Restituzione ante tempus dell’immobile locato da parte del conduttore e lucro cessante del locatore

22 Luglio 2025

Componendo il contrasto interpretativo sorto all'interno dei giudici di legittimità, le Sezioni Unite della Cassazione aderiscono all'orientamento maggioritario volto, da un lato, ad escludere che la restituzione dell'immobile locato prima della naturale scadenza del contratto valga, di per sé, a precludere il diritto del locatore a rivendicare, a titolo risarcitorio, il pagamento dei canoni destinati a scadere successivamente alla restituzione (fino alla prevista scadenza del contratto o all'eventuale nuova locazione dell'immobile) e, dall'altro, a negare che il danno risarcibile, in favore del locatore, debba ricomprendere, con carattere di automaticità, tutti i canoni non percepiti fino alla scadenza del contratto originariamente stabilita dalle parti o, in alternativa, al reperimento di un nuovo conduttore.

Massima

Il diritto del locatore a conseguire, ai sensi dell'art. 1223 c.c., il risarcimento del danno da mancato guadagno, a causa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, non viene meno, di per sé, in seguito alla restituzione del bene locato prima della naturale scadenza del contratto, ma richiede, normalmente, la dimostrazione, da parte dello stesso locatore, di essersi tempestivamente attivato, una volta ottenuta la disponibilità dell'immobile, per una nuova locazione a terzi, fermo l'apprezzamento del giudice delle circostanze del caso concreto anche in base al canone della buona fede e restando, in ogni caso, esclusa l'applicabilità dell'art. 1591 c.c.

Il caso

La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - originava da una domanda proposta dal locatore nei confronti del conduttore; quest'ultimo, infatti, si era reso moroso nel pagamento di taluni canoni di locazione, ed il locatore, pur avendo ottenuto la convalida dello sfratto per morosità ed attivato, nell'aprile del 2010, il corrispondente procedimento di rilascio, era riuscito ad ottenere la restituzione spontanea dell'immobile solo nel settembre 2010; in forza di tali premesse, l'attore aveva invocato la condanna del convenuto al risarcimento dei danni da lui subiti in conseguenza del comportamento contrattuale del conduttore, ivi compresi tutti i canoni di locazione non corrisposti fino alla data di naturale scadenza del contratto di locazione (prevista per il 2011) o, quantomeno, fino alla data dell'eventuale conclusione di una nuova locazione.

Il Tribunale adìto aveva parzialmente accolto la domanda attorea, condannando il conduttore al pagamento della somma di € 4.000,00, ridotta rispetto a quella rivendicata nell'atto introduttivo del giudizio.

La Corte d'Appello aveva confermato la decisione del giudice di primo grado, rilevando - per quel che qui maggiormente interessa - che la materiale riconsegna dell'immobile locato prima della naturale scadenza del contratto era valsa a escludere la sussistenza di alcun residuo pregiudizio a carico del locatore, segnatamente in relazione alla mancata percezione dei canoni fino alla scadenza del contratto, dovendo ritenersi che il patrimonio dello stesso locatore era stato adeguatamente reintegrato attraverso il ripristino del materiale godimento dell'immobile, non essendo emersa alcuna impossibilità di ristabilire il suddetto godimento, secondo le modalità precedentemente usufruite, per fatto imputabile al conduttore.

Il locatore, non soddisfatto dall'esito di entrambi i gradi di merito, proponeva ricorso per cassazione.

La causa veniva, poi, rimessa alle Sezioni Unite per risolvere il contrasto interpretativo sorto all'interno della terza sezione civile.

La questione

Si trattava di verificare se fosse riconoscibile, in favore del locatore, al quale il conduttore inadempiente aveva riconsegnato l'immobile prima della naturale scadenza del contratto, il diritto al risarcimento del danno consistente nella mancata percezione dei canoni di locazione eventualmente dovuti per il periodo successivo alla suddetta riconsegna fino alla naturale scadenza del contratto, o all'eventuale precedente data di conclusione di una nuova locazione.

