Due madri ed il progetto comune di P.M.A. all’estero: lo status di figlio
04 Giugno 2025
Premessa La delicata, attuale e rilevante questione dello stato giuridico dei figli nati da una coppia di due donne che abbia fatto ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita eterologa all'estero (laddove è consentito e, quindi, nel rispetto della lex loci) ovvero in Italia, pur in violazione del divieto previsto dagli artt. 4 e 5, l. 40/2004 (e, segnatamente, nella parte in cui prevedono che la coppia debba essere formata da persone «di sesso diverso, coniugate o conviventi») interseca, come noto, le più diverse ed ampie tematiche (A. Lestini, P.M.A. eterologa e superiore interesse del minore: quale status del figlio nato da due donne?, in Ius Famiglie, 2024). Il discorso, non potrebbe che prendere le mosse dal tradizionale orientamento secondo cui il riconoscimento di un minore, concepito mediante il ricorso a tecniche di P.M.A. di tipo eterologo, da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma «non avente alcune legame biologico con il minore», si pone in contrasto con l'art. 4, comma 3, l. n. 40/2004 e con l'esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (così, Cass., sez. I, 22 aprile 2020, n. 8029; Cass., sez. I, 7 marzo 2022, n. 7413; Cass., sez. I, 4 aprile 2022, n. 10844; Cass., sez. I, 13 luglio 2022, n. 22179; Cass., sez. I, 2 agosto 2023, n. 23527; Cass., sez. I, 8 agosto 2024, n. 511; Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448); indirizzo ermeneutico, questo, successivamente esteso all'ipotesi in cui un tale legame genetico poteva comunque dirsi sussistente perché alla donna, la c.d. madre intenzionale, «è appartenuto l'ovulo che, fecondato, è stato impiantato nell'utero della partoriente» (Cass., sez I, 25 febbraio 2022, n. 6383). Il panorama normativo Ciò che emerge, è tanto la riconosciuta possibilità che il vincolo, la relazione e la responsabilità genitoriale scaturiscano dalla volontà delle persone (e dal conseguente consenso prestato al ricorso alle tecniche di P.M.A.), quanto la necessità – sempre più sentita – che venga tutelato il primario interesse del minore e la relativa identità personale, che si esplica specialmente nel riconoscimento dello stato di figlio sia della madre biologica sia della madre intenzionale. In tale contesto, infatti, se, per un verso, da più parti si è (giustamente) rilavato come l'istituto dell'adozione in casi particolari non possa dirsi rispondente alle esigenze del minore, per altro verso ci si è pure soffermati sul differente profilo dell'aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omoaffettive, oltre che sul complesso fenomeno della sostituzione di alcune delle funzioni relative al concepimento, alla gestazione, al parto (c.d. maternità surrogata). È del tutto evidente, allora, come nell'ambito di un progetto di P.M.A. eterologa praticata da una coppia di donne (in quanto, come è ovvio, «per le coppie omosessuali maschili la genitorialità artificiale passa necessariamente attraverso la maternità surrogata»: Trib. Lucca, ord., 25 giugno 2024), il tema della attribuzione dello status di figlio anche della madre intenzionale che, insieme alla madre biologica, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, non appariva più procrastinabile (Corte Cost., 22 maggio 2025, n. 68), posto che il monito della Corte Costituzionale (la «Corte non può esimersi dall'affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore»: Corte Cost., 28 gennaio 2021, n. 32) è rimasto per troppo tempo disatteso dal legislatore. A prescindere, allora, dalle diverse modalità con cui poteva (e può) essere affrontato il problema – ed avendo il legislatore rinunciato «ad una prerogativa che ad esso compete» – era «inevitabile in forza dell'imperativo di osservare la Costituzione» un intervento del giudice delle leggi, volto ad individuare «una propria e autonoma soluzione» (Relazione per l'anno 2023 del Presidente della Corte Costituzionale). L'ordinamento italiano, infatti, in presenza di patologie che determinino una sterilità o una infertilità assolute e irreversibili, consente il ricorso alle tecniche di P.M.A., purché si tratti di «coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi» (art. 5, l. 40/2004), sanzionando