La tardività dell’eccezione di prescrizione permane in caso di separazione delle cause
29 Luglio 2025
Massima In tema di separazione di cause, poiché la causa separata è una mera prosecuzione di quella da cui origina, la tempestività dell'eccezione di prescrizione in relazione al giudizio separato è rispettata se essa è formulata tempestivamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio originario, sicché, se detta comparsa è stata depositata tardivamente, è tardiva anche l'eccezione, senza possibilità di una rimessione in termini per effetto dell'eventuale rinnovazione della citazione nel giudizio separato. Il caso Tizio ed altri medici convenivano in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute ed il M.E.F., chiedendone la condanna alla remunerazione adeguata o al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee in tema di adeguata remunerazione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione medica da loro frequentati in regime ante d.lgs. n. 257/1991. Le amministrazioni convenute si costituivano tardivamente, sollevando, tra l'altro, eccezione di prescrizione. Su istanza delle stesse convenute, il giudice capitolino disponeva la separazione delle cause, raggruppando gli attori in tre categorie in base alla diversa data di iscrizione ai corsi di specializzazione. Con “comparsa di costituzione per separazione dei fascicoli”, 33 medici convenivano nuovamente le amministrazioni pubbliche dinanzi al tribunale di Roma, ribadendo le domande già formulate con l'originaria citazione. Iscritto il procedimento con nuovo numero di R.G., le amministrazioni convenute depositavano una nuova comparsa di risposta nella quale reiteravano, tra l'altro, l'eccezione di prescrizione già sollevata nell'originario giudizio. Il tribunale di Roma, tra le varie statuizioni, accoglieva l'eccezione di prescrizione sollevata con l'originaria comparsa di risposta, ritenendo tale eccezione tempestiva in quanto, poiché successivamente alla separazione delle originarie posizioni processuali gli attori avevano notificato (pur non essendo necessario) una nuova citazione, le controparti erano state rimesse in termini. A seguito dell'impugnazione proposta da alcuni medici, al fine di censurare la declaratoria di intervenuta prescrizione nonostante la tardività della relativa eccezione, la Corte d'appello di Roma riteneva che, in realtà, l'eccezione di prescrizione non fosse stata mai sollevata dalle parti convenute, con conseguente violazione, da parte del giudice di primo grado, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. Avverso tale statuizione proponevano ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i predetti Ministeri, i quali lamentavano, tra l'altro, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112, comma 1, c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 359 e 342 c.p.c., dal momento che la corte d'appello non avrebbe potuto pronunciarsi d'ufficio sulla mancata proposizione, in primo grado, dell'eccezione di prescrizione da parte della difesa delle amministrazioni, non essendo stato formulato dall'appellante alcun motivo sul punto, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c. Secondo le amministrazioni ricorrenti, nessuna delle parti aveva impugnato in appello la sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. nella parte in cui aveva dichiarato decorsa una prescrizione mai eccepita, nè il giudice di appello poteva rilevare tale vizio d'ufficio. La questione La pronuncia in commento esamina la questione processuale inerente al rapporto che si instaura, a seguito della separazione delle cause disposta dal giudice istruttore, tra la causa originaria e quella separata, sotto il profilo, in particolare, della persistenza, in quest'ultima, delle decadenze e preclusioni in cui siano incorse le parti nella causa originaria. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte ha premesso che le amministrazioni ricorrenti avevano formalmente sollevato l'eccezione di prescrizione nella originaria comparsa di risposta, depositata nell'ambito del giudizio instaurato prima che venisse disposta la separazione delle cause e che fosse iscritta a ruolo la nuova causa introdotta dagli attori in primo grado, ma tale eccezione era tardiva - come esattamente controeccepito, nell'immediatezza, dagli stessi attori – attesa la tardiva costituzione in giudizio delle amministrazioni convenute. Né, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, poteva sostenersi che le amministrazioni eccipienti fossero state rimesse in termini per effetto della “nuova” citazione posta in essere dagli attori successivamente alla separazione delle