In buona sostanza, la Corte territoriale aveva negato il risarcimento dei danni relativi al conseguimento dei canoni di locazione fino alla naturale cessazione del contratto, sulla base di un orientamento della giurisprudenza di legittimità fondato sul presupposto secondo cui il corrispettivo della locazione si risolverebbe nella prestazione, da parte del conduttore, di un compenso per il sacrificio, da parte del locatore, della propria facoltà di godimento dell'immobile, laddove, al contrario, la dimensione causale del contratto di locazione imporrebbe di qualificare la cessione del godimento dell'immobile dietro il pagamento del corrispettivo alla stregua di un'operazione economica di scambio tra utilità di diversa natura (d'indole per lo più speculativa), sì che la mera riconsegna dell'immobile prima della naturale conclusione del contratto non varrebbe mai a reintegrare il patrimonio del locatore della mancata realizzazione del credito relativo a tutti i canoni convenuti.

Sul punto, nella giurisprudenza della terza sezione civile convivevano due orientamenti.

Secondo un primo orientamento - più risalente e tendenzialmente prevalente - il locatore, che abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l'anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore, ed il cui ammontare è riservato alla valutazione del giudice di merito sulla base di tutte le circostanze del caso concreto.

Secondo un secondo orientamento - recepito, invece, dalla sentenza impugnata - nell'ipotesi di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenuto il rilascio del bene locato, la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale o legale del rapporto, oppure fino al momento in cui il locatore stesso conceda ad altri il godimento del bene con una nuova locazione, non configura, di per sé, un danno da “perdita subita”, né un danno da “mancato guadagno”, non ravvisandosi, in tale mancata percezione, una diminuzione del patrimonio del creditore-locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento, mentre un danno correlato alla mancata percezione del canone dopo il rilascio potrebbe configurarsi qualora, per le concrete condizioni in cui si trova l'immobile, la restituzione del bene non abbia consentito al locatore di poter esercitare, né in via diretta né in via indiretta, il godimento di cui si era privato concedendo il bene in locazione, commisurandosi in tal caso la perdita al tempo occorrente per il relativo ripristino quale conseguenza dell'inesatto adempimento dell'obbligazione di rilascio nei sensi dell'art. 1590 c.c.

Il punto di divergenza fra i due orientamenti risiede nelle conseguenze che vengono ricollegate alla valutazione in termini di godimento indiretto della locazione: seguendo il secondo indirizzo, non c'è pregiudizio, con riferimento ai canoni che, dopo il rilascio, sarebbero stati esigibili fino alla scadenza del contratto, se il godimento torna al proprietario locatore in seguito al rilascio all'esito della risoluzione per inadempimento, posto che il canone è il corrispettivo per la privazione del godimento, mentre, invece, ad avviso del primo indirizzo, il rilascio dell'immobile non neutralizza il danno del mancato conseguimento del canone fino alla scadenza del rapporto contrattuale.

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite hanno dato continuità giuridica all'orientamento assolutamente prevalente (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2020, n. 8492; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2015, n. 2865; Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10677), non condividendo quello decisamente minoritario (Cass. civ., sez. VI/III, 10 dicembre 2013, n. 27614).

Secondo quest'ultimo, infatti, la causa del contratto di locazione si sostanzierebbe nella relazione funzionale asseritamente esistente tra la “rinuncia”, da parte del locatore, al godimento diretto del proprio immobile ed il “compenso” costituito dal pagamento del canone da parte del conduttore.

In proposito, si sostiene che la concessione in godimento di un bene iure locationis si risolve ex latere del locatore in una particolare forma di esercizio del godimento del bene nelle sue utilità, cioè nel conferimento al conduttore della facoltà di esercitare in via diretta su di esso il godimento materiale che, altrimenti, sarebbe esercitabile dal locatore.

