Operazioni oggettivamente inesistenti ed onere probatorio

Giovambattista Palumbo
26 Agosto 2025

fCon la pronuncia in commento, la Corte di cassazione si esprime in tema di onere probatorio gravante sul contribuente in caso di contestazione, allo stesso, della sussistenza di operazioni oggettivamente inesistenti.

Massima

In tema di operazioni oggettivamente inesistenti la presenza di formale documentazione non vale ad escludere l'esistenza della frode fiscale. La prova contraria che il contribuente deve offrire non può consistere nelle edizioni della fattura e nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei mezzi di pagamento adoperati, che, anzi, di norma, vengono proprio utilizzati allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia. Tanto più se la documentazione non risulti regolare, avendo ammesso la contribuente di aver operato pagamenti in contanti, in sicura violazione della normativa antiriciclaggio.

Il caso

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 26 giugno 2025, n. 17235, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti probatori nell’ambito di un contenzioso avente ad oggetto una contestazione per operazioni oggettivamente inesistenti.

Nel caso di specie, una Sas impugnava due avvisi di accertamento, relativi agli anni 2005 e 2006, con i quali l'Agenzia delle Entrate aveva rettificato il reddito imponibile della stessa, disconoscendo costi portati in deduzione.

In particolare, l'Amministrazione finanziaria riteneva sussistere operazioni oggettivamente inesistenti al fine della sola emissione della fattura.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale.

Avverso tale pronuncia l'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, lamentando, per quanto di interesse, l’erroneità della sentenza laddove la Commissione Tributaria Regionale non aveva riconosciuto come la prova di operazioni oggettivamente inesistenti potesse essere fornita dall'Ufficio anche per mezzo di presunzioni semplici, e ritenendo invece rilevante che la contribuente avesse tenuto formale documentazione delle stesse operazioni.

La questione

In tema di IVA, l'onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell'Amministrazione finanziaria e può essere assolto anche mediante presunzioni semplici, come, per esempio, la dimostrazione dell'assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell'IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo però tale onere ritenersi assolto con l'esibizione della mera fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia (cfr., tra tante, Cass., 10 aprile 2024, n. 9723; Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628).

L'Ufficio, che contesti al contribuente l'inesistenza dell'operazione, ha del resto l'onere di provare che l'operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l'assenza dell'operazione, non è configurabile la buona fede di quest'ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (cfr., Cass., 10/12/2024, n. 31746).

Una volta che l'Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta dunque al contribuente, ai fini della detrazione dell'IVA e/o della deduzione dei relativi costi, offrire la controprova dell'effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere, come detto, ritenersi assolto con l'esibizione delle sole fatture, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati.

La soluzione giuridica

Secondo la Suprema Corte, la censura era fondata.

Evidenziano i giudici di legittimità che, nella fattispecie in esame, i giudici della Commissione Tributaria Regionale avevano fatto malgoverno dei principi già declinati dalla Cassazione, in particolare laddove avevano argomentato l'effettività delle operazioni fatturate dal fatto che, essendo committenti in suo favore, in virtù di un contratto di appalto, il Comune, la Provincia e l'Azienda Sanitaria, erano state prodotte le fatture in ricarico emesse nei confronti dei predetti enti, «che certamente avranno verificato l'effettività dei lavori svolti prima di procedere al pagamento».

È evidente, rileva la Suprema Corte, che tale argomentazione non comportava una prova contraria sufficiente ed idonea, atteso che non era in discussione se queste prestazioni fossero state effettuate o meno in esecuzione del contratto di appalto, ma la struttura aziendalistica delle due società, rispetto alle quali si era accertato che erano prive di qualsivoglia organizzazione imprenditoriale e che non sussistevano né la struttura né il personale per rendere le prestazioni fatturate alla società contribuente.

Addirittura, rileva la Corte, la difesa richiamava a proprio favore il fatto che la ditta aveva comunque lavoratori extracomunitari non dichiarati, che, perciò, pagava in contanti.

In definitiva, secondo la Cassazione, nella sentenza impugnata mancava ogni valutazione sulla tesi iniziale dell'Agenzia, ossia – non la realità dell'esecuzione o meno dei lavori appaltati dagli enti pubblici, ma – la realità dei lavori asseriti come effettuati dalle due società subappaltatrici alla società contribuente e fatturati.

Né certo, a tali fini, poteva darsi rilievo alla circostanza riportata secondo cui la contribuente aveva saldato, sia pure in contanti, i subappaltatori.

In conclusione, la Corte di cassazione rilevava che la presenza di formale documentazione non valeva ad escludere l'esistenza della frode fiscale, perché la prova contraria che il contribuente deve offrire in tali fattispecie non può consistere nelle edizioni della fattura e nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei mezzi di pagamento adoperati, che, anzi, di norma vengono proprio utilizzati allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia.

Tanto più che, nella specie, neppure la documentazione risultava in realtà regolare, avendo la stessa resistente ammesso che erano stati effettuati pagamenti in contanti, in sicura violazione della normativa antiriciclaggio vigente.

Osservazioni

A prescindere dallo specifico caso processuale, giova anche evidenziare quanto segue.

Ai fini dell'utilizzo degli indizi, la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette comunque di acquisire una prova presuntiva, che, anche da sola, è sufficiente, nel processo tributario, a sostenere i fatti accertati dall'Amministrazione.

Solo dunque quando manchi tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova, laddove la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico, ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi.

Il materiale probatorio per la verifica dell'oggettiva inesistenza delle prestazioni fatturate può per esempio consistere:

  • nelle dichiarazioni raccolte dalle quali risulti la inesistenza dei lavori descritti nei documenti,
  • nelle incongruità emerse tra le attività fatturate e la capacità degli esecutori delle prestazioni fatturate ad eseguire le prestazioni medesime,
  • nelle modalità di pagamento delle prestazioni (in contanti in primis).

Vero è che, poiché la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'Iva e alla deducibilità dei costi, spetta all'Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l'insorgenza di tale diritto.

Tale dimostrazione può però comunque ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (cfr., Cass., n. 3503 del 7 febbraio 2024).

Qualora dunque venga contestata dall'Amministrazione finanziaria l'inesistenza oggettiva delle operazioni, la questione attiene, in sostanza, al corretto riparto dell'onere della prova, nonché alla individuazione degli elementi indiziari sui quali la pretesa può essere correttamente basata.

Nell'ordinamento tributario, infatti, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici, le quali sono comunque idonee, di per sé sole, a fondare il convincimento del giudice.

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