nel contempo chi, tra l'altro, applica tali tecniche alle «coppie composte da soggetti dello stesso sesso» (art. 12, l. 40/2004, il quale, tuttavia, esclude la punibilità per i soggetti – uomo o donna – ai quali le predette tecniche sono applicate). Inoltre, prevede che i nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di P.M.A. abbiano «lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime» (art. 8, l. 40/2004) e che non possano essere esercitate le azioni di disconoscimento della paternità (o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità) ed il diritto della madre «di non essere nominata» (art. 9, l. 40/2004). Inquadrato, in tal modo e seppur brevemente, il panorama normativo in cui si inserisce la pronuncia della Corte Costituzionale, ben si comprende l'iter argomentativo che ha condotto a dichiarare «l'illegittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all'estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale». Delimitazione della problematica A tal fine, peraltro, prima di delimitare ulteriormente l'oggetto della questione di legittimità costituzionale, preme subito rilevare come la Corte abbia rimarcato, con forza, che rimane estraneo alla fattispecie in discorso sia il fenomeno della maternità surrogata sia «il diverso profilo delle condizioni, soggettive e oggettive, di accesso alla P.M.A. in Italia e dei correlati divieti, come attualmente previsti dall'ordinamento», in quanto «l'aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omosessuali», rientra nel «margine di discrezionalità» del legislatore, il quale può precludere l'accesso alle tecniche procreative (Corte Cost., 22 maggio 2025, n. 68): si ritiene, infatti, che appartiene primariamente alla valutazione del legislatore e realizza un bilanciamento non irragionevole la scelta di configurare le tecniche di P.M.A. come rimedio alla sterilità o infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile, dovendosi escludere che la P.M.A. possa rappresentare una modalità di realizzazione del «desiderio di genitorialità» alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati (Corte Cost., 23 ottobre 2019, n. 221). Ad ulteriore perimetrazione della questione, val bene rilevare come ciò di cui si discute riguarda esclusivamente il «profilo concernente lo stato di figlio nato in Italia da P.M.A. praticata, in uno Stato estero e nel rispetto della lex loci, da una donna con il consenso di un'altra donna nel contesto di un progetto genitoriale con assunzione della relativa responsabilità» (Corte Cost., 22 maggio 2025, n. 68), onde, verosimilmente, la diversità di soluzione prospettabile nei confronti del nato da P.M.A. praticata in Italia, pur in violazione del divieto previsto dagli artt. 4 e 5, l. 40/2004. La logica implicazione di tali premesse consente di valutare tanto se l'attuale disciplina, impedendo il diritto del bambino all'inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare e alla propria identità sociale, sia lesiva dell'art. 2 Cost., ovvero, all'opposto, se le limitazioni legislative al riconoscimento della figura del genitore d'intenzione possano dirsi pienamente rispondenti all'esigenza di contemperare il diritto alla genitorialità (ancorato al rapporto biologico) con la tutela del superiore interesse del minore; quanto se la presenza di una nuova (ed unica) categoria di nati non riconoscibili costituisca una irragionevole e, come tale, inammissibile forma di discriminazione (art. 3 Cost.), offendendo altresì il diritto di ogni bambino ad avere due persone (le quali, di conseguenza, assumerebbero il relativo diritto-dovere ai sensi dell'art. 30 Cost. e dell'art. 31 Cost.) che si assumono sin dalla nascita la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei confronti delle quali poter vantare diritti successori e poter agire in caso di inadempimento o di crisi della coppia. Nella medesima prospettiva, poi, pur sottolineandosi la non omogeneità di situazioni tra le coppie eterosessuali sterili o infertili e quelle omosessuali, fisiologicamente impossibilitate a procreare (anche se, taluno si è domandato se «l'accesso alla fecondazione assistita, ammessa soltanto per le coppie eterosessuali» possa perfino determinare «una profonda discriminazione sulla base del sesso»: