Nullità della sentenza di merito e prova nel giudizio di legittimità

07 Agosto 2025

E' inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce la nullità dell'atto di citazione in primo grado o della sua notifica non fatta valere come motivo di appello.

Massima

È inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce la nullità dell'atto di citazione in primo grado o della sua notifica non fatta valere come motivo di appello. Nel giudizio di legittimità è deducibile come motivo di ricorso la nullità della sentenza di secondo grado determinata sia da vizi della citazione che da vizi della sua notificazione; e le cause di tale nullità possono essere dimostrate con le produzioni documentali consentite dall'art. 372 c.p.c.

Il caso

Il ricorrente fu convenuto in giudizio per la revocatoria di un contratto di vendita immobiliare. Nella sua contumacia la domanda attrice fu accolta e, persistendo la contumacia, la sentenza di primo grado fu confermata in appello. Con il ricorso l'originario convenuto denuncia la nullità della notifica dell'atto di citazione davanti al tribunale che assume essere stata erroneamente ritenuta perfezionatasi per compiuta giacenza; e denuncia altresì la nullità della notifica dell'atto di citazione in appello, ancora ai sensi dell'art. 140 del codice di rito, considerata dai giudici di merito come perfezionatasi per compiuta giacenza ma in realtà effettuata presso un indirizzo diverso da quello della residenza anagrafica.

La questione

Due i motivi di ricorso. Con il primo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161, 101, 140 c.p.c., legge n. 890/1982, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la notifica dell'atto di citazione davanti al tribunale, apparentemente perfezionata per compiuta giacenza, era stata effettuata presso un luogo nel quale risiedevano unicamente i figli e la moglie che, portando il suo cognome, lo avevano indicato sul campanello: ne era derivata la nullità della notifica e della conseguente dichiarazione di contumacia, con necessità di regressione processuale al primo grado. Con l'ulteriore motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161, 101, 140 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l'atto di appello,  apparentemente perfezionatosi per compiuta giacenza, era stato notificato presso un luogo che non costituiva più la sua residenza in quanto lasciato dal mese precedente all'accesso perché locato dalla proprietaria a terze persone.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha premesso nella motivazione della sua pronuncia l'enunciazione dei principi in diritto che le questioni sollevate dal ricorso richiedevano di essere applicati nella vicenda di specie. L'art. 372 c.p.c., si è ricordato, consente la produzione, nel giudizio di legittimità, dei documenti relativi alla nullità della sentenza impugnata e, per giurisprudenza costante, la disposizione si applica anche alla nullità o inesistenza della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di merito, quando la produzione dei documenti costituisce il solo mezzo per dimostrare, con il vizio del procedimento, la nullità della sentenza (ove si ritenesse il contrario, il divieto di produzione di nuovi documenti nel giudizio di legittimità si tradurrebbe in un'ingiustificata limitazione del diritto di difesa della parte, garantito dall'art. 24 della Costituzione: Cass. n. 3373/2009).  Con specifico riguardo alla deduzione di nullità della citazione introduttiva del processo di primo grado, Il Collegio ha osservato che l'art. 161 c.p.c. pone l'obbligatoria regola della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, per cui, se il vizio non viene fatto valere nel giudizio dall'appellato rimasto – come nel caso – contumace, la nullità non può essere dedotta per la prima volta neppure in cassazione, essendo ormai preclusa ogni indagine al riguardo e atteso che la regola del rilievo d'ufficio delle nullità in caso di contumacia, prevista dall'art. 164, comma 1, c.p.c., si riferisce unicamente alla citazione introduttiva del grado di giudizio in atto e non anche a quella introduttiva del grado precedente. Ne è seguita la considerazione per cui, ormai precluso l'esame della dedotta invalidità della pronuncia di primo grado, veniva a porsi come unico oggetto di esame la pretesa nullità dell'atto introduttivo del procedimento di secondo grado in  riferimento ai pretesi vizi che a parere del ricorrente avevano colpito la notificazione della citazione in appello. Tali vizi riguardavano le modalità di esecuzione della notifica, non giunta al destinatario per asseriti disguidi riguardanti la sua residenza. In proposito il ricorrente si era offerto di dimostrare le circostanze in fatto cause dell'asserito vizio mediante la produzione documentale probatoria che la normativa consente di effettuare anche nel giudizio di sola legittimità. Di questa produzione, però, l'interessato si era limitato a fare menzione e indicazione nei suoi atti difensivi, senza farne deposito alcuno e senza indicare dove poterla reperire nei fascicoli.  In tal modo, ha concluso la Corte,  era impossibile la conoscenza dell'esatto contenuto della relata della notificazione che il ricorrente assumeva essersi «apparentemente perfezionata per compiuta giacenza“; in altri termini, l'atto decisivo per la censura non era suscettibile d'idonea verifica nel giudizio di legittimità. Mentre andava ribadito, sul punto, che davanti alla Suprema Corte sono inammissibili, per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (ratione temporis vigente) le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.