A fronte di tale conferimento e, quindi, con diretta giustificazione in ragione di esso, il conduttore versa al locatore il corrispettivo (il canone), che viene a rappresentare, in tal modo, una modalità di fruizione indiretta dell'utilità sottesa al godimento del bene sostitutiva del possibile godimento diretto, che il locatore, se conservasse la detenzione del bene potrebbe esercitare con l'estrinsecazione della facoltà di godimento materiale su di esso, utilizzandolo per una qualche destinazione conforme alla sua natura o alle sua funzionalità, ma che “potrebbe anche esercitare anche estrinsecandola in negativo, cioè attraverso la mera conservazione della detenzione del bene, cioè il compimento di attività di godimento materiale di esso, come, ad esempio, tenendolo intercluso ed inaccessibile, nonché incolto, trattandosi di terreno, o, trattandosi di edificio, inutilizzato” (così Cass. n. 27614/2013, cit.)

Sul punto, il supremo organo di nomofilachia ritiene, invece, che l'affermazione secondo cui la dimensione causale del contratto di locazione riposerebbe sulla preliminare “rinuncia al godimento diretto” da parte del locatore esprima una prospettiva del tutto marginale della realtà contrattuale della locazione: invero, non appare necessariamente configurabile, in capo a tutti coloro che intendono trasmettere a terzi il godimento di un immobile di cui hanno la disponibilità, un qualche apprezzabile interesse per il godimento diretto del proprio immobile, né necessariamente una volontà di tale forma di godimento; si pensi, al riguardo, ai casi di collocazione sul mercato di immobili precedentemente acquistati dal locatore a soli fini di investimento del risparmio (da cui trarre occasione di possibili rendite), o ai casi di locatori (come una società commerciale) orientati a realizzare profitti attraverso l'acquisto sistematico di immobili da destinare con immediatezza al godimento di terzi dietro compenso.

In relazione a tale punto - e, dunque, sul piano dell'identificazione della causa del contratto di locazione – conviene, piuttosto, tenere ferma e valorizzare la più limitata dimensione dello scambio (in sé considerato) tra l'utilità economico-sociale rappresentata dal godimento di un bene immobile e l'importo monetario del canone: uno scambio in cui la prestazione patrimoniale del conduttore non risulta affatto volta a “compensare” il sacrificio del godimento diretto del bene da parte del locatore, bensì a “corrispondere” alle utilità offerte del locatore secondo i termini di una specifica dinamica funzionale di carattere economico-sociale.

In forza di tale specifica dinamica funzionale - ad avviso delle Sezioni Unite - la prefigurazione negoziale dell'esecuzione delle reciproche prestazioni delle parti è destinata a prospettare la realizzazione di un nuovo, originale e più avanzato, assetto economico-giuridico delle sfere di entrambi i contraenti: un assetto destinato a stabilizzarsi definitivamente attraverso il puntuale compimento del “programma contrattuale”, alla cui puntuale attuazione entrambe le parti risultano vincolate.

Con la realizzazione di tale nuovo assetto, da un lato, il locatore avrà soddisfatto il suo specifico interesse alla “trasformazione”, in una definitiva disponibilità monetaria, della temporanea utilizzabilità del bene e, dall'altro, il conduttore avrà soddisfatto il suo particolare interesse a “trasformare” la sua originaria disponibilità monetaria nel temporaneo godimento delle specifiche utilità offerte dal bene altrui.

Muovendo da tali elementari premesse, appare di immediata comprensione - secondo il supremo organo di nomofilachia - che “la restituzione dell'immobile prima della conclusione del contratto da parte del conduttore inadempiente non potrà mai valere a determinare, di per sé, l'integrale ricostituzione della condizione economico-giuridica del locatore configuratasi a seguito della conclusione del contratto di locazione”.

