Il “tradimento” avvenuto durante la convivenza e scoperto dopo il matrimonio: violazione dell’obbligo coniugale?
Giovanni Iorio
10 Luglio 2025
Il periodo di convivenza di fatto prima del matrimonio, è risaputo, può essere piuttosto lungo: un tratto di vita in comune per nulla trascurabile. L’interprete è chiamato a riflettere, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità più recente, se si possa configurare la violazione dell’obbligo di fedeltà nella scoperta, dopo il matrimonio, di un tradimento avvenuto durante la pregressa convivenza.
La questione
È cosa risaputa che, attualmente, ci si sposa sempre meno. Il modello familiare più diffuso, oggi, è quello della convivenza di fatto. Talché accade spesso che, nei casi in cui due persone decidono di sposarsi, abbiano alle spalle una frequentazione piuttosto lunga (una famiglia di fatto, appunto). In questo quadro, può succedere che un coniuge, dopo le nozze, scopra il tradimento dell’altro verificatosi durante la convivenza: possiamo parlare di violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale (con tutte le conseguenze che ne derivano)? Le considerazioni di seguito svolte cercano di fornire una risposta al quesito proposto.
Le Sezioni Unite, del 2023, sull'importanza della convivenza di fatto ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio
Si cominci da una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte: «in caso di scioglimento dell'unione civile conclusa ai sensi dell'art. 1, comma 25, della l. n. 76/2016, la durata del rapporto – individuata dall'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970 (richiamato dal citato comma 25) quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all'assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli – si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell'unione» (Cass. sez. un. 27 dicembre 2023, n. 35969).
In pratica, la durata della convivenza (prima del matrimonio o dell'unione civile) rileva ai fini dell'accertamento circa l'an e il quantum dell'assegno divorzile. Per i giudici di legittimità, infatti, si deve muovere dal nuovo indirizzo, inaugurato nel 2018, che ha «abbandonato la rigida distinzione fra criteri attributivi e determinativi dell'assegno di divorzio, in favore di un'interpretazione dell'art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 ritenuta più coerente con i principi costituzionali di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione e autoresponsabilità: ribadito il carattere intrinsecamente relativo del parametro della inadeguatezza, i giudici hanno affermato che l'applicazione della norma richieda una valutazione fondata innanzitutto sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da collegare causalmente con gli altri indicatori previsti dalla prima parte dell'art 5, comma 6, al fine di accertare se l'eventuale squilibrio esistente all'atto dello scioglimento del vincolo dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare» (Cass. sez. un. 27 dicembre 2023, n. 35969. Il precedente del 2018, ormai celeberrimo, è quello di Cass. sez. un. 11 luglio 2018, n. 18287).
Nell'ambito di tale verifica, si prosegue, «è stato riconosciuto un ruolo di cruciale importanza alla durata del rapporto, quale fattore di valutazione del contributo fornito da ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e di quello dell'altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali sussistenti al momento della cessazione del vincolo» (Cass. sez. un. 27 dicembre 2023, n. 35969; nello stesso senso, v. anche Cass. 23 gennaio 2019 n. 1882).
La valorizzazione, in concreto, delle modalità di svolgimento della vita familiare comporta un «ridimensionamento» della rilevanza esclusiva attribuita alla durata legale del matrimonio, quale criterio di selezione delle vicende da prendere in considerazione ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno. Si apre la strada, in sostanza, a una più ampia valutazione dei rapporti intercorsi tra i coniugi, dovendosi tenere conto delle scelte compiute dagli stessi in funzione della realizzazione della «comunione spirituale e materiale» non solo in costanza di matrimonio, ma anche anteriormente all'instaurazione del vincolo coniugale (ove le decisioni prese appaiano idonee a incidere sulla concreta ripartizione dei ruoli all'interno della famiglia e a proiettare i loro effetti anche sulla situazione economico-patrimoniale di ciascuno dei coniugi in epoca successiva). Per la Suprema Corte, questo allargamento della prospettiva trova ulteriore giustificazione nella constatazione dei mutamenti intervenuti nella realtà sociale, caratterizzata ormai da un'ampia diffusione di forme più o meno stabili di «convivenza di fatto», quale esperienza di vita prodromica all'instaurazione del vincolo coniugale, e «dalla conseguente anticipazione delle predette scelte al periodo di tempo anteriore alla celebrazione del matrimonio, la quale viene pertanto e conferire, in un numero crescente di casi, un crisma formale a un'unione familiare già costituitasi e consolidatasi nei fatti, magari anche con la nascita di figli, la cui successiva dissoluzione non consente di trascurare, nella regolazione dei relativi effetti economici, le rinunce e i sacrifici compiuti dalle parti in vista del perseguimento di obiettivi comuni e l'apporto da ciascuna di esse fornito alla realizzazione delle aspirazioni individuali ed alla formazione e all'accrescimento del patrimonio dell'altra, nonché i benefici che quest'ultima ne ha tratto in termini sia personali che economico-professionali» (Cass. sez. un. 27 dicembre 2023, n. 35969).
