che la misura risulta applicabile ad un gruppo di destinatari più ampio rispetto a quello delimitato dagli artt. 414 e 415 c.c., ma sempre «nel rispetto dei principi di necessità e di sussidiarietà» (A. Venchiarutti, Amministrazione di sostegno, autonomia e interesse del beneficiario, in NGCC, 6/2024, supp.).
La volontà del beneficiario nella scelta dell'amministratore e il rifiuto della misura di protezione
«La scelta dell'amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario» (art. 408 c.c.), tra i soggetti riconducibili – ove possibile – al suo ambiente familiare o, comunque, legati al medesimo da rapporti di “vicinanza”.
A tal fine, peraltro, è ampiamente valorizzata la partecipazione attiva dell'interessato mediante la possibilità di proporre l'istanza di avvio della procedura (art. 406 c.c.), di rivolgere «richieste» al giudice (art. 407 c.c.) e designare da sé il futuro amministratore, dovendosi privilegiare il rispetto dell'autodeterminazione del beneficiario, con la precisazione, però, che in presenza di «gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso» (art. 408 c.c.).
Il best interest del beneficiario, invero, impone di nominare quale amministratore il soggetto che meglio si renda in grado di curare gli interessi del destinatario della misura di protezione, secondo un assetto normativo permeato dal principio di autodeterminazione; a tal fine, l'audizione dell'interessato è sempre necessaria, dovendosi tenere nella massima considerazione la sua volontà che, del resto, può essere disattesa solo in presenza di inequivoche e gravi circostanze, adeguatamente valutate nel provvedimento di nomina (Cass., 21 novembre 2023, n. 32219).
L'essenzialità dell'audizione del beneficiario dell'A.d.S., quale strumento prezioso e imprescindibile, assume decisivo rilievo non solo a livello procedurale ma in quanto idonea, sul piano sostanziale, a rispettare la dignità del soggetto (valorizzando tutte le sue capacità, abilità, desideri, aspirazioni e salvaguardando la sua autodeterminazione), tanto da essere stata ritenuta necessaria anche quando l'interessato sia stato già esaminato dal tribunale nel corso del procedimento d'interdizione definito con la trasmissione degli atti ex art. 418 c.c. (A. Lestini, L'audizione del beneficiario di AdS come adempimento essenziale, strumento prezioso e imprescindibile, in Ius Famiglie, 2023; S. Aceto, Si può aprire l'AdS per la sola cura della persona e in assenza dell'audizione (diretta) del beneficiario?, in IUS Famiglie, 2018).
L'autodeterminazione dell'individuo, però, potrebbe anche esprimersi nel senso di una opposizione alla nomina dell'amministratore di sostegno.
Al riguardo, si ritiene che la volontà espressa e proveniente da una persona pienamente lucida deve essere tenuta in debita considerazione (Cass., 4 novembre 2022, n. 32542; Cass., 27 settembre 2017, n. 22602), salvo che affondi le radici proprio nella patologia da cui è afflitta ovvero in un suo ingiustificato senso di orgoglio o comunque in ipotesi tali da renderla inconsapevole del bisogno di assistenza; tale lettura, del resto, trova conferma anche in quell'orientamento dottrinale secondo cui «non si vede il motivo per il quale una persona, soltanto perché affetta da patologie, sebbene invalidanti, che le inibiscano di provvedere autonomamente ai propri interessi, debba necessariamente ed ineluttabilmente essere assistita da un soggetto di nomina giudiziale, laddove sia concretamente in grado di esercitare con pienezza i suoi diritti, magari avvalendosi del proficuo aiuto da parte di terzi fiduciari» (V. Amendolagine, Il diritto all'autodeterminazione prevale sulla cura delle mere esigenze patrimoniali, in Giur. it., 2023).
Si tratta di indirizzo pressoché costante, che è stato ribadito anche di recente: in tema di A.d.S., nel caso in cui l'interessato sia persona pienamente lucida che rifiuti il consenso o, addirittura, si opponga alla nomina dell'amministratore, e la sua protezione sia già di fatto assicurata in via spontanea dai familiari o dal sistema di deleghe (attivato autonomamente dall'interessato), il giudice non può imporre misure restrittive della sua libera determinazione, ove difetti il rischio di una adeguata tutela dei suoi interessi, pena la violazione dei diritti fondamentali della persona, di quello di autodeterminazione e della dignità dell'interessato (Cass., 26 febbraio 2025, n. 5088).
