La non sempre facile prova della parentela in linea collaterale

03 Giugno 2025

E' ammissibile l'azione di accertamento della parentela collaterale a fini successori se il soggetto che la avvia non è in possesso di riscontri ufficiali sul rapporto esistito tra il defunto e il proprio genitore?

Massima

Una azione di accertamento della parentela collaterale è ammissibile, ove ne sussista un interesse concreto e attuale, anche solo patrimoniale, ex art. 100 c.p.c., esclusivamente ove si fondi sul presupposto di uno status (nella specie, filiale) già definitivamente accertato o, almeno, ancora accertabile, con le azioni tipiche previste dall'ordinamento e con la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero, su tempestiva richiesta dei soli soggetti a tanto legittimati secondo il codice civile (nella specie, artt. 269 e 270 c.c.).

Il caso

I nonni della ricorrente contrassero (anno 1906) un matrimonio religioso. All'epoca la normativa vigente non prevedeva che esso producesse effetti nell'ordinamento civile né che di esso dovesse essere fatta trascrizione o iscrizione nei pubblici registri dello Stato. In ambito civilistico il matrimonio era pertanto indifferente. Dal matrimonio nacquero:

  • un figlio poi deceduto in Francia lasciando una successione dichiarata vacante;
  • e un altro figlio, genitore della ricorrente.

Costei intese far valere la propria qualità di nipote del deceduto (fratello del padre e dunque zio di lei) per rivendicarne l'eredità; una azione esercitata dinanzi al giudice francese dovette essere riassunta presso un Tribunale italiano, per questioni di giurisdizione. La causa aveva ad oggetto l'accertamento e la declaratoria, ai sensi degli artt. 74, 75 e 76 c. c., della parentela esistente tra l'attrice e il defunto, quale sua parente collaterale di terzo grado, come tale legittimata alla successione dello zio.

Le pronunce dei giudici di merito furono negative. Essi affermarono che:

  1. l'accertamento di una parentela fondata su un rapporto di fratellanza tra il defunto e il padre della ricorrente postulava necessariamente la prova che costoro avessero avuto il medesimo genitore e pertanto, ferma la relazione filiale del padre della ricorrente, occorreva risultasse in causa che anche il defunto discendeva dal medesimo stipite;
  2. per averne la prova, in proposito sarebbe occorso il preventivo esercizio di una azione di accertamento dello status del deceduto avente ad oggetto la sua situazione soggettiva di figlio di quel soggetto stipite;
  3. tale azione, da ritenere quale azione per riconoscimento di paternità, non avrebbe potuto essere esercitata dalla ricorrente in quanto consentita esclusivamente al figlio ed ai suoi eredi, non anche ai parenti in linea collaterale;
  4. in ogni caso, il termine biennale per l'esercizio dell'azione, anche se fosse stata ammissibile, era ormai ampiamente decorso;
  5. infine, irrilevanti e infondate erano le questioni di costituzionalità proposte sull'assunto di una disparità di trattamento rilevabile tra la situazione dei figli nati nel matrimonio, in quanto riconosciuti come figli in conseguenza del solo fatto storico della nascita e i figli nati fuori dal matrimonio, per i quali si rende necessario un atto di riconoscimento formale; e tra i figli, ammessi all'azione di riconoscimento di maternità e paternità, e i parenti collaterali, esclusi dalla legittimazione ad esercitare la stessa azione.   

La questione

La questione che costituiva l’oggetto principale del ricorso riguardava la possibilità per un soggetto dichiaratosi nipote del de cuius di far riconoscere questa relazione parentale onde farla valere a fini successori. In assenza di riscontri ufficiali in ordine al rapporto esistito tra il defunto e il padre dell’interessato, dai quali desumere il loro status di fratelli germani, come poteva essere dimostrato in causa che costoro erano fratelli e dunque che il deceduto era lo zio del pretendente all’eredità?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha recepito le argomentazioni con le quali i giudici di merito hanno disatteso la domanda e, nel rigettare il ricorso, ha aggiunto alle motivazioni delle loro pronunce alcune osservazioni integrative. Risultava dagli atti del processo in modo univoco che l'azione esercitata dalla ricorrente aveva avuto la finalità di far accertare che essa, in quanto figlia del fratello del deceduto, era nipote di questi e dunque parente collaterale di terzo grado ex fratre del de cuius, ammessa alla sua successione. L'accoglimento della domanda presupponeva che risultasse (o si potesse ancora dimostrare) lo status del deceduto quale figlio dello stesso genitore del padre della ricorrente, sì che dalla comune discendenza potesse ritenersi dimostrato il rapporto esistito tra essi in qualità di fratelli. Infatti, l'assenza di effetti civili del matrimonio tra i nonni impediva l'applicazione della presunzione di paternità sui figli nati in costanza del loro rapporto coniugale. E, in difetto di altre risultanze, la prova di una parentela in linea collaterale non può essere raggiunta se non risalendo ad un comune stipite: dunque, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la discendenza del de cuius e di suo padre da un medesimo soggetto.