cause, che aveva originato l'iscrizione di un nuovo procedimento. In proposito, la Cassazione ha rammentato che la causa separata è mera prosecuzione della causa da cui origina e, quindi, le eccezioni fatte in quest'ultima valgono anche per l'altra; ne consegue che la tempestività dell'eccezione di prescrizione è rispettata se essa è formulata tempestivamente nella comparsa di costituzione e risposta depositata nel giudizio originario, non occorrendo una reiterazione di tale eccezione in quello separato (Cass. civ. 3 settembre 2020, n. 18274; Cass. civ. 5 luglio 2024, n. 18450); pertanto, se l'originaria comparsa di risposta è depositata tardivamente, anche l'eccezione in essa contenuta è (e resta) tardiva. In sede di appello, quindi, correttamente gli originari attori avevano censurato la statuizione di primo grado che, erroneamente, aveva reputato l'eccezione tempestiva in ragione della presunta restituzione nel termine avvenuta in seguito alla “nuova” citazione. Nel censurare tale statuizione, gli appellanti avevano sì stigmatizzato la tardività dell'eccezione sollevata dalle parti convenute, ma in tal modo avevano anche censurato l'ultra-petizione in cui era incorso il giudice di primo grado, per avere pronunciato su una eccezione preliminare di merito in senso proprio (dunque, non rilevabile d'ufficio), sebbene la parte legittimata l'avesse sollevata tardivamente. Il vizio denunciato con il primo motivo d'appello, pertanto, era proprio il vizio di violazione (per eccesso: ultra-petizione) del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c., sicché la Corte d'appello, dopo avere erroneamente dichiarato inammissibile il motivo di gravame, nella sostanza aveva correttamente proceduto alla sua delibazione nel merito, rilevandone la fondatezza. La Suprema Corte ha, quindi, rigettato il motivo di ricorso inerente all'eccezione di prescrizione, procedendo, tuttavia, alla correzione della motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo, in relazione al profilo evocato, risultava conforme a diritto (art. 384, ult. comma, c.p.c.). Osservazioni La statuizione in commento risulta pienamente condivisibile: se, invero, il giudizio separato è mera prosecuzione di quello da cui origina, le eccezioni (compresa quella di prescrizione) fatte in quest'ultimo valgono anche per quello, ragion per cui la tempestività dell'eccezione di prescrizione è rispettata se l'eccezione stessa è contenuta nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata nel giudizio originario, non occorrendo che in quello separato venga reiterata nei termini decadenziali propri di quest'ultimo. La separazione delle cause è disciplinata dagli artt. 103, comma 2, e 104, comma 2, c.p.c., disposizioni a loro volta richiamate dall'art. 279, comma 2, n. 5, c.p.c. In particolare, il comma 2 dell'art. 103 c.p.c., in tema di litisconsorzio facoltativo generato dalle domande proposte da più parti o contro più parti nello stesso processo (cd. cumulo soggettivo) – quando tra tali domande sussista connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipenda, in tutto o in parte, dalla risoluzione di identiche questioni – consente la separazione delle cause cumulate, nel corso della fase istruttoria o al momento della decisione, su istanza concorde delle parti oppure in seguito ad una valutazione del giudice, che ritenga diseconomico proseguire il processo cumulato (Cass. civ. 14 marzo 1986, n. 1732, in materia di spoglio o turbativa del possesso riferibili a più soggetti). Il provvedimento che dispone la separazione, come anche quello di riunione delle cause, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass. civ. 30 settembre 2022, n. 28539; Cass. civ. 30 marzo 2018, n. 8024); in particolare, avverso tale provvedimento è inammissibile la proposizione del regolamento di competenza, anche qualora lo stesso sia stato adottato in contrasto con la previsione dell'art. 40 c.p.c. (Cass. civ. 3 maggio 2005, n. 9112). In effetti, proprio in relazione alla speculare ipotesi di riunione di cause identiche o connesse, è insorta in giurisprudenza la questione volta a stabilire se la preclusione o decadenza in cui sia incorsa una parte in un primo giudizio possa ritenersi superata dal tempestivo compimento, in un secondo giudizio poi riunito al primo, dell'attività processuale omessa o compiuta tardivamente. Si pensi all'ipotesi in cui l'attore non produca, nei termini istruttori di cui all'art. 171-ter c.p.c. (art. 183, comma 6, c.p.c. per i procedimenti instaurati fino al 28 febbraio 2023, ossia ante d.lgs. n. 149/2022, cd. riforma Cartabia), la documentazione posta a fondamento della domanda giudiziale proposta e, incorso nella relativa decadenza, instauri un secondo giudizio, identico al primo, chiedendo la riunione dei due giudizi e depositando tempestivamente, nel secondo giudizio, la documentazione omessa nel primo. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto, con orientamento ormai consolidato, che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l'introduzione di un secondo giudizio identico al primo e a questo riunito, in quanto la riunione di cause identiche non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinarne il concorso nella definizione dell'effettivo thema decidendum et probandum, restando anzi intatta l'autonomia di ciascuna causa. Ne consegue che, in tale evenienza, il giudice - in osservanza del principio del ne bis in idem e allo scopo di non favorire l'abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni - deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati e al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l'eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l'impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata (Cass. civ. 27 gennaio 2025, n. 1877; Cass. civ. 14 luglio 2023, n. 20248; Cass. civ. 5 ottobre 2018, n. 24529; Cass. civ. 15 gennaio 2015, n. 567). Tale conclusione risulta pienamente condivisibile per molteplici ragioni. In primo luogo, infatti, opinandosi diversamente, si verrebbe a creare una irragionevole sperequazione tra l'ipotesi delle cause identiche proposte dinanzi ad uffici giudiziari diversi, in cui le preclusioni verificatesi nel primo giudizio resterebbero ferme in ragione della cancellazione della seconda causa ex art. 39 c.p.c., e l'ipotesi di cause identiche proposte dinanzi allo stesso ufficio giudiziario, riunite ex art. 273 c.p.c., in cui le preclusioni verificatesi nel primo giudizio potrebbero essere sanate dal compimento, nel secondo giudizio, di quella attività processuale omessa o realizzata tardivamente nel primo giudizio. In aggiunta, poi, non sembra consentito offrire alle parti un comodo escamotage per aggirare le barriere preclusive previste dal codice di rito, così da rimetterle automaticamente in termini al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. 153 c.p.c., e ciò anche in ragione del fatto che le preclusioni assertive ed istruttorie sono del tutto sottratte alla disponibilità delle parti ed, essendo poste a tutela anche dell'interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, sono rilevabili d'ufficio dal giudice anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (Cass. civ., 13 agosto 2020, n. 17121; Cass. civ. 26 giugno 2018, n. 16800; Cass. civ., 18 marzo 2008, n. 7270; Cass. civ. 13 dicembre 2006, n. 26691). In caso di riunione di cause identiche, quindi, la verificazione di una preclusione, di rito o di merito, nel primo processo (tanto in ordine alla deducibilità di nuovi mezzi di prova, quanto in ordine al rilievo di nuove eccezioni in senso proprio) impedisce che nel secondo processo la preclusione possa essere superata (Cass. civ. 17 marzo 2006, n. 5894). Alla luce dei predetti principi si è, così, ritenuto che l'inammissibilità, per tardività, dell'eccezione di prescrizione di un diritto non consente la riproposizione della medesima difesa, sia pure in via di azione, in un secondo giudizio, successivamente riunito al primo, in quanto, ove fosse consentito rimediare alla tardività “rimettendo la palla in gioco” per mezzo di una nuova citazione, non solo risulterebbe agevolmente, anzi banalmente, elusa la decadenza, avente funzione di ordine pubblico processuale, ma resterebbe anche sensibilmente minato il diritto di difesa della controparte che, diligentemente attenutasi al rispetto delle decadenze processuali e impostata la propria strategia tenendo conto dell'avversa difesa, subirebbe l'abuso dell'aggiramento della preclusione (Cass. civ. 6 settembre 2019, n. 22342). Lo stesso principio vale anche nel caso di riunione di cause tra loro in rapporto di continenza e pendenti davanti al medesimo giudice, essendosi rilevato che le preclusioni maturate nel giudizio preveniente anteriormente alla riunione rendono inammissibili nel giudizio prevenuto solo le attività, soggette alle scansioni processuali dettate a pena di decadenza, svolte con riferimento all'oggetto di esso che sia comune al giudizio preveniente, e non si comunicano, pertanto, né alle attività assertive che, come le mere difese e le eccezioni in senso lato, non soggiacciono a preclusione, né alle attività assertive e probatorie che, pur soggette a preclusione, concernono la parte del giudizio prevenuto non comune con quello preveniente (Cass. civ. 2 luglio 2021, n. 18808). |