Consulenza tecnica preventiva ed interesse all’instaurazione del giudizio di merito

31 Luglio 2025

Con la pronuncia in commento, la Corte di cassazione individua le ipotesi nelle quali non sussiste un concreto interesse ad incardinare il giudizio di merito dopo quello di accertamento tecnico preventivo ai fini della composizione della lite.

Massima

La parte che ha partecipato al procedimento per consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. è legittimata ad agire con una azione di accertamento negativo della propria responsabilità, prospettata nell'ambito di detto procedimento, al fine di verificare giudizialmente la correttezza o meno di quanto assunto nell'ATP, posto che la consulenza è liberamente apprezzabile e utilizzabile quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite; tuttavia, l'azione, per risultare ammissibile, deve essere sorretta da un concreto e attuale interesse ad ottenere detto accertamento, ex art. 100 c.p.c., tenuto conto del comportamento processuale della controparte, non potendo coincidere unicamente con quello dell'attore di ottenere la refusione delle spese di ATP sostenute nella fase stragiudiziale. (Nella specie, la S.C. confermava la pronuncia di inammissibilità, per difetto di interesse ad agire, dell'azione di accertamento negativo proposta da un odontoiatra, la cui responsabilità era stata esclusa in sede di ATP, in quanto, stante la condotta inerte assunta dalla controparte, che non aveva contrastato la domanda, risultava finalizzata esclusivamente al rimborso delle spese).

Il caso

A seguito di consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi (art. 696-bis c.p.c.), Tizio, medico odontoiatra, instaurava giudizio di merito ai fini dell'accertamento negativo della propria responsabilità professionale nei confronti di Caia (che aveva instaurato ante causam il procedimento ex art. 696-bis c.p.c.), chiedendo la rifusione delle spese sostenute nell'ambito del procedimento medesimo. La domanda era accolta in primo grado dal Tribunale di Trento, ma la predetta sentenza era riformata dalla Corte d'Appello della medesima città, la quale dichiarava l'azione di Tizio inammissibile per difetto di interesse ad agire, alla luce: i) dell'esito della consulenza medico - legale svoltasi in sede di accertamento tecnico preventivo ex artt. 696 e 696-bis c.p.c., che aveva escluso la responsabilità dell'odontoiatra in relazione ai fatti dedotti dalla ricorrente; ii) della mancata coltivazione da parte dell'originaria ricorrente, all'esito dell'ATP, delle proprie pretese risarcitorie nei confronti del professionista e iii) dell'impossibilità per la parte già "soddisfatta" dall'esito dell'accertamento tecnico preventivo di azionare il giudizio di merito al solo scopo di ottenere il rimborso delle spese tecniche e legali sostenute in sede di procedimento tecnico preventivo, soggette al generale principio di cui all'art. 8 d.p.r. n. 115/2002.

Avverso la sentenza del giudice del gravame proponeva ricorso per Cassazione Tizio, affidandolo a tre motivi.

La questione

Tutti e tre i motivi articolati ipotizzavano, sotto diversi profili, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 100 c.p.c. Essi erano, tuttavia, disattesi dalla Suprema Corte.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità, in particolare, ritenevano corretto il percorso logico-argomentativo seguito dalla Corte d'appello di Trento la quale, muovendo dall'assunto che l'interesse ad agire postula uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non rimuovibile se non con l'intervento del giudice, escludeva che simile situazione potesse sussistere nella vicenda al suo esame, ritenendo, peraltro, un'azione finalizzata al solo rimborso delle spese sostenute elusiva della disciplina delle spese nel procedimento per ATP (essendo queste ultime non liquidabili autonomamente e non sottoposte al principio di causalità o soccombenza di cui all' art. 91 c.p.c.) e contrastante con le finalità deflattive proprie della procedura di consulenza tecnica preventiva.

Si osserva, invero, nella pronuncia in commento che, astrattamente, tutte le parti che partecipano al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. sono legittimate ad agire in giudizio per far verificare giudizialmente la correttezza o meno delle risultanze della CTU a fini conciliativi, le quali costituiscono un elemento di prova soggetto al prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. e valutabile nel complesso del compendio istruttorio del processo. Poiché, inoltre, il procedimento per ATP non si conclude con la liquidazione delle spese processuali da parte del giudice che l'ha disposta - trattandosi di procedimento che, per quanto “giurisdizionalizzato”, non ha natura propriamente giudiziale, in quanto finalizzato al componimento della lite - ciascuna parte in sede di merito può chiedere che le spese sostenute nel precedente procedimento, purché adeguatamente documentate, siano liquidate come "danno emergente", alla stregua di quanto sostenuto dalla Suprema Corte con riferimento alle spese stragiudiziali (Cass. civ., sez. III, ord., 6 novembre 2023, n. 30854; Cass. civ., sez. VI, 2 febbraio 2018, n. 2644; Cass. civ., sez. I, 4 agosto 2017, n. 19613). La rifusione delle spese, tuttavia, non può essere l'unica ragione che sorregge la domanda introduttiva del giudizio di merito, difettando, altrimenti, un interesse giuridicamente rilevante all'instaurazione del processo, da intendersi quale possibilità di ottenere con il giudizio un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice.