M. Dogliotti, Ancora sui figli di coppie dello stesso sesso: l'autorevolezza della Cassazione, la forza della giurisprudenza di merito e la speranza... nella Corte costituzionale, in Fam. dir., n. 7/2024), l'attenzione è stata richiamata sul fatto che, da un lato, il mancato riconoscimento alle due donne di essere considerate «genitori del nato da fecondazione eterologa praticata dall'una con il consenso dell'altra» costituirebbe un ostacolo al pieno sviluppo della loro personalità che spetta alla Repubblica rimuovere e che, dall'altro lato, ben potrebbe ravvisarsi una disparità di trattamento tra bambini concepiti da due donne con P.M.A., a seconda che siano nati all'estero o sul territorio italiano (Corte Cost., 22 maggio 2025, n. 68). Da quest'ultimo punto di vista, in particolare, a fronte della riconosciuta possibilità di trascrivere nei registri degli atti dello stato civile «l'atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato [all'estero] da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri» (Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599; cfr. altresì Cass., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878; Cass., sez. I, 23 agosto 2021, n. 23319; Cass., sez. I, 23 novembre 2023, n. 32527), si assiste a diversi approcci da parte degli Ufficiali di Stato Civile, fonte di ulteriori forme di discriminazione, nel caso in cui il minore sia nato in Italia; ed infatti, all'osservatore si presenta una significativa eterogeneità di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da P.M.A., oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell'atto. Si comprende, pertanto, la ragione per cui il rifiuto (fondato sulla Circolare DAIT n. 3 del 19 gennaio 2023) di procedere all'iscrizione anagrafica riportante l'indicazione anche della madre intenzionale ha sovente comportato l'impugnazione del diniego da parte di quest'ultima, mentre l'avvenuta iscrizione ha non di rado determinato l'impugnazione dell'atto da parte del pubblico ministero, a cui, tuttavia, solo raramente sono seguite pronunce (Trib. Padova, 5 marzo 2024; App. Brescia, 30 novembre 2023; Trib. Brescia, 16 febbraio 2023; Trib. Taranto, sez. I, 31 maggio 2022; App. Cagliari, 28 aprile 2021) che hanno riconosciuto al nato nell'ambito di un progetto di P.M.A. eterologa praticata da due donne lo status di figlio di entrambe le madri (biologica ed intenzionale). La relazione genitore-figlio: tra assunzione volontaria di responsabilità e superiore interesse del minore La Corte Costituzionale, abbandonata, come anticipato, la consueta intransigenza della giurisprudenza maggioritaria, ha affrontato il tema valorizzando – nell'attuale contesto storico, caratterizzato dall'affermarsi delle tecniche di P.M.A. – la relazione, nascente da una assunzione volontaria di responsabilità, tra genitore e minore, nonché il superiore (o, primario o migliore) interesse di questi, anche alla luce del principio di unicità dello stato di figlio. La «volontà» delle due donne (come tali incapaci fisiologicamente di procreare), che intraprendono il comune percorso genitoriale si esprime, del resto, attraverso il «consenso» alle tecniche di P.M.A., il quale «porta alla nascita una persona che altrimenti non sarebbe nata» (Corte cost., 25 giugno 2020, n. 127) e «implica il diritto del nato a vedersi riconosciuto come figlio di chi quella nascita ha voluto» (Corte Cost., 22 maggio 2025, n. 68). In tal senso, si dice che la responsabilità genitoriale discende dal comune impegno volontariamente assunto e determina «l'obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 31); ad essa, fa da pendant un insieme di diritti in capo al figlio, quali il «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni», il «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315 bis c.c.) e «di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter c.c.). Ne deriva l'emersione di plurime esigenze costituzionali a garanzia del nato e del miglior interesse del minore, non solo in relazione agli artt. 30 e 31 Cost., ma anche «ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità» (Corte cost., 26 settembre 1998, n. 347); interesse che si esprime altresì nell'unicità dello stato di figlio («tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico»: art. 