D'altra parte, il processo di emersione della «convivenza di fatto», quale modello familiare non necessariamente alternativo all'unione fondata sul vincolo matrimoniale, ma a essa variamente collegato, ha trovato riconoscimento in un'altra pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione (Cass. sez. un. 5 novembre 2021, n. 32198). Quest'ultima, nell'esaminare gli effetti della costituzione di un nuovo nucleo familiare ai fini della persistenza dell'obbligo di corrispondere l'assegno divorzile, ha rilevato che l'instaurazione di una stabile convivenza comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il compagno o la compagna, «dai quali si ha diritto di pretendere, finché permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l'ordinamento solo quale adempimento di un'obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto (come attualmente previsto dall'art. 1, comma 37, della l. n. 76/2016), anche l'adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale».
La «solidarietà familiare» nella convivenza di fatto e nel matrimonio
Si torni, però, agli aspetti «personali» della «convivenza di fatto», che più da vicino interessano queste brevi riflessioni. Non vi è dubbio che pure la famiglia non fondata sul matrimonio è edificata sul principio di solidarietà, in gran parte riverso, oggi, nella legge n. 76/2016.
Basterà considerare, in particolare, la disposizione che individua i presupposti «costitutivi» della figura in considerazione: ai sensi dell'art. 1, comma 36, della l. n. 76/2016 sono «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio e da un'unione civile. Pertanto, ciò che dà vita alla «convivenza di fatto» sono esclusivamente i legami affettivi di coppia ed il legame fondato sulla reciproca assistenza morale e materiale (Cass. 13 aprile 2018, n. 9178; Trib. Como 12 aprile 2018).
La legge, poi, si occupa di estendere ai «conviventi di fatto» alcuni diritti previsti dalla legge per i coniugi (e, oggi, per i contraenti l'unione civile). I primi, ad esempio, hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge e all'unito civilmente nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario (art. 1, comma 38, l. n. 76/2016). In caso di malattia o di ricovero, i «conviventi di fatto» hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, privato e convenzionate, previste per i coniugi e i contraenti l'unione civile ed i familiari (art. 1, comma 39, l. n. 76/2016). Nel caso in cui l'appartenenza a un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i «conviventi di fatto» (art. 1, comma 45, l. n. 76/2016). Una disciplina alquanto innovativa viene dettata per la sorte della casa di comune residenza. In caso di morte del proprietario dell'abitazione di comune residenza, il «convivente di fatto» superstite ha diritto di continuare a vivere nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (art. 1, comma 42, l. n. 76/2016).
Meno innovative (costituendo in larga parte il consolidamento, nel diritto positivo, di un indirizzo giurisprudenziale affermatosi nel tempo) sono altre due disposizioni: quella secondo cui nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il «convivente di fatto» ha la facoltà di succedergli nel contratto (art. 1, comma 44, l. n. 76/2016); quella per la quale in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite (art. 1, comma 49, l. n. 76/2016).