Poiché, quindi, nella vicenda all'esame della Corte, l'unico interesse che sorreggeva la domanda dell'attore era la rifusione delle spese sostenute per il procedimento di ATP, non essendo stata la sua responsabilità professionale contestata dalla controparte all'esito dell'accertamento tecnico svoltosi ante causam (né con la proposizione dell'azione di merito né con la proposizione di domande riconvenzionali nel giudizio instaurato dalla controparte) correttamente la domanda stessa era stata giudicata inammissibile dal giudice del merito. Veniva, in conclusione il seguente principio di diritto: "sussiste la legittimazione ad agire della parte processuale che, a chiusura del procedimento di ATP, intende ottenere un accertamento negativo della sua responsabilità prospettata nell'ambito di detto procedimento, posto che la ATP entra a far parte del materiale probatorio idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite; tuttavia, l'azione de qua, per risultare ammissibile, deve essere sorretta da un concreto e attuale interesse ad ottenere detto accertamento, ex art. 100 c.p.c., tenuto conto del comportamento processuale delle parti del giudizio, non potendo coincidere unicamente con quello dell'attore di ottenere la refusione delle spese di ATP sostenute nella fase stragiudiziale".

Osservazioni

L'istituto di cui all'art. 696-bis c.p.c., per come evincibile dal raffronto con il precedente art. 696 c.p.c., prescinde dei presupposti di natura strettamente cautelare del periculum in mora e del fumus boni iuris e costituisce, piuttosto, strumento di deflazione processuale, la cui finalità primaria è quella di favorire la composizione della lite nella fase antecedente a quella processuale, attraverso un accertamento di natura tecnica sulla base della quale le parti possano trovare un accordo che renda superflua l'instaurazione di un giudizio contenzioso. In materia di responsabilità medica, la consulenza tecnica preventiva costituisce, inoltre, condizione di procedibilità della domanda alternativa alla mediazione, ai sensi dell'art. 8 legge n. 24/2017, nell'ambito di procedimento in cui la finalità conciliativa-deflattiva dell'istituto appare recessiva rispetto alla diversa ratio rappresentata dalla finalità di istruzione preventiva (sebbene non cautelare), in quanto il previo svolgimento del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., da espletarsi "dinanzi al giudice competente" (art. 8, comma 1, legge n. 24/2017), serve ad anticipare un segmento istruttorio fondamentale per la risoluzione di cause caratterizzate - come quelle in tema di responsabilità sanitaria - da questioni soprattutto tecniche (C. cost. n. 87/2021; Cass. civ., sez. III, ord., 5 maggio 2025, n. 11804). Ove, in ogni caso, la conciliazione fallisca, ciascuna delle parti può chiedere, nel successivo giudizio di merito, che la CTU svoltasi nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c. venga acquisita agli atti del processo, al fine di costituire un elemento di prova soggetto al prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c. (potendo il giudice, con adeguata motivazione, discostarsi dalle conclusioni rassegnate dal consulente d'ufficio o disporre indagini tecniche suppletive o integrative). L'instaurazione del giudizio di merito, tuttavia, pur potendo avvenire ad opera di ciascuna delle parti che partecipi al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. e potendo, quindi, ad esempio essere finalizzata ad un accertamento negativo di un credito o della responsabilità professionale di un sanitario, deve, comunque, sottendere un interesse ad agire, che postula uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sull'esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, la cui rimozione non possa avere luogo se non con l'intervento del giudice (così la sentenza in commento, che richiama, sul punto, i principi enunciati da Cass. civ., sez. II, sent., 26 maggio 2008, n. 13556 e Cass. civ., sez. lav., sent., 21 febbraio 2008, n. 4496). L'interesse non può, di contro, consistere nella sola volontà di ottenere la rifusione delle spese sostenute per il procedimento ex art. 696-bis c.p.c. Benché, infatti, la giurisprudenza di legittimità sia oggi costante nell'affermare che le spese per la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. non abbiano natura giudiziale e rientrino nelle spese stragiudiziali sopportate dalla parte prima della lite, con la conseguenza che esse non danno luogo ad un'autonoma liquidazione da parte del giudice che ha disposto la consulenza e devono essere liquidate all'esito del giudizio di merito come danno emergente in favore della parte che ne ha fatto richiesta, purché provate e documentate (Cass. civ., sez. II , sent., 27 dicembre 2024, n. 34540; Cass. civ., sez. III, ord., 6 novembre 2023, n. 30854), tale posta risarcitoria non può costituire la sola causa petendi dell'azione di merito, dovendosi comunque inserire in una “controversia” tra le parti nel senso sopra detto.

Riferimenti

Sulla natura del procedimento ex art. 696-bis c.p.c. instaurato quale condizione di procedibilità di una domanda di colpa medica si veda Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2025, n 11804. In generale sull'istituto si veda C. cost. 21 dicembre 2023, n. 222  e C. cost. 10 novembre 2023, n. 202.

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