315 c.c.), nel senso che «tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all'interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione» (Corte cost., 22 maggio 2025, n. 68), con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 315-bis c.c. e art. 74 c.c.). In più occasione la giurisprudenza di merito ha del resto rammentato come «il legame genitoriale può originare da un procedimento adottivo», nel senso che «il genitore diventa tale in assenza di legame biologico con il minore e a seguito di procedura giurisdizionale che sostituisce al vincolo biologico una attribuzione giuridica della responsabilità genitoriale», onde «l'origine del progetto genitoriale non incide sullo stato giuridico dei figli che è sempre e comunque lo stesso» (Trib. min. Trento, 11 giugno 2024; Trib. min. Bologna, 25 giugno 2020; Trib. min. Bologna, 4 gennaio 2018; Trib. min. Bologna, sez. fam., 31 agosto 2017; Trib. min. Bologna, 6 luglio 2017). Ed ancora, si richiama l'attenzione sul fatto che (C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1. La famiglia, Milano, 2017,VI ed., pag. 407 ss.), se la riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva mantenuto il divieto di riconoscimento dei «figli incestuosi» (secondo la spregiativa rubrica dell'art. 251 c.c.) e solo un importante intervento della Corte Costituzionale (Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494) aveva consentito di rimuovere la preclusione dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità di cui all'art. 278 c.c., l'antica concezione per cui la riprovazione del rapporto instaurato tra i genitori dovesse riflettersi in una discriminazione giuridica a carico dei figli è stata sovvertita (o, comunque, fortemente attenuata) con la riforma della filiazione del 2012 che valorizza, a tal fine, proprio il superiore interesse del minore («avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio»: art. 251 c.c.). Allo stato attuale, pertanto, l'incesto, se dà pubblico scandalo, costituisce sì reato (art. 564 c.p.), ma ciononostante è prevista la possibilità di azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, nonché di riconoscimento da parte del genitore, previa autorizzazione del giudice: la nuova concezione, dunque, implica che «il riconoscimento dev'essere precluso, non in ragione di una condizione giuridica di irriconoscibilità del figlio, ma in ragione del pregiudizio che in concreto egli possa subire dal riconoscimento» (C.M. Bianca, La legge italiana conosce solo i figli, in Riv. dir. civ., 2013). Così impostato il discorso è del tutto evidente come «il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale … non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato», in quanto l'orientamento sessuale dei genitori «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali», né «incide di per sé sull'idoneità all'assunzione di responsabilità genitoriale» (Corte cost., 22 maggio 2025, n. 68). L'insufficienza dell'istituto dell'adozione in casi particolari Alla luce delle considerazioni svolte, appare chiaro che se il bambino nasce all'estero da tecniche di P.M.A. ivi praticate, l'atto di nascita o il provvedimento giudiziale straniero (poteva e) può essere trascritto, non ostandovi i criteri dell'ordine pubblico internazionale; e che, parimenti, nell'ipotesi in cui sia nato in Italia, evidentemente da tecniche di P.M.A. praticate all'estero – stante il divieto previsto dagli artt. 4 e 5, l. 40/2004 – può (oggi) procedersi all'iscrizione anagrafica negli atti di stato civile anche della madre intenzionale. Appare definitivamente superato, dunque, l'indirizzo per cui non può ritenersi che l'indicazione della doppia genitorialità sia necessaria a garantire al minore la migliore tutela possibile, atteso che, in tali casi, l'adozione in casi particolari (ex art. 44, lett. d, Legge 4 maggio 1983, n. 184) si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico (Cass., sez. I, 20 febbraio 2024, n. 4448; App. Milano, sez. fam., 23 gennaio 2024); orientamento che aveva aperto la strada perfino alla possibilità di indicare, sulla carta d'identità elettronica del minore ed in corrispondenza dei nomi delle due madri (naturale e adottiva), la dicitura «genitore» in luogo di quella «madre» e «padre», offrendo – si