Trattenimento nei CPR: la decisione della Corte costituzionale
07 Luglio 2025
Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale torna a pronunciarsi sul trattenimento degli stranieri nei Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). Oggetto dello scrutinio è il testo dell'art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998 in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 5, paragrafo 1, CEDU, nelle parti in cui non disciplina puntualmente i «modi» e i procedimenti per la restrizione della libertà personale all'interno dei centri di permanenza per i rimpatri; non prevede i diritti e le forme di tutela dei trattenuti; non indica l'autorità giudiziaria competente al controllo dei «modi» di restrizione della libertà personale dei cittadini stranieri in stato di «detenzione amministrativa», all'interno dei CPR, e alla tutela giurisdizionale dei loro diritti; non disciplina il ruolo e i poteri di tale autorità giudiziaria; rinvia, pressoché integralmente, ad una fonte subordinata, quale l'art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394/1999. La Corte costituzionale ha ritenuto le questioni di legittimità inammissibili, pur riconoscendo che sussiste il vulnus lamentato dal rimettente con riferimento alla riserva assoluta di legge di cui all'art. 13, comma 2, Cost. In particolare, si richiama la sentenza n. 22/2022 – ove la stessa Corte ha avuto modo di esaminare una disciplina legislativa che consentiva la limitazione della libertà personale con l'applicazione della misura dell'assegnazione in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza. Nella richiamata sentenza è stato chiarito come l'applicazione di tale misura vada regolata secondo il principio di extrema ratio, o di minore sacrificio necessario, desumibile dall'art. 13 Cost. in relazione a tutte le misure privative della libertà personale, e secondo il principio di legalità ex art. 25, comma 3, Cost. Con la precisazione che quest'ultimo è da leggere alla luce dell'art. 13, comma 2, Cost., il quale tutela in via generale la libertà personale, limitata in ogni ipotesi di coercizione che abbia a oggetto il corpo della persona. Su tali premesse, la Corte è pervenuta alla conclusione che la legge deve prevedere, almeno nel loro nucleo essenziale, oltre che i «casi», altresì i «modi» con cui la misura di sicurezza può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto. Ha, quindi, accertato che l'attuale disciplina in materia di assegnazione alle REMS rivela evidenti profili di frizione con tali principi quanto ai «modi» di esecuzione della misura di sicurezza, e dunque della privazione di libertà che le è connaturata, fondandosi su fonti subordinate distinte dalla legge. La necessità che una fonte primaria disciplini organicamente una misura di sicurezza limitativa della libertà personale è stata ritenuta dalla Corte rispondente a ineludibili esigenze di tutela dei diritti fondamentali dei suoi destinatari. Così come la legge deve farsi carico della necessità di disciplinare, in modo chiaro e uniforme per l'intero territorio italiano, il ruolo e i poteri dell'autorità giudiziaria rispetto al trattamento degli internati nelle REMS e ai loro strumenti di tutela giurisdizionale nei confronti delle decisioni delle relative amministrazioni. Applicando i principi ora richiamati al caso in esame, la Corte ribadisce anzitutto che la misura del trattenimento degli stranieri presso il CPR, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 286/1998, comporta una situazione di assoggettamento fisico all'altrui potere che pertiene alla libertà personale. Alla luce dell'art. 13, comma 2, Cost., la fonte primaria deve perciò prevedere non solo i «casi», ma, almeno nel loro nucleo essenziale, i «modi» con cui il trattenimento può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto (sentenze n. 25/2023, n. 22/2022, n. 180/2018 e n. 238/1996). Tuttavia, la disposizione censurata garantisce allo straniero trattenuto unicamente adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, la necessaria informazione relativa al suo status, l'assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno. A ciò si aggiunge la possibilità di rivolgere reclami al Garante nazionale o ai garanti regionali o locali delle persone private della libertà personale. Si tratta, come risulta evidente, di una normativa del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo – che potrebbe anche essere non breve – in cui sono private della libertà personale. In attesa dell'intervento legislativo, la Corte ricorda che i trattenuti possono comunque ricorrere ai rimedi giurisdizionali ordinari (come il ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c.) per la tutela dei loro diritti, ma ribadisce che questa soluzione “di supplenza” non può sostituirsi a una disciplina legislativa chiara, generale e astratta. |