Linee Guida SIMLA: Luci ed ombre

28 Maggio 2025

Il Focus esamina le Linee Guide SIMLA di recente pubblicazione in ordine alla valutazione dell'invalidità permanente biologica. Se le Linee Guida hanno il pregio di coordinare, a livello nazionale, tale valutazione, rappresentano anche alcuni punti critici e spunti di riflessione

Premessa

La recente pubblicazione delle Linee Guida SIMLA in tema di valutazione del danno alla persona rappresenta - per alcuni versi - una pregevole iniziativa ed un primo tentativo di coordinarea livello nazionale, il metodo accertativo medico-legale per la valutazione della invalidità permanente biologica fornendo una contestuale razionalizzazione, pur in assenza di una esaustiva e completa definizione di tutte le variabili - dei "parametri“ convenzionali di disfunzionalità in cui inquadrare – secondo criterio probatorio scientifico di evidenza clinica e/o strumentale – le varie condizioni menomative obiettivate  in corso di indagine medico legale.

Il riferimento a “Linea Guida e buone pratiche valutative medico legali” SIMLA , tuttavia, si ferma qui: esclusivamente sul “metodo scientifico richiesto dell’accertamento “quantitativo“ della invalidità permanente biologica”.

Dalla lettura del documento emergono, infatti, alcune posizioni che non possono essere condivise.

Ci si riferisce - in particolare - ai casi di valutazione del danno in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie fino all’astratta proposta di “sartorializzazione” del parametro della invalidità permanente: ipotesi valutativa, priva di metodologia "riproducibile" che condurrebbe a sovrapporre e conglobare arbitrariamente, ai fini risarcitori, differenti elementi costitutivi di danno, ossia la ”causa”, cioè il parametro della invalidità permanente (soggetto ad un tassativo un percorso riproducibile di evidenza clinica e semeiotica medico-legale) con l’"effetto”, cioè la ricaduta della menomazione sui comuni atti della vita quotidiana e sui comuni aspetti dinamico relazionali (aspetti qualitativi del danno che non hanno rapporto automatico con l’Invalidità permanente biologica, il cui incremento o decremento segue esclusivamente riferimenti convenzionali di disfunzionalità anatomo psichica).

Le Regole tecniche della valutazione della Invalidità Permanente

Il contributo della scienza medico-legale nel campo della valutazione del danno alla persona non ha finalità diagnostico-terapeutiche, bensì si propone principalmente di fornire all’operatore (giudice, liquidatore, avvocato) parametri tecnici fondati su un rigoroso accertamento clinico e/o strumentale di ogni specifica condizione menomativa.

La procedura prevede che quanto accertato clinicamente o strumentalmente venga successivamente inquadrato nel contesto di «variabili numeriche di disfunzionalità convenzionalmente precostituite», quali usualmente delineate nei baréme medico-legali, al fine di pervenire alla stima delle «percentuali di invalidità permanente biologica» rispetto al valore assoluto (100%), il quale rappresenta lo stato di perfetto funzionamento (psichico e fisico) dell’essere umano, definito come “macchina pensante”.

Il recente contributo fornito dalla SIMLA e pubblicato sulle Linee Guida del Ministero della Salute rappresenta di certo un importante, primo passo avanti nella ricerca di un inquadramento condiviso delle variabili convenzionali numeriche in cui poter collocare, nei singoli casi, i dati clinici e strumentali acquisiti dal medico legale nel corso del proprio accertamento tecnico.

Forse con la scelta di una modalità di condivisione, quale quella della Consensus, è mancato, in certi ambiti, lo spazio per un correlato approfondimento ed aggiornamento scientifico dei parametri, in termini di emendabilità o di compensazione di danno. Al contrario, altre voci di danno non hanno trovato adeguato collocamento tabellare, probabilmente in relazione al mancato coinvolgimento diretto di altre Società Scientifiche. Motivo per cui si renderanno necessarie  ulteriori “verifiche” ed “assestamenti” tecnici in previsione della formulazione definitiva del “Barème Nazionale “ delle lesioni di non lieve entità.