Osservazioni

La motivazione della pronuncia ha collegato in successione logica principi in diritto certamente pertinenti al caso. L'art. 161 c.p.c., si è ricordato, ammette la deduzione delle ragioni di nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione unicamente sotto forma di motivi di impugnazione, intendendo con ciò  significare che i vizi delle sentenze non dedotti come ragioni di gravame restano fuori dalla materia del decidere nel giudizio di impugnazione. Ne segue che quanto è rimasto estraneo alla deduzione dei motivi di appello non può più costituire questione da proporre con il ricorso per cassazione. Né vale a superare questa normativa l'attribuzione al giudice del potere di rilevare d'ufficio le nullità della citazione e della sua notifica  perché coerenza vuole che quanto è inibito alla parte che non ha denunciato le nullità come motivo di impugnazione non sia consentito neppure al giudice: la regola del rilievo d'ufficio delle nullità in caso di contumacia, prevista dall'art. 164, comma 1, c.p.c., si riferisce unicamente alla citazione introduttiva del grado di giudizio in atto e non anche a quella introduttiva del grado precedente, in virtù dello sbarramento conseguente alla regola della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione di cui all'art. 161 c.p.c.  (Cass. n. 30584/2022). La deduzione di vizi di nullità fondati, come nella specie, su circostanze di fatto presuppone che di tali circostanze sia fornita la dimostrazione, in ossequio alla generale regola dell'onere probatorio per chi propone domande o formula eccezioni. In proposito l'art. 372 c.p.c. consente le produzioni documentali specificamente relative alla nullità della sentenza impugnata o alla nullità o inesistenza della notifica dell'atto introduttivo del giudizio di merito, quando la produzione dei documenti costituisce il solo mezzo per dimostrare, con il vizio del procedimento, la nullità della sentenza. Su questo punto la concatenazione delle argomentazioni della Corte ha dovuto fermarsi: le produzioni probatorie che verosimilmente avrebbero potuto essere ammesse ed esaminate non erano state effettuate. Esse erano state indicate dal ricorrente come disponibili e risolutive ma erano rimaste a livello  di mera enunciazione negli  indici degli atti, senza alcun seguito di messa a disposizione della Corte e della controparte. Ne risultava l'inammissibilità del ricorso. Il verosimile disagio cagionato da una difesa risultata così incompleta ha indotto la Corte ad andare oltre nella sua esposizione: essa ha ricordato quali avrebbero dovuto essere le forme e i modi delle produzioni, ove esse fossero state effettuate, ai sensi dell'art. 366; ed è scesa a valutare sinteticamente la valenza probatoria delle circostanze in fatto assunte quali determinatrici della nullità della notifica della citazione in appello. Il Collegio ha avvertito che la pronuncia valeva ratione temporis, posto che nel frattempo la produzione degli atti e dei documenti nel processo civile ha subito le trasformazioni normative conseguenti all'informatizzazione telematica. 

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