L'onere della prova dei nonni per il danno derivante dalla perdita del nipote

28 Luglio 2025

La questione in esame è la seguente: in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale è sufficiente il mero dato della convivenza nei casi in cui si tratti di relazioni coltivate al di fuori della ristretta cerchia della c.d. famiglia nucleare?

Massima

In tema di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "da uccisione", proposta "iure proprio" dai congiunti dell'ucciso, questi ultimi devono provare l'effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non costituisce presupposto necessario, ma solo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l'azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno, tanto perché la "società naturale", cui fa riferimento l'art. 29 Cost., non è limitata alla cd. "famiglia nucleare", di modo che il rapporto tra nonni e nipoti, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, non può essere ancorato alla convivenza, ma alla prova dell'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.

Il caso

A seguito a sinistro stradale, in occasione del quale il danneggiato perdeva la vita, la suocera della vittima proponeva domanda al fine di ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali, allegando il rapporto di convivenza esistente.

La domanda era rigettata dai giudici di merito.

Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità confermano la pronuncia di appello, osservando che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, è insufficiente il mero dato della convivenza nei casi in cui si tratti di relazioni coltivate al di fuori della ristretta cerchia della c.d. ‘famiglia nucleare', potendo detta convivenza giustificare il riconoscimento di rapporti di costante e reciproco affetto e solidarietà familiare unicamente in rapporto con altri elementi rappresentativi idonei a qualificarne affettivamente il significato.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale è sufficiente il mero dato della convivenza nei casi in cui si tratti di relazioni coltivate al di fuori della ristretta cerchia della c.d. famiglia nucleare?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si occupa del risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale e soggetti estranei rispetto alla c.d. ‘famiglia nucleare.

Costituisce ormai principio consolidato (Cass. n. 21230/2016; Cass. n. 29332/2017) quello secondo cui "in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "da uccisione", proposta iure proprio dai congiunti dell'ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l'azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la "società naturale", cui fa riferimento l'art. 29 Cost., all'ambito ristretto della sola cd. "famiglia nucleare", il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.

Deve dunque ritenersi che anche il legame parentale fra nonno e nipote consenta di presumere che il secondo subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del primo (per la perdita della relazione con una figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e di solidarietà familiare) e ciò anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva, ovviamente, la necessità di considerare l'effettività e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno".

Pertanto l'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, si concreta nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli art. 2,29 e 30 cost. Esso si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., in raccordo con le suindicate norme della Costituzione (Cass. n. 12124/2003).

Osservato che il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti. (Cass. n. 10107/2011).

E' poi vero che il danno subito in conseguenza della uccisione del prossimo congiunto si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c. e, quale tipico danno-conseguenza, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; è stato, però, opportunamente precisato che a tal fine è possibile ricorrere a valutazioni prognostiche e presunzioni sulla base degli elementi obiettivi forniti dal danneggiato, quali l'intensità del vincolo familiare, la situazione di convivenza, la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti, nonché la compromissione delle esigenze di questi ultimi (Cass. pen. n. 21505/2009).

Osservazioni

In caso di perdita definitiva del rapporto e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata ed intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo massime di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare (Cass. n. 9231/2013).

Sin da quando ha iniziato a liquidare il danno da lesione del rapporto parentale, la giurisprudenza ha dovuto anche preoccuparsi di circoscrivere ragionevolmente l'ambito dei c.d. “danneggiati secondari” risarcibili.

Se non ci sono mai stati grandi problemi a comprendere nel novero - anche sulla scorta di presunzioni - il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle, maggiori problematiche si sono manifestate al di fuori di tale “nucleo familiare ristretto”.

La Cassazione affermava che la risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto, causata da atto illecito penale, non potesse essere estesa, nelle intenzioni del legislatore, a ogni parente che avesse sofferto per la perdita, ma solo a quelli stretti che potessero allegare “la perdita di un effettivo valido sostegno morale”; e tale presupposto si poteva ritenere sussistente, ad esempio, in caso di convivenza (Cass. n. 6938/1993).