Attraverso il sistema di deleghe, invero, la persona ripone la propria fiducia nei confronti del rappresentante, il quale non consente di far percepire, ai terzi, le reali condizioni (di salute) del dominus, così agendo, di conseguenza, in condizione di libertà dai controlli tanto del rappresentato quanto dell'autorità giudiziaria; inoltre, l'eventuale conferimento di una procura assume altresì rilevanza dovendo deve essere considerato un elemento che il giudice deve tener conto nella scelta dell'amministratore di sostegno (così F. Trolli, Conflitto fra familiari, e scelta dell'amministratore di sostegno, in Fam. Dir., 2/2025).
L'organicità della materia considerata, così come delineata e ricostruita dalla giurisprudenza, peraltro, impone di precisare (Cass., 16 maggio 2024, n. 13612; Cass., 8 febbraio 2024, n. 3600) che la nomina dell'amministratore non è preclusa dalla circostanza che sia stato in precedenza nominato un rappresentante volontario; in tali casi, il giudice deve valutare attentamente se sia preferibile, ovviamente avuto riguardo all'interesse del beneficiario, assecondare la volontà di quest'ultimo (mantenendo, quindi, ferma la scelta della persona cui il soggetto aveva precedentemente affidato la cura dei propri interessi) oppure scegliere una persona diversa (avendo cura di offrire una motivazione rafforzata inerente alle ragioni poste a fondamento del provvedimento).
Seguendo questa linea interpretativa, si rende opportuno ancora aggiungere che l'art. 1389 c.c., richiede la «capacità legale» in capo al rappresentato, mentre l'art. 1722, comma 1, n. 4, c.c. prevede, fra le cause estintive del mandato «la morte, l'interdizione o l'inabilitazione», senza alcun riferimento in merito all'amministrazione di sostegno; in tale contesto, la lettura tradizionalmente offerta consente di affermare che, quando successivamente al conferimento di una procura (generale o speciale) è nominato un amministratore di sostegno, il decreto del giudice tutelare «toglie efficacia alla procura volontaria se e nella misura in cui la procura riguardi quegli atti per i quali il Giudice tutelare estende al beneficiario le limitazioni previste dalle norme che regolano l'interdizione e la inabilitazione», essendo venuto meno il presupposto sul quale l'atto privato si fondava, vale a dire la piena capacità di esercitare e disporre dei diritti che ne formavano oggetto (Cass., 10 giugno 2024, n. 16052; F.A. Genovese, Amministrazione di sostegno: la sorte del mandato anteriore, in Giur. it., 2024).
L'a.d.s. e gli atti personalissimi
La disciplina dell'A.d.S. non contiene alcuna espressa previsione di raccordo con le disposizioni in materia di atti personalissimi quali il matrimonio, il testamento e la donazione, atti dei quali invece si occupano, con previsioni variamente limitative, le norme codicistiche relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati (C. Cost., 10 maggio 2019, n. 114).
Ebbene, non potendosi ripercorrere, in questa sede, le teorie che sul punto si sono variamente alternate, sovrapposte ed intersecate, pare utile prendere le mosse dagli articoli 409 e 411 c.c., i quali precisano rispettivamente che il beneficiario «conserva» la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno, e che il giudice tutelare può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario, avuto riguardo all'interesse del medesimo: pertanto, l'interessato, in via generale, può senz'altro validamente compiere gli atti personalissimi (contrarre matrimonio, disporre per testamento e per donazione).
Ciò significa, innanzi tutto, che il divieto di contrarre matrimonio, previsto dall'art. 85 c.c. per l'interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario dell'A.d.S., potendo tuttavia essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di eccezionale gravità, sempreché sia conforme all'interesse dell'amministrato (Cass., 11 maggio 2017, n. 11536; Cass., 2 ottobre 2023, n. 27691).
Allo stesso modo, pur dovendosi escludere la possibilità di estendere in via analogica al beneficiario dell'A.d.S. l'incapacità a disporre per testamento (prevista, per l'interdetto, dall'art. 591, comma 2, n. 2, c.c.) e a donare (prevista dall'art. 774, comma 1, c.c.), ciononostante si riconosce come il giudice tutelare possa imporre limitazioni ove le condizioni psico-fisiche dell'interessato appaiano compromesse in misura tale da indurre che egli non sia in grado di esprimere una libera e consapevole volontà (Cass., 16 febbraio 2025, n. 3941; Cass., 28 marzo 2024, n. 8456; Cass., 21 maggio 2018, n. 12460).