Pur apprezzando lo sforzo organizzativo della SIMLA, dalla lettura del testo pubblicato parrebbero tuttavia emergere alcune discrepanze di ordine “metodologico valutativo” che pongono qualche serio dubbio sulla concreta valenza di “buona pratica clinica valutativa" delle stesse Linee Guida, soprattutto in relazione ad alcune ipotesi interpretative e, di conseguenza, applicative della Invalidità Permanente rispetto ai presupposti giuridici di liquidazione del danno alla Persona, soprattutto nel contesto applicativo dell’attuale Tabella Unica Nazionale di Liquidazione delle lesioni di non lieve entità.

Se da un lato l'encomiabile impegno profuso dagli Esperti SIMLA è stato quello di pervenire - seppur con qualche carenza - alla definizione di uno “standard condiviso” delle principali variabili convenzionali di disfunzionalità (invalidità permanente), dall'altro la lettura di alcune posizioni espresse nel documento al Ministero della Salute appaiono contrastanti rispetto all'esclusivo ruolo tecnico attribuibile al medico legale in riferimento alla sua competenza di esclusivo accertatore del parametro di disfunzionalità anatomo-psichica del danneggiato.

 Lo Statement 2.2 della Consensus dice correttamente che «…l’affermazione secondo cui la menomazione all’integrità psico-fisica debba essere espressa numericamente come misura percentuale si basa sulla necessità di un percorso riproducibile di evidenza clinica e semeiotica medico-legale».

Principio assolutamente condivisibile, trattandosi di parametro numerico di “disfunzionalità” anatomo-psichica, che può essere costituito da una singola componente menomativa o da più componenti coesistenti o concorrenti tra loro, a seconda delle interferenze che queste possono determinare sulla validità funzionale complessiva di un singolo organo o apparato ovvero su più organi e apparati: il tutto, comunque, calcolato esclusivamente con riferimento  ad un  100% di validità anatomo-psichica, che rappresenta l’ottimale funzionamento della macchina pensante che è l’essere umano, ma di certo non stabilisce in via automatica e proporzionale l’effetto che le disfunzionalità accertate (singolarmente o globalmente) hanno sugli atti della vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali comuni a qualsiasi danneggiato portatore di quella determinata condizione menomativa  (cioè la reale gravità della lesione del bene salute).

Valutazione del danno e stato anteriore

Se da un lato viene giustamente richiesta una tassatività nella metodologia valutativa della Invalidità permanente, al contrario, nel paragrafo dedicato alla valutazione del danno in presenza di menomazioni preesistenti e di pregiudizio rispetto allo stato anteriore, emergono interpretazioni alquanto dissonanti ed in contrasto con la «…necessità di un percorso riproducibile di evidenza clinica e semeiotica medico-legale» che rappresentano la prima regola di buona pratica valutativa medico legale.

 Nel teso della Linea Guida si afferma in dettaglio:

«... Nel caso in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie, le indicazioni date dalla tabella andranno modificate a seconda che le interazioni tra menomazioni e preesistenze aumentino ovvero diminuiscano il danno da lesione rispetto ai valori medi previsti (ad esempio: il valore tabellato per la perdita di un occhio andrà maggiorato nel caso la lesione si verifichi in un soggetto monocolo o con deficit visivo nell’occhio controlaterale; viceversa, il valore tabellato per una anchilosi di caviglia andrà ridotto se la menomazione si realizza in un soggetto paraplegico».

