Interpretazione clausole contrattuali: quali limiti al ricorso per cassazione?
15 Luglio 2025
Massima Al fine di far valere una violazione ermeneutica, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e ss. c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità. Il caso Con ricorso per decreto ingiuntivo depositato il 19 febbraio 2010, S.M. e A.V. esponevano di essere soci della T. s.a.s., insieme alla R.T., anche amministratrice della società. I ricorrenti e l'amministratrice erano fideiussori con vincolo di solidarietà in favore del Banco di Napoli e della Banca di Taranto-Banca di Credito Cooperativo. S.M. e A.V: deducevano di aver versato in favore dei due istituti di credito l'importo complessivo di Euro 61.836,77 lamentando che R.T., nonostante la qualità di socia accomandataria e di amministratrice, oltre che garante con vincolo di solidarietà, non avesse partecipato alle transazioni. Sulla base di tali premesse, vantando il diritto di regresso nei confronti della stessa, sia in qualità di fideiussore che in qualità di debitore principale, per la quota di propria spettanza, chiedevano di ingiungere alla stessa il pagamento dell'importo complessivo di Euro 20.612,26. Il Tribunale di Taranto ordinava il pagamento di questo importo con decreto ingiuntivo del 22 febbraio 2010. Contro tale decreto proponeva opposizione la R.T., in proprio e in qualità di amministratore e socio accomandatario della T. s.a.s. spiegando altresì domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno. Si costituivano gli opposti contestando la fondatezza della pretesa e si costituiva altresì il terzo chiamato M.M. Con sentenza dell'8 novembre 2019 il Tribunale di Taranto rilevava la legittimazione attiva della T. s.a.s. a proporre opposizione e domanda riconvenzionale perché dal tenore del ricorso per decreto ingiuntivo emergeva che l'ingiunzione era stata richiesta nei confronti della R.T. sia come co-fideiussore, sia come amministratore e socio accomandatario della società, surrogandosi i ricorrenti nei diritti che le due banche creditrici avevano nei confronti della società ex art. 1203 c.c. Il Tribunale rigettava l'azione di regresso ai sensi dell'art. 1954 c.c., trattandosi di garanzie fideiussorie autonome, mentre accoglieva l'azione surrogatoria nei diritti delle banche creditrici soddisfatte verso gli altri soci. Poiché la somma complessivamente erogata a tal fine dagli originari ricorrenti era pari ad Euro 43.000, provvedeva a ripartire il credito in tre parti uguali, revocava il decreto ingiuntivo, condannando R.T. al pagamento della somma di Euro 7166,66 in favore di ciascuno dei due opposti e rigettava la domanda riconvenzionale. Contro questa decisione proponeva appello R.T. con atto notificato il 17 luglio 2020, in proprio e quale amministratore della società, deducendo che S.M. aveva svolto il ruolo di amministratore di fatto della società ed era responsabile dei debiti sociali, per avere sottratto ingenti somme, con conseguente richiesta di condanna al risarcimento dei danni. Aggiungeva che i ricorrenti e il chiamato M.M. avevano svolto attività in concorrenza nei confronti della società e a tal fine chiedeva il risarcimento del danno. Si costituivano S.M., A.V. e M.M. chiedendo il rigetto dell'impugnazione e spiegando appello incidentale per ottenere la declaratoria di carenza di legittimazione della T. s.a.s. e per il riconoscimento dell'ulteriore prelievo, effettuato dal Banco di Napoli, di Euro 9280 da ciascuno dei conti correnti dei garanti, anche per la condanna dell'opponente al pagamento delle spese di lite di primo grado. La Corte d'Appello di Lecce, con sentenza del 7 aprile 2023, in accoglimento dell'appello incidentale, dichiarava il difetto di legittimazione attiva della T. s.a.s. a proporre opposizione e a spiegare domanda riconvenzionale; dichiarava inammissibile l'azione risarcitoria spiegata dalla R.T., confermava la condanna di quest'ultima ma in proprio al pagamento della somma indicata dal Tribunale e, per il resto, confermava la sentenza impugnata. Contro tale sentenza R.T. propone ricorso per cassazione, in proprio e nella qualità di amministratore della T. s.a.s., articolandolo in quattro motivi. La Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, dichiarando assorbito il terzo motivo e cassa l'impugnata sentenza rinviando, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Lecce, in diversa composizione. La questione Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. perché la Corte d'appello avrebbe violato le norme sulla interpretazione dei contratti, svalutando il criterio letterale con particolare riferimento al contenuto del ricorso per decreto ingiuntivo alla circostanza che “ i co-garanti.. hanno diritto di regresso contro il debitore principale ciascuno per la quota di propria spettanza”, mentre con il secondo motivo la ricorrente denunziava la nullità del procedimento ex art. 360 n. 4 c.p.c. e l'omesso esame di un fatto controverso decisivo e oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, n. 5, c.p.c. In particolare secondo l'erroneo presupposto della Corte d'appello le parti avrebbero proposto una domanda ex art. 1954 c.c. tra co-fideiussori mentre in primo grado era stata espressamente esclusa, ritenendo sussistente la diversa ipotesi di garanzie fideiussorie plurime, decisione che sotto questo profilo non era stata impugnata. Secondo la Corte di Cassazione entrambi i motivi – che sono strettamente connessi – sono fondati e vanno accolti nei termini di cui in motivazione. Le soluzioni giuridiche La Corte ricorda che è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il fatto che l'interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice del merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica e assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti ma l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice del merito si sia avvalso per assolvere alla funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (in questo senso ex multis Cass. civ. n. 7597/2006; Cass. civ. n. 7557/2011; Cass. civ. n. 2109/2012; Cass. civ. n. 15763/2016). Peraltro la giurisprudenza del Supremo Collegio ha più volte precisato che nell'interpretazione della domanda giudiziale il giudice può avvalersi, tenendo conto della peculiarità dell'atto e del contesto giuridico-processuale in cui esso è destinato ad incidere – degli stessi criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c. per i contratti ed applicabili ai negozi giuridici in genere (Cass. civ. n. 4205/1987; Cass. civ. n. 6367/1986; Cass. civ. n. 737/1983). Con la conseguenza che, per far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non soltanto far riferimento alle regole legali di interpretazione ex artt. 1362 e ss. c.c. mediante specifica indicazione delle norme che si ritengono violate e dei principi in esse contenuti, ma è anche tenuto a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali che si ritengono violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. civ. n. 17168/2012; Cass. civ. n. 5595/2014; Cass. civ. n. 3980/2015; Cass. civ. n. 14715/2016). Osservazioni Il principio di cui in massima è pacifico. La giurisprudenza riportata nella motivazione della sentenza è consolidata nel senso che in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli art. 1362 ss. c.c. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (così Cass. civ. n. 17168/2012, cit.; conf. Cass. civ. n. 13242/2010). Si è in senso analogo precisato che in tema di interpretazione dei contratti, è prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole, di cui all'art. 1362, primo comma, cod. civ., sicché, quando esso risulti sufficiente, l'operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa (Cass. civ. n. 5595/2014; conf. Cass. civ., sez. trib., n. 9786/2010). Consolidati anche gli altri principi esposti nella sentenza della Corte; in particolare la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l'interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, poiché il sindacato di legittimità può avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamente l'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. civ. n. 7597/2006). |