Esenzione IMU per la “socialità” dell'immobile sempre subordinata alla dichiarazione
18 Agosto 2025
Massima La ragione per cui vi è l’obbligo di presentazione della dichiarazione per fruire della eventuale esenzione anche per l’appartenenza dell’immobile alla categoria degli alloggi sociali, sta nel fatto che la norma statale generale è chiarissima nel prevedere tale obbligo come presupposto necessario per accedere alla esenzione, con la conseguente disapplicazione della norma gerarchicamente sotto-ordinata contrastante (i.e. il regolamento comunale). Il caso Una società si opponeva ad alcuni avvisi di accertamento IMU su immobili di sua proprietà evidenziando che trattavasi di immobili con funzione sociale, concessi in locazione a soggetti che avevano i requisiti per godere di case popolari; tali soggetti erano stati, peraltro, segnalati dal Comune stesso con il quale era stata stipulata una convenzione in forza della quale la società si era obbligata ad assegnare gli alloggi a soggetti che avevano i requisiti per accedere a case popolari e ad applicare i canoni di cui alla legge regionale 5 dicembre 1983. La ricorrente faceva, altresì, presente che, a partire dal 2014, il regolamento IMU del Comune in questione aveva esentato dall’imposta i fabbricati di civile abitazione adibiti ad alloggi sociali senza che fosse necessario presentare la dichiarazione per potere fruire dei benefici di legge. A conforto la difesa della società ricordava che, con la riforma del 2001, il rapporto fra Stato ed enti locali in materia di fonti normative non può più ricostruirsi in assoluto come gerarchico, perché di fatto c’è una distribuzione e una diversificata attribuzione di materia di competenza per cui in alcune (tassativamente individuate) c’è competenza esclusiva dello Stato a legiferare, in altre c’è competenza concorrente (e i tributi locali sono una di queste). Tesi che veniva accolta dai giudici di primo grado, i quali, condividendo il superamento dello stretto rapporto di gerarchia fra Stato e enti locali post-riforma, rilevavano come esistesse una convenzione con il Comune che vincolava la parte ad assegnare gli alloggi a persone in possesso requisiti per essere assegnatari di case popolari con applicazione di un canone predeterminato dalla legge regionale. «La presentazione della dichiarazione, affermavano i primi giudici, è quindi ultronea», tantopiù che i fruitori degli alloggi in questione erano indicati dal Comune stesso. La questione Secondo l’ente locale, la previsione della norma di legge statale prevale sulla norma regolamentare, dal momento che quest’ultima è norma contrastante gerarchicamente subvalente; tanto più che in materia tributaria opera il principio della riserva di legge. Il Comune, altresì, osservava come il contrasto fra regolamento e legge fosse solo apparente in quanto la norma comunale ribadisce l’obbligo di presentazione della dichiarazione per alcune tipologie di immobili, ma non esclude espressamente che si debba fare la dichiarazione per le altre, sicché deve concludersi che, per quanto non previsto espressamente dalla norma comunale e da essa non ribadito, torna ad applicarsi la norma generale della legge e dunque la necessità in ogni caso della presentazione della dichiarazione. La soluzione giuridica Tale tesi interpretativa è stata recepita dai giudici d'appello. E ciò non tanto perché la norma regolamentare non abbia escluso espressamente l'obbligo di presentare la dichiarazione per alcune tipologie di immobili ma soprattutto perché l'obbligo di presentare la dichiarazione di variazione a fini IMU per fruire della eventuale esenzione anche per l'appartenenza dell'immobile alla categoria degli alloggi sociali, sta nel fatto che «la norma statale generale è chiarissima nel prevedere la presentazione della dichiarazione come presupposto necessario per accedere alla esenzione, dovendosi disapplicare la norma gerarchicamente sotto-ordinata contrastante». Si tratta, ha aggiunto la Corte, di un onere previsto a pena di decadenza indipendentemente dalla conoscenza aliunde del Comune (cfr. Cass., sez. IV, 6 ottobre 2020, n. 21465 e Cass., sez. VI, 17 febbraio 2022, n. 5190). In sostanza, la dichiarazione ha valenza costitutiva ai fini dell'accesso alla esenzione. Sull'onere della prova. I giudici territoriali hanno anche ricordato come l'onere della prova, in tema di diritto all'esenzione, ricada sul contribuente e, per provare la sussistenza dei presupposti per potere qualificare gli immobili come “alloggi sociali”, non basta la semplice destinazione a funzione di interesse generale, ma servono precisi requisiti previsti dal DM aprile 2008 (con riguardo all'art. 1 - che prevede il requisito di destinazione funzionale – e all'art. 2 comma 7 - che prevede la necessità di alcune caratteristiche tecnico-costruttive), che, nel caso di specie, non erano stati né indagati né provati essendosi limitata la società a dire che il Comune conosceva la natura di alloggi sociali perché aveva stipulato una convenzione. In definitiva, secondo la Corte, non c'era nessuna prova sull'effettiva e concreta destinazione degli immobili in questione, sulla tipologia ed entità dei canoni applicati né sul fatto che il Comune avrebbe indicato i nomi dei beneficiari. |