Su questo aspetto - secondo l'orientamento interpretativo non condiviso - il rilascio dell'immobile locato a seguito di risoluzione per inadempimento del conduttore non sarebbe tale da integrare un danno da perdita (danno emergente), un danno da mancato guadagno (lucro cessante) derivanti dall'inadempimento; infatti, una volta rilasciato l'immobile in conseguenza della risoluzione, viene ripristinata la posizione del locatore in ordine al godimento del bene nei termini in cui essa si poteva estrinsecare prima della scelta dell'esercizio del godimento nella suddetta forma indiretta: il locatore viene posto, cioè, nella condizione di esercitare il godimento sul bene in via materiale oppure con atteggiamento di mera inerzia oppure nuovamente in forma indiretta, cioè conferendolo in godimento ad un terzo, a titolo oneroso (iure locationis) o, eventualmente, gratuito (iure commodati).

In altri termini, poiché il canone locativo lo compensava della privazione della facoltà di godimento diretto, in via di utilizzazione positiva del bene o per mera detenzione, nonché di quella indiretta mediante conferimento ad altro terzo per uno di quei titoli, la mancata percezione del canone, tanto fino alla scadenza quanto fino alla rilocazione, non può essere considerata di per sé una “perdita”, e ciò per il suo carattere corrispettivo rispetto alla privazione del godimento; la mancata percezione potrebbe automaticamente essere considerata una “perdita” per il locatore solo se il canone come utilitas non fosse stato conseguibile come compenso per la privazione della facoltà di godimento in altro modo; “cessata quella privazione e ripristinato il godimento la mancata percezione del canone non può essere considerata perdita” (così sempre Cass. n. 27614/2013, cit.).

Tuttavia, una simile ricostruzione del fenomeno contrattuale - rivisto dalla prospettiva della patologia funzionale dell'inadempimento - non viene condivisa dal supremo consesso decidente, poiché, nella misura in cui trascura la mancata realizzazione del programma negoziale originariamente convenuto tra le parti in conseguenza dell'inadempimento, si risolve nella totale neutralizzazione della rilevanza giuridica di quest'ultimo: la restituzione anticipata dell'immobile da parte del conduttore inadempiente, infatti, non potrà mai costituire il ripristino di un preesistente equilibrio delle sfere giuridico-patrimoniali delle parti - se non quello prenegoziale, ormai superato dalla conclusione del contratto - quanto piuttosto l'attestazione del fallimento (per responsabilità del conduttore) del programma contrattuale alla cui realizzazione le parti si erano positivamente vincolate e, conseguentemente, della sopravvenuta impossibilità (sempre per fatto del conduttore) di pervenire alla realizzazione del piano degli effetti economici e giuridici che i contraenti avevano originariamente prefigurato.

Si sottolinea, in proposito, che, mediante la conclusione di un contratto, le parti non si propongano affatto di ricomporre, come conseguenza della realizzazione della causa contrattuale, il medesimo equilibrio economico originario astrattamente considerato - sia pure in una diversa composizione materiale (una somma di danaro al posto di un periodo di godimento dell'immobile, e viceversa) - ma di raggiungere un diverso e più avanzato assetto economico-giuridico della propria sfera patrimoniale, rivisto attraverso il prisma delle proprie prospettive di interesse.

In breve, così come il significato del rapporto obbligatorio non si esaurisce nell'astratto apprezzamento economico dell'esecuzione della prestazione del debitore - estendendosi bensì alla decisiva considerazione dell'interesse (anche non patrimoniale, ex art. 1174 c.c.) del creditore e alla sua soddisfazione (destinata a rivestire un ruolo, sotto molti profili, determinante e decisivo nella disciplina delle diverse fasi del rapporto) - allo stesso modo, il complessivo assetto di interessi composto nel programma contrattuale è destinato a rivestire una considerazione decisiva nella ricostruzione della disciplina del contratto, tanto nella sua fase interpretativa, quanto in quella esecutiva, quanto infine in quella (del tutto eventuale) che riguarda l'eventuale governo degli effetti dell'inadempimento.