La questione in esame concerne principalmente i casi in cui la menomazione colpisce organi o apparati già affetti da patologie o conseguenze di patologie preesistenti. La prospettiva valutativa delineata nel documento, che propone un'unica e indefinita maggiorazione del danno in presenza di menomazioni concorrenti preesistenti (come nel caso di un deficit visivo insorto nell'occhio destro in un soggetto privo della funzione visiva controlaterale), oltre a non fornire una qualche minima metodologia, incrementativa o riduttiva, del corrispondente parametro tabellato previsto per la specifica menomazione accertata) si contrappone nettamente con le recenti indicazioni della Cassazione riguardo al danno incrementativo.

Infatti, nei casi in cui una menomazione concorrente sopravvenuta dimostri una chiara efficienza causale nel determinare un peggioramento oggettivo, non solo quantitativo (IP), ma anche – e soprattutto – qualitativo sulle attività quotidiane ed aspetti relazionali del danneggiato, il computo del danno dovrà ragionevolmente seguire il criterio “differenziale“ e sarà altresì fondamentale considerare la sofferenza correlata all’ulteriore disvalore funzionale realizzatosi.

L’indicazione proposta dagli Esperti SIMLA (cioè quella di aumentare il solo parametro quantitativo della  lesione sopravvenuta), non solo risente di una certa “aleatorietà” tecnica, ma è di fatto in antitesi con i principi di rigorosità accertativa previsti dalla stesse Linee Guida, che impongono una valutazione aderente ai riscontri clinico-strumentali obiettivati.

Se un soggetto monocolo perde la funzione dell’occhio superstite diventa cieco: condizione menomativa definitiva che di certo non potrà essere valutata con una percentuale di Invalidità permanente solo un po’ maggiore rispetto alla perdita della funzione visiva di un solo occhio! 

Criticità analoghe emergono anche nella proposta di ridurre l'entità del danno biologico accertato in presenza di condizioni menomative preesistenti già responsabili di grave disabilità dell'apparato lesionato, senza fornire, tuttavia, alcuna indicazione sul metodo con cui pervenire a tale riduzione.

L'esempio dell'“anchilosi della tibiotarsica” in soggetto paraplegico potrebbe avere una logica, a condizione che il percorso per giungere a una valutazione “riduzionistica” del danno alla persona  sia chiaramente articolato dal consulente: definendo preliminarmente l'esatta entità della menomazione calcolata secondo il Baréme, integrata dal riscontro della concreta ed oggettiva ricaduta esistenziale della stessa rispetto allo stato preesistente (esprimendo un parametro qualitativo).

In tale contesto, è opportuno non dimenticare che, in alcune circostanze, anche modesti incrementi di disfunzionalità su gravi stati patologici possono assumere un'importanza significativa per aspetti specifici "dinamici" del soggetto danneggiato (ad esempio, l'amputazione dell'alluce o lesioni metatarsali plurime in un paraplegico che svolge attività riabilitativa assistita periodica, che richiede ortostatismo, ecc.. ).

Da ciò ne deriva la necessità di stimare con precisione «l’esatta entità della menomazione tabellata»: percentuale cui far riferimento per la relativa componente  risarcitoria di personalizzazione.

Valutazione del danno nell’Anziano

Qualche incertezza interpretativa emerge nei casi di valutazione degli anziani. Nelle Linee Guida si affermano infatti: «… Particolare cautela dovrà esser riservata alla valutazione dei danni verificatisi in soggetti anziani o comunque fragili e/o vulnerabili: le indicazioni della dottrina medico-legale prevedono che nella valutazione del danno biologico permanente in questi soggetti debbano essere adeguatamente valorizzati i prolungati tempi di recupero così come le minori capacità di adattamento alla condizione menomativa finale. Proprio in considerazione delle ridotte capacità di recupero e adattamento ad una menomazione, quando di questa emerga una chiara evidenza in sede di accertamento definitivo, è legittimo derogare dal valore tabellare previsto per le disfunzionalità del distretto leso, indicando una percentuale di danno permanente biologico più elevata».

L'età avanzata o qualsiasi condizione di fragilità costituiscono sempre e comunque una “concausa naturale” nella quale si inserisce la lesione sopravvenuta a seguito di un fatto illecito.

