Particolare tenuità del fatto e reati tributari: i criteri per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

17 Luglio 2025

Nell'esaminare il ricorso proposto, la Corte di cassazione si sofferma sulla causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. ed in rapporto con delitti tributari.

In tal senso le condotte susseguenti al reato, non possono, di per sé sole, rendere di particolare tenuità un'offesa che tale non era al momento del fatto, ma che tuttavia possono essere valorizzate nell'ambito del giudizio complessivo sull'entità dell'offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all'art. 133, comma1, c.p., vi è anche l'integrale o anche parziale adempimento del debito tributario con l'Erario, anche attraverso un piano rateale concordato o l'adesione alla rottamazione delle cartelle esattoriali.

Massima

In presenza di una progressiva estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, ai sensi della lettera c) del comma 3-ter dell'art. 13 D.Lgs. 74/2000, il giudice deve valutare in termini di prevalenza l'entità del debito tributario residuo, quale differenza fra l'entità del debito tributario iniziale e quella dei pagamenti effettuati.

Il caso 

Il caso sottoposto alla Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 12 giugno 2025, n. 22076) origina dal ricorso presentato dal difensore dell'imputato contro la sentenza emessa dalla Corte d'appello che aveva confermato la pronuncia del Tribunale con la quale era stata riconosciuta la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, quale legale rappresentante di una società, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, si avvaleva di fatture per operazioni inesistenti emesse da una stessa ditta, portando in dichiarazione elementi passivi fittizi.

Il gravame si basava sul vizio di motivazione.

La questione

Al fine di un migliore inquadramento della tematica pare opportuno esaminare il delitto previsto dall'art. 2 D.Lgs. 74/2000.

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti punisce con la reclusione da quattro ad otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

La norma chiarisce, al secondo comma, che il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

La condotta consiste quindi nell'utilizzare fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

Soggetto attivo del reato può essere unicamente il contribuente, cioè il soggetto obbligato alla tenuta di scritture contabili ai fini del pagamento dell'IVA (oppure amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto ad imposizione, art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 74/2000), ma anche il soggetto tenuto soltanto all'obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale dei redditi.

In base all'art. 1, lett a), per fatture e i documenti per operazioni inesistenti rilevano tutti quei documenti aventi valore probatorio per l'Amministrazione tributaria emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

La consumazione si realizza al momento della presentazione della dichiarazione fraudolenta.

Sotto il profilo invece dell'elemento soggettivo il delitto è punito a titolo di dolo specifico, cioè è necessario che in capo all'agente risieda la consapevolezza e volontà di porre in essere la specifica condotta sanzionata, cioè di utilizzare le fatture per operazioni inesistenti per dichiarare il falso al fisco, quindi il fine specifico di evadere le imposte.

Il dolo di evasione deve sussistere al momento della consumazione del reato e, quindi, in quello di presentazione della dichiarazione, e non invece nel momento antecedente di annotazione in contabilità delle fatture per operazioni inesistenti, posto che la presentazione o trasmissione in via telematica della dichiarazione si traduce in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente, per porsi quale elemento strutturale della fattispecie, la cui realizzazione segna la consumazione del reato (A. MANCINI, Diritto penale tributario, Roma, 2021).

Su questo punto, è sorto un dibattito se vi sia spazio, in una fattispecie di reato a dolo specifico, per la figura del dolo eventuale.

La dottrina prevalente (G.L. SOANA, I reati tributari, Milano, 2018) è critica circa la possibilità di riconoscere la compatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico. Si ritiene, infatti, che le due forme di dolo sarebbero compatibili solo laddove l'accettazione del rischio riguardi elementi del fatto di reato diversi da quello concernente la finalità penalmente rilevante: accanto ad elementi che necessariamente devono essere coperti dal dolo specifico, possono infatti esservene altri relativamente ai quali è sufficiente il dolo generico, e quindi – e solo relativamente a quest'ultimi – anche il mero dolo eventuale. 

Il dolo specifico richiesto per integrare il delitto previsto dall'art. 2 D.Lgs. 74/2000 è, in via generale, compatibile con il dolo eventuale, riscontrabile nell'accettazione, da parte del soggetto attivo, dell'evento lesivo, e quindi anche del fine di evasione o di indebito rimborso, come conseguenza della sua condotta (D. COLOMBO, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: la Cassazione ribadisce la compatibilità con il dolo eventuale, in Giur. Pen., 2022, n. 11).

La soluzione giuridica

La disciplina dei reati tributari è stata recentemente modificata.

Nella disposizione, infatti, è stato inserito il comma 3-ter, in forza del quale, ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'articolo 131-bis c.p., il giudice valuta, in modo prevalente, uno o più dei seguenti indici:

a) l'entità dello scostamento dell'imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità;

b) salvo quanto previsto al comma 1, l'avvenuto adempimento integrale dell'obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l'amministrazione finanziaria;

c) l'entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione;

d) la situazione di crisi ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a), del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al D.Lgs.12 gennaio 2019, n. 14.

 

Anche tale disciplina, per la sua natura sostanziale e non esclusivamente processuale, deve essere ritenuta applicabile ai fatti commessi precedentemente alla sua entrata in vigore.

Dunque, in presenza di una progressiva estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, ai sensi della richiamata lettera c) del comma 3-ter dell'art. 13 D.Lgs. 74/2000, il giudice deve valutare in termini di prevalenza l'entità del debito tributario residuo, quale differenza fra l'entità del debito tributario iniziale e quella dei pagamenti effettuati.

Ne consegue che, qualora i pagamenti effettuati coprano una percentuale assai elevata del debito tributario, il comportamento dell'imputato successivo alla commissione del reato deve essere ritenuto - per espressa previsione legislativa - quale indice particolarmente pregnante della speciale tenuità del fatto.

Diversamente opinando, del resto, la modifica legislativa dell'art. 13 D.Lgs. 74/2000 verrebbe svuotata della sua portata innovativa, evidentemente, ispirata a dare prevalenza alla finalità recuperatoria della regolamentazione, anche penale, del settore tributario, a scapito della finalità punitiva. Tale scelta legislativa si pone, infatti, in linea con i principi che già ispirano il D.Lgs. 74/2000, nel senso di favorire il più possibile comportamenti collaborativi degli autori di illeciti diretti ad effettuare pagamenti, anche parziali, dei debiti tributari oggetto di imputazione penale.

È il caso dell'art. 12-bis, comma 2, che esclude, a certe condizioni, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca, se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti. E sono ispirati ad analoga ratio sia i commi 1, 2, 3 dell'art, 13, che disciplinano le cause di non punibilità, collegate a pagamenti, adesioni a procedure conciliative, ravvedimenti operosi, rateizzazioni, sia gli artt. 13-ter e 14, che configurano circostanze attenuanti anch'esse collegate a pagamenti e rateizzazioni.

La Corte ha quindi annullato la sentenza limitatamente al punto concernente l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p.-

Osservazioni

Il nuovo comma 3-ter dell'art. 13 D.Lgs. 74/2000 ha dettato degli elementi che il giudice deve valutare per l'applicabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p. ed, in particolare, l'entità del debito tributario residuo, quando sia in fase di estinzione mediante rateizzazione.

In tal senso, quindi, l'entità del debito tributario residuo, quale differenza fra l'entità del debito tributario iniziale e quella dei pagamenti effettuati deve essere tenuto in considerazione al fine della possibile applicazione della causa di non punibilità così come prevista dall'art. 131-bis c.p.-

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