diceva – una adeguata e corretta rappresentazione della realtà giuridica familiare (Cass., sez. I, 8 aprile 2025, n. 9216; A. Lestini, I nomi della madre naturale ed adottiva sulla CIE del minore, in Ius Famiglie, 2025). Lo strumento dell'adozione in casi particolari, infatti, pur consentendo l'instaurazione di rapporti civili tra l'adottato ed i parenti dell'adottante (Corte cost., 28 marzo 2022, n. 79), e pur prevedendo che il dissenso del genitore biologico all'adozione da parte del genitore intenzionale debba essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore (come nel caso in cui l'adottante non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma poi si sia disinteressato del minore: Cass., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162; Cass., sez. I, 29 agosto 2023, n. 25436), ciononostante non consente di assicurare al minore stesso una tutela adeguata, in termini di effettività e celerità. Da tale angolo visuale, nell'adozione in casi particolari, l'acquisizione dello status di figlio – oltre a spiegare i propri effetti dal perfezionamento del giudizio di adozione e non certo dal momento della nascita – è fisiologicamente subordinata all'iniziativa dell'adottante (mentre non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore o a chi ne ha la rappresentanza legale né, tantomeno, in capo alla madre biologica, così come, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l'eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all'adozione), la cui volontà deve permanere fino alla conclusione del procedimento (peraltro caratterizzato da costi legati alla necessaria difesa tecnica, dai tempi richiesti dalla natura stessa dell'istruttoria e dall'alea propria di tutti i procedimenti). In definitiva il mancato riconoscimento, al nato in Italia, dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di P.M.A. praticate legittimamente all'estero, lede l'identità personale del nato e il diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori uno stato giuridico certo e stabile nonché tutti i diritti connessi alla responsabilità genitoriale. In conclusione Nel corso del tempo è mutato il concetto di famiglia: da «isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto» (C.A. Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario Giuridico dell'Università di Catania, III, 1949, pp. 38 ss.) ad «arcipelago» (F.D. Busnelli, La famiglia e l'arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 1/2002, pp. 509 ss.; S. Patti, La famiglia: dall'isola all'arcipelago?, in Riv. dir. civ., 3/2022, pp. 507 ss.), ove ciò che rileva è l'esistenza di «una struttura che possa garantire la cura dei piccoli» ed il fatto «che i suoi componenti siano uniti da un vincolo affettivo» (V. Barba, La famiglia nell'ordine giuridico: concetto e rilevanza, in Dir. fam. pers., 2/2024, pp. 746 ss.). Al riguardo, in dottrina si discorre di «nuove famiglie» (A. Albanese, Le nuove famiglie, Pisa, 2019) perché possono individuarsi una «pluralità di modelli familiari socialmente tipizzati e giuridicamente tutelati» (M. Sesta, Manuale di diritto di famiglia, Milano, 2023, p. 6), mentre la giurisprudenza – come dimostra la vicenda oggetto della importante pronuncia della Corte Costituzionale, che ha eliminato una ulteriore forma di discriminazione in materia familiare – «si evolve, matura, si consolida, ritorna su sé stessa, muta, riparte su diverse basi» (G. Amoroso, Il progetto CERTANET nel sistema Italgiure della Corte di Cassazione, Scritti dedicati a Maurizio Converso, a cura di D. Dalfino, Roma, 2016). Ogni giurista, da parte sua e con il proprio quotidiano lavoro individuale, poi, partecipa, più o meno consapevolmente alla formazione del clima culturale sui più diversi argomenti, condividendo interessi, aspirazioni e finanche pregiudizi. Per assicurare, quindi, la centralità dell'interesse del minore, occorrerebbe in definitiva domandarsi se la riprovazione dell'ordinamento nei confronti della P.M.A. praticata in Italia (e non già all'estero) da due donne, pur in violazione del divieto previsto dagli artt. 4 e 5, l. 40/2004, possa riflettersi negativamente nei confronti del nato, che da bambino e da adulto sarà costretto a soffrire dell'assenza di una adeguata (effettiva e celere) forma di tutela. |