In ogni caso (e da qui la motivazione è largamente ad abundantiam), anche ove contrariamente all'evidenza si fosse voluto riconoscere nella domanda proposta dalla ricorrente l'esercizio di una azione di status, questa avrebbe dovuto essere intrapresa nell'osservanza delle norme che regolano le azioni di filiazione e impongono che esse siano definite con sentenza suscettibile di giudicato. La ricorrente, secondo queste norme, non avrebbe avuto la legittimazione attiva che in proposito è riservata al figlio e, se questi è deceduto, ai suoi eredi. Inoltre, il termine di due anni dalla morte del figlio (lo zio della ricorrente) stabilito dall'art. 270 c.c. era ineludibilmente trascorso.

La Corte ha poi per palese scrupolo argomentativo affermato essere irrilevante l'una e infondata l'altra due questioni di incostituzionalità che la parte originariamente convenuta aveva sollevato nei giudizi di merito.

Osservazioni

La vicenda oggetto di giudizio ha per sfondo una situazione storica dalle caratteristiche ormai da tempo tramontate.

I nonni della ricorrente celebrarono il loro matrimonio con rito religioso, inidoneo a produrre effetti nell'ordinamento civile del tempo. Il codice civile italiano del 1865 era infatti impostato sulla netta separazione tra Stato e Chiesa, assetto che fu riveduto soltanto con il Concordato del 1929. L'improduttività di effetti nell'ordinamento civile impediva di attribuire in esso lo status di coniugi ai due sposi e lo status di figli alla prole che era nata dal rapporto; e questa situazione si è protratta sino ad oggi per quanto riguarda la posizione del defunto zio della ricorrente, il quale era stato, per verità, poi riconosciuto in prosieguo di tempo, ma unicamente dalla madre e senza annotazione del di lui atto di nascita nei registri dello stato civile. Invano è stata prodotta in causa l'abbondante documentazione riguardante il detto riconoscimento e la vita successiva, da bambino e da fanciullo, del deceduto: questa non poteva servire a dimostrare la sua discendenza paterna.

La ricorrente si è trovata di fronte ad ostacoli che in parte attualmente non esistono più. Il matrimonio religioso celebrato con il rito delle associazioni riconosciute produce effetti civili non appena registrato negli atti dello stato civile; questi effetti comprendono lo status filiale per i figli nati in costanza di matrimonio ove ricorrano le condizioni di cui agli artt. 231 e 232 c.c. Ne segue che, se chi assume di essere legittimato ad una successione ereditaria in forza di un rapporto di parentela e deve di questo rapporto offrire la prova, trova supporto nell'adempimento del suo onere nella documentazione ufficiale del matrimonio e delle procreazioni. Esse forniscono il punto fermo in base al quale individuare i così detti gradi della parentela, in salire allo stipite comune e nel discendere alla posizione delle parti. Ma la ricorrente nel giudizio deciso con la sentenza che si annota non aveva questi strumenti a sua disposizione ed era dunque disarmata. Anche a voler ravvisare nella sua azione una richiesta di riconoscimento del rapporto di filiazione tra il defunto e il genitore di suo padre la sua situazione di impotenza non sarebbe migliorata: l'azione di riconoscimento è consentita unicamente al figlio e ai suoi eredi, con esclusione di ogni altro soggetto.

Oggi resta a costituire un principio di diritto con valore generale quello per cui la ricerca dello stipite comune deve partire da un punto (uno status) assodato e certo, sia questo una risultanza documentale facente fede o il risultato di una azione di status.

L'attenta motivazione della pronuncia della Corte è stata estesa a dichiarare:

  1. irrilevante per la decisione della causa la questione riguardante la diversità normativa esistente tra l'acquisto dello status di figlio nato nel matrimonio, che avviene per effetto della sola nascita e l'acquisto dello stato di figlio ad opera di chi nasce fuori dal matrimonio, che per contro richiede l'esperimento di una azione apposita di status
  2. infondata la denuncia di ingiustificata e irrazionale disparità di trattamento tra la posizione del figlio che, come tale, è sempre legittimato all'azione di riconoscimento della maternità e della paternità e la posizione del parente del genitore in quanto non ammesso ad esercitare la medesima azione. La differente normativa, ha rilevato la Corte, trova ragione nella disomogeneità delle situazioni considerate: l'interesse del figlio al riconoscimento della propria filiazione perdura per tutto l'arco della sua esistenza, anche dopo la morte del genitore biologico; i parenti in via collaterale non sono in alcun modo portatori di un interesse analogo né possono essere legittimati ad assumere scelte che sono discrezionali per lo stesso figlio, che non spettano ai suoi  discendenti finché egli è in vita e che, quando sono consentite agli eredi, sono sottoposte a decadenze temporali brevi.

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