La frustrazione che il locatore è costretto a subire per effetto dell'inadempimento del conduttore, in relazione al compimento del programma contrattuale originariamente convenuto (e, dunque, in relazione al forzato sacrificio degli interessi negoziati), non potrà in tal senso mai essere reintegrata, sul piano risarcitorio, dalla ricollocazione dello stesso locatore nella medesima condizione economico-patrimoniale precedente la conclusione del contratto.

Osservazioni

La conferma dell'erroneità della prospettiva interpretativa che le Sezioni Unite criticano appare, peraltro, desumibile anche attraverso l'analisi delle conseguenze dell'inadempimento così come regolate dal legislatore (ossia del danno giuridicamente rilevante).

Infatti, la tesi secondo cui viene rimossa, per effetto dall'anticipata restituzione dell'immobile da parte del conduttore inadempiente, la dannosità del fallimento del programma contrattuale in conseguenza dell'inadempimento del conduttore, si traduce, inevitabilmente, nella definitiva cancellazione dell'interesse positivo quale componente costitutiva del danno contrattuale regolato dall'art. 1223 c.c. - ai sensi del quale “il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta” - finendo con il determinare la sostanziale assimilazione del danno da inadempimento al danno precontrattuale, per tradizione identificato nella limitata considerazione del solo interesse negativo.

Sul punto, i giudici di legittimità avevano già rilevato che, nei contratti a prestazioni corrispettive, alla risoluzione per inadempimento, si accompagna sempre il diritto, per il contraente fedele, al risarcimento del danno, non limitato all'interesse negativo (id quod interest contractum non fuisse), bensì esteso all'interesse positivo (quantum lucrari potuit), atteso, per un verso, che l'azione di risoluzione è alternativa all'azione di adempimento (per sua natura finalizzata al conseguimento dell'interesse positivo), e considerato, per altro verso, che, diversamente opinando, la responsabilità (contrattuale) per inadempimento coinciderebbe quoad effectum con la responsabilità precontrattuale, venendosi a trattare in modo uguale situazioni diverse (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 2023, n. 36497; Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2021, n. 28022).

E ciò ad ulteriore coerente conferma, sotto altro profilo, della neutralizzazione, mediante un'incongrua lettura del fenomeno contrattuale, della responsabilità per inadempimento.

Dunque, le considerazioni fin qui esposte confermano la correttezza delle riflessioni della giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il locatore, il quale abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l'anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore; in tal caso, l'ammontare del danno risarcibile costituirà valutazione del giudice di merito, che terrà conto di tutte le circostanze del caso concreto, prime fra tutte l'utile che il locatore avrà ricavato (o che avrebbe potuto comunque ricavare con l'uso della normale diligenza) dall'immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto.

Il tema posto dalle conseguenze dell'inadempimento del conduttore richiede, pertanto, di essere affrontato e trattato alla stregua di un'ordinaria questione di determinazione (e liquidazione) del danno contrattuale risarcibile: una simile operazione, in quanto dedicata alla ricostruzione di circostanze di fatto necessariamente dominate dalla considerazione di occorrenze proprie al caso di specie, impone l'esclusione di ogni astrattezza teorica e, segnatamente, il rifiuto di ogni prospettabile automatismo in ipotesi volto a identificare, di necessità, il danno del locatore con l'insieme dei canoni non percepiti.

Tale ultima precisazione appare opportuna, dovendo, da un lato, ammonirsi sulla necessità di non confondere l'azione risarcitoria con l'azione di adempimento - solo grazie alla quale il locatore può esigere il mancato pagamento dei canoni convenuti fino alla scadenza del rapporto - e, dall'altro, rammentarsi che l'operazione di liquidazione del danno si fondi necessariamente sulla preliminare distinzione fra danno-evento - qui coincidente con l'inadempimento ed identificato dalla mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino alla scadenza del contratto o al reperimento di un nuovo conduttore - e danno-conseguenza disciplinato dall'art. 1223 c.c., ai sensi del quale il “mancato guadagno” del locatore, in tanto potrà ritenersi risarcibile, in quanto appaia configurabile alla stregua di una “conseguenza immediata e diretta” dell'inadempimento.