Se si tiene presente questo aspetti, si dovrà riconoscere che due persone «conviventi di fatto», nel momento del matrimonio, trasformano il loro vincolo familiare già esistente: il principio di solidarietà già presente, come può dirsi, si evolve in una dimensione più rafforzata, propria del vincolo coniugale. Ebbene, si consideri che il momento in cui i coniugi assumono gli obblighi reciproci (e, fra questi, per quel che qui maggiormente interessa, quello di fedeltà) coincide con quello della celebrazione del matrimonio («Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri»: art. 143, comma 1, c.c.).
Sennonché, l'impegno di lealtà circa l'esclusività amorosa, per due nubendi che hanno già maturato una «convivenza di fatto», riguarda sia l'esperienza di vita avuta fino a quel momento sia quella che iniziano nella veste di novelli sposi. In pratica: (i) con la celebrazione del matrimonio i coniugi assumono l'obbligo di fedeltà che, secondo le più recenti declinazioni, va inteso (anche) come obbligo di lealtà; (ii) il coniuge che celi il precedente tradimento durante la «convivenza di fatto» si trova ad aver già violato l'obbligo di fedeltà. Si badi bene: in punto di diritto (e delle «tipiche» conseguenze – come l'addebito – che possono nascere dall'accertamento della violazione dell'obbligo matrimoniale) non si dovrà dire che, nella fattispecie in considerazione, il «convivente di fatto» ha tradito il partner; il fatto è che qui è stato violato un obbligo coniugale, giacché lo sposo o la sposa sono stati «sleali», avendo celato vicende (come quelle attinente all'esclusività affettiva) le quali non possono considerarsi estranee al matrimonio. Si aggiunga che, qualora l'infedeltà sia stata «ingiuriosa», il «convivente di fatto» potrà far valere pure una richiesta risarcitoria.
Quando invece non vi sia stata una precedente convivenza prima delle nozze, con quest'ultime si edifica per la prima volta una famiglia fra i coniugi. Per questa evenienza, l'obbligo di fedeltà assume il carattere di un impegno per il futuro, non potendo riguardare anche una pregressa dimensione familiare.
Conclusioni
Resta da dire che, nella fattispecie presa in considerazione (il tradimento durante la «convivenza di fatto», scoperto durante il matrimonio), la violazione dell'obbligo di fedeltà (sotto la specie dell'obbligo di lealtà) potrà condurre alla pronuncia di una sentenza di separazione con addebito ove si dimostri che il tradimento abbia efficacia causale rispetto rottura del matrimonio (Cass. 24 maggio 2022, n. 16822; Cass., 6 agosto 2020, n. 16735; Cass. 23 giugno 2020, n. 12241; Cass. 28 maggio 2019, n. 14591; Cass. 3 settembre 2018, n. 21576; Cass. 25 maggio 2016, n. 10823; Cass. 19 dicembre 2012, n. 23426; Cass. 28 maggio 2008, n. 14042).
La ricostruzione proposta, se si riflette, valorizza la «continuità» fra la convivenza di fatto e quella matrimoniale, di cui in precedenza si sono accennati i profili di contiguità «funzionale». Tiene conto, inoltre, del fatto che la «convivenza di fatto» è ormai il modello familiare maggiormente diffuso nel nostro Paese (mentre i dati statistici evidenziano un deciso arretramento della famiglia fondata sul matrimonio): pertanto, sarebbe un non senso logico – prima ancora che giuridico – ritenere che le vicende «personali» durante una «convivenza di fatto» (che si prolunga spesso per anni e non già per qualche mese) si «azzerino» completamente con il matrimonio (come se quest'ultimo chiamasse i coniugi a iniziare una nuova relazione senza tenere conto del vincolo già esistente). Il principio solidaristico, in conclusione, «anima» sia la famiglia matrimoniale (o fondata sull'unione civile) sia quella di fatto: per questa ragione, le vicende familiari di una coppia debbono essere considerate come un unicum, una «storia familiare» all'interno del quale si dipana una parte fondamentale della vita e dell'esperienza delle persone.
Vuoi leggere tutti i contenuti?
Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter continuare a
leggere questo e tanti altri articoli.
Sommario
Le Sezioni Unite, del 2023, sull'importanza della convivenza di fatto ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio
La «solidarietà familiare» nella convivenza di fatto e nel matrimonio