Con specifico riferimento alla capacità a disporre per testamento, poi, parte della giurisprudenza (Cass., 4 marzo 2020, n. 6079) ha ulteriormente distinto il caso dell'amministrazione di sostegno «sostitutiva o mista» (che presenta caratteristiche affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è comunque in grado di determinarsi autonomamente in difetto di un intervento, appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo, dell'amministratore) da quella «puramente di assistenza» (che si avvicina alla curatela, in relazione alla quale l'ordinamento non prevede i divieti di ricevere per testamento e donazione che, al contrario, sono previsti per tutore e protutore dagli artt. 596,599 e 779 c.c.).
Al di là delle riferite applicazioni del criterio, in chiave critica, deve comunque osservarsi come attenta dottrina (S. Patti, Il contraente “fragile”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2/2025) abbia richiamato l'attenzione sulla circostanza che mentre l'atto di ultima volontà del «testatore fragile» non incide sul suo livello di vita, la donazione conclusa dal «contraente fragile» priva immediatamente la persona di beni che potrebbero essere molto utili o indispensabili per la sua esistenza.
Altro aspetto di rilievo, sempre tra i diritti personalissimi, è rappresentato dal diritto alla separazione, riconosciuto dalla giurisprudenza come situazione giuridica soggettiva che realizza la personalità dell'individuo, così riconoscendosi – anche in regime di A.d.S. – l'esercizio da parte del beneficiario attraverso il suo amministratore. Dall'atteggiamento assunto dalla giurisprudenza di merito, in particolare, si evince che è compito del giudice tutelare valutare la rispondenza dell'azione di separazione o divorzio all'effettiva volontà e all'interesse del beneficiario (Trib. Catania, 15 gennaio 2015; Trib. Modena, 25-26 ottobre 2007); a questa stregua, la proposizione di un ricorso per separazione consensuale senza la preventiva autorizzazione del giudice tutelare, quando tale autorizzazione sia prescritta, può essere considerata come causa di annullamento, ai sensi dell'art. 412 c.c., esercitabile dal pubblico ministero, dall'amministratore di sostegno, dal beneficiario o dai suoi eredi ed aventi causa (Trib. Taranto, 4 marzo 2025, n. 494).
Da ultimo, non sembra superfluo ricordare che l'amministratore di sostegno è privo di un autonomo potere di querela, a meno che questo non sia stato specificamente attribuito dal giudice tutelare nel decreto di nomina, proprio in quanto la persona beneficiaria non è considerata incapace di intendere e di volere ma conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza dell'amministratore (C.d.A. Trento, 2 aprile 2025, n. 24). E, così, è stata ritenuta valida la querela proposta, nei limiti dei poteri individuati dal decreto di nomina del giudice tutelare, dall'amministratore di sostegno nell'interesse del figlio quale persona offesa dal reato, non essendo necessaria la nomina di un curatore speciale per l'assenza di un conflitto di interessi tra le persone interessate (Cass. pen., 18 gennaio 2019, n. 18333).
In conclusione
Nella analisi di una così ampia materia, evidentemente, non ci si potrebbe spingere oltre la sommaria indicazione delle principali tendenze ermeneutiche emerse in sede di dibattito dottrinale e nelle pronunce giurisprudenziali, ove alle «situazioni di degrado sociale, buio familiare, povertà, insuccessi, solitudine forzata» si affiancano quelle in cui gli interessati sono «portatori di accentuata fragilità psichica» (P. Cendon, Le attività realizzatrici della persona, in Resp. civ. prev., 12/2011).
Ciò che resta, nel cammino intrapreso, è – unitariamente – la rilevanza di un istituto, quale l’amministrazione di sostegno, che a fronte di «una inadeguatezza gestionale rispetto al compimento di una o più attività quotidiane, dovuta non solo a patologie classificate in ambito medico, ma a qualsiasi causa di natura fisica, psichica, relazionale, sensoriale, anagrafica» dell’individuo ha, tra l’altro, lo scopo di «rispondere ad esigenze solidaristiche e di inclusione sociale», ponendosi in contrapposizione con l’interdizione e inabilitazione nonché riconoscendo e valorizzando le residue capacità del beneficiario (Trib. Bologna, 9 dicembre 2024).
In definitiva, se è vero che «l’autodeterminazione nella vita e nel corpo rappresenta il punto più intenso e estremo della libertà esistenziale, che si declina pure come libertà giuridica» (S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, 2015), parimenti l’A.d.S. deve fornire una protezione del “soggetto debole” basata anche sul principio di solidarietà, cosicché l’ambiente (non solo familiare ma anche sociale) di riferimento possa essere tratteggiato, del tutto coerentemente, come assolutamente “inclusivo”.
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Sommario
La centralità assunta dall'a.d.s.
La volontà del beneficiario nella scelta dell'amministratore e il rifiuto della misura di protezione