Tale nesso di “causalità giuridica” tra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli - alias il carattere di derivazione immediata e diretta di queste ultime dal primo - costituisce materia di un onere probatorio (necessariamente) incombente sul locatore ai sensi dell'art. 2697 c.c.; e tanto, a prescindere da quanto il conduttore potrà eventualmente opporre ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c.

Da questa prospettiva, la circostanza dell'avvenuta restituzione anticipata dell'immobile da parte del conduttore inadempiente a seguito della risoluzione del contratto se, da un lato, non esclude, di principio, la risarcibilità delle possibili conseguenze dannose correlate alla mancata percezione dei canoni dovuti fino alla naturale scadenza del contratto (o alla conclusione di un'eventuale nuova locazione), dall'altro, offrirà al giudice del merito elementi utili - sul piano del ragionamento probatorio di indole critica - ai fini della più corretta ricostruzione in fatto delle conseguenze dannose effettivamente ricollegabili all'inadempimento, normalmente identificabili con la perdita dei canoni previsti fino alla naturale scadenza del contratto.

È in questo quadro che si colloca la giustificazione dell'attribuzione di un carattere ragionevolmente dirimente alla dimostrazione, da parte del locatore, di essersi convenientemente attivato, non appena ottenuta la riconsegna del proprio immobile, al fine di rendere conoscibile con i mezzi ordinari la disponibilità dell'immobile per una nuova locazione, laddove, invece, un atteggiamento di persistente ingiustificata inerzia del locatore nel riattivare le possibilità di recupero della redditività del proprio bene a seguito della sua riacquistata disponibilità - in tesi, confidando sul diritto a conseguire, a titolo risarcitorio, tutti i canoni convenuti fino alla naturale scadenza del contratto - legittima, secondo l'id quod plerumque accidit, la prospettazione dell'eventuale riconducibilità della cessata redditività del bene alla responsabilità dello stesso locatore.

Responsabilità, quest'ultima, assumibile anche ex fide bona, in coerenza ad un criterio valutativo generale del comportamento delle parti contraenti riferibile, oltre che alla relazione prenegoziale (ex art. 1337 c.c.), all'interpretazione del contratto (ex art. 1366 c.c.) ed alla sua esecuzione (ex art. 1375 c.c.), anche alla fase che segue la formale risoluzione degli effetti del negozio (argomentando, altresì, dall'art. 1175 c.c., nella prospettiva della determinazione del credito risarcitorio, là dove impone al creditore di “comportarsi secondo le regole della correttezza”).

In quest'ordine di concetti, grava sul locatore l'onere di provare che, nonostante la restituzione dell'immobile prima della scadenza del contratto da parte del conduttore inadempiente, il danno costituito dalla mancata percezione del canone fino a detta scadenza, o fino alla stipulazione di una nuova locazione, si è ugualmente verificato.

Riferimenti

Bosetti, Risoluzione della locazione addebitabile al conduttore e risarcimento del danno, in Danno e resp., 2021, I, 100;

Maccari, Il locatore ha diritto al risarcimento del danno futuro da perdita dei canoni in caso di risoluzione anticipata per inadempimento?, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 675;

Amendolagine, Inadempimento e risoluzione anticipata della locazione: quando scatta il diritto al risarcimento del danno, in Corr. giur., 2015, 757;

Triola, Locazione, risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, danno da mancata percezione dei canoni successivi al rilascio, in Vita notar., 2014, I, 286;

Morozzo della Rocca, Risolto il contratto e riconsegnato l'immobile va risarcito il contraente che non riesce sùbito a rilocare a terzi?, in Corr. giur., 2014, 1345.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.