Si è precisato che il danno in discorso, incidendo esclusivamente sulla psicologia, sugli affetti e sul legame parentale esistente tra la vittima dell'atto illecito e i superstiti, non è riconoscibile se non attraverso elementi indiziari e presuntivi, che, opportunamente valutati con il ricorso ad un criterio di normalità, possano determinare il convincimento del giudice (Cass. n. 15019/2015).

Per contro, sarebbe illogica, perché contraria a principi di ordinaria razionalità, la pretesa di "una prova in senso tecnico" a dimostrazione del dolore dei superstiti, che, essendo sostanzialmente un sentimento e, comunque, un danno di portata spirituale, può essere rilevato soltanto in maniera indiretta.

Perciò, l'assenza di coabitazione non può essere considerata elemento decisivo di valutazione, ben potendo essere imputabile a circostanze di vita che non escludono il permanere dei vincoli affettivi e la vicinanza psicologica con il congiunto deceduto.

La questione è stata oggetto di numerose fughe all'indietro”, gacché Cass. n. 4253/2012 ha affermato che, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori del nucleo familiare ristretto (come nel caso di nonni, nipoti, genero e nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico.

Successivamente si è precisato che la "società naturale" della famiglia cui fa riferimento l'art. 29 della Costituzione non possa essere limitata all'ambito ristretto della sola cd. "famiglia nucleare", incentrata su coniuge, genitori e figli; e come, in tale contesto, la convivenza non possa essere condicio sine qua non per dar luogo a un rapporto parentale caratterizzato da reciproci vincoli affettivi, pratica della solidarietà, sostegno economico, la cui perdita sia risarcibile (Cass. n. 21230/2016).

Tale soluzione poggia sulla constatazione che esistono convivenze non fondate su vincoli affettivi (magari perché determinate da necessità economiche, egoismi o altro) e “non-convivenze” determinate da esigenze di studio o di lavoro in sedi lontane - o comunque non necessitate da bisogni assistenziali e di cura - ma che non implicano, di per sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà: rapporti e relazioni la cui perdita, dunque, non può essere esclusa dall'area della risarcibilità.

Da ultimo, la Cassazione relega il fatto della convivenza alla funzione di elemento probatorio utile, insieme ad altri, per dimostrare sia l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti (e, con esse, la risarcibilità del danno), sia per determinare il quantum debeatur (Cass. n. 8218/2021, precisando che se la mancata convivenza non esclude a priori la risarcibilità della perdita della zia, il danneggiato deve pur sempre allegare e provare altrimenti tutti gli elementi costitutivi del danno e, quindi, l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare non-convivente defunto).

Pertanto, è insito nel fatto illecito costituito dall'uccisione del congiunto un danno non patrimoniale presunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, allorché esso colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all'intangibilità degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare.

Al contrario non è possibile recepire in via assoluta ed astratta anche il corollario di tale ragionamento, che subordina la rilevanza della lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora) alla sussistenza di una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno ai sensi dell'art. 2 Cost., potendo, caso per caso, emergere altri aspetti - diversi dalla convivenza - sintomatici dell'intimità, pregnanza, intensità della relazione parentale in senso bidirezionale (si pensi al rapporto fra nonni e nipoti non conviventi, caratterizzato però da frequenza giornaliera o settimanale e dallo svolgimento da parte dei nonni di attività, come l'accudimento, l'assistenza nella pratica sportiva o nell'esecuzione dei compiti scolastici, la saltuaria ospitalità anche in orario notturno presso il proprio domicilio).

In tali ipotesi, la possibilità di fare ricorso a presunzioni, fondate su massime di comune esperienza desunte dalla intensità del rapporto affettivo e dalla scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare (moglie, marito, genitori, figli), non impedisce al parente - che, pur estraneo alla famiglia nucleare della vittima, abbia instaurato con questa un legale affettivo e relazionale forte tale da risentire un rilevante pregiudizio dalla sua drastica recisione dovuta al fatto illecito del terzo - di fornire, per altro verso, la prova della relazione parentale e della sua lesione (Cass. n. 58/2000).

Riferimenti

E. Basso, Morte della zia in un incidente stradale: i nipoti vanno risarciti, anche se non conviventi, in IUS Famiglie (ius.giuffrefl.it), 10 agosto 2021.

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