Il problema valutativo, in tali circostanze, risiede nell'accertare la gravità” della concausa naturale:

  1. se essa risulta oggettivamente patologica, pur conservando, il danneggiato, una capacità residua o parziale di svolgere le attività quotidiane e di godere delle relazioni sociali;
  2. se invece è rappresentata da una semplice predisposizione o da una condizione parafisiologica rispetto all'età biologica del soggetto danneggiato, che non interferisce con le attività quotidiane e nei comuni aspetti delle dinamiche relazionali compatibili con l’età dello stesso.

L'invalidità permanente che si manifesta a seguito della stabilizzazione di lesione sopravvenuta “concorrente" dovrebbe essere valutata, nel primo caso, in conformità alle indicazioni fornite dalla Cassazione, cioè attraverso un criterio incrementativo differenziale e, nel secondo caso, quale «unico danno invalidante» derivante dal contesto del complessivo quadro clinico-menomativo accertato, che – ovviamente – potrà essere anche maggiore rispetto alle “variabili tabellate“ previste nel Barème, in relazione alla specifica lesione subita, considerando l’incidenza della menomazione sulla complessiva validità funzionale dell’organo o apparato coinvolto.   

Qualora la lesione sopravvenuta non interferisca con organi o apparati già menomati (cioè sia coesistente), il corrispondente grado di invalidità permanente andrà necessariamente  valutato a sé stante, sulla scorta degli usuali criteri clinico-strumentali, in sintonia con gli stessi orientamenti giurisprudenziali della Cassazione.

La valutazione c.d. "sartoriale"

Molte perplessità di ordine tecnico-valutativo emergono infine dalla nuova proposta degli Esperti SIMLA relativa alla al concetto di «valutazione sartoriale». Nel testo si afferma infatti che:  «Qualora poi la menomazione da valutare travalichi il distretto leso e determini una incidenza negativa sul complessivo funzionamento del danneggiato, si dovrà ricorrere ad una valutazione “omnicomprensiva” di tipo sartoriale, verificando in che misura si sia ridotta la capacità del leso di compiere gli atti della sua vita quotidiana, ossia quelli che, nonostante le disabilità di cui era già portatore, era in grado di compiere prima dell’evento lesivo di cui è rimasto vittima. La ricostruzione dello stato anteriore, che dunque rappresenta il momento cardine dell’attività valutativa, deve fondarsi su un approccio metodologico rigoroso e deve indagare nel dettaglio non solo la sfera prettamente clinica, ma anche lo status funzionale nelle sue differenti estrinsecazioni (quotidianità, relazionalità, socialità)».

Trattasi di affermazione contrastante con lo stesso principio enunciato dalla SIMLA allo Statement  2.2 della Consensus e pertanto priva di valenza scientifica medico-legale, non suffragata da alcuna correlata indicazione metodologica (ergo, passibile di arbitrarietà valutativa) e  viziata, a parere di chi scrive, da alcuni evidenti errori concettuali medico-legali e soprattutto giuridico- risarcitori.

Preliminarmente è necessario considerare alcuni aspetti fondamentali:

  1.  Il parametro dell'Invalidità permanente rappresenta una semplice “misurazione percentuale” di disfunzionalità biologica, che – come dichiarato nello stesso documento – si fonda sulla necessità di un percorso riproducibile di evidenza clinica e semeiotica medico-legale. Il parametro della Invalidità permanente (basato su elementi di evidenza scientifica)  rappresenta dunque  – in un sistema tabellare di Liquidazione –  autonomo riferimento risarcitorio;
  2.  Non esiste alcun rapporto automatico e proporzionale tra invalidità permanente biologica (la causa) e le conseguenze della stessa sugli atti della vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali comuni (l’effetto). Risulta pertanto incongruo, sia dal punto di vista tecnico sia, soprattutto, risarcitorio, ipotizzare un aumento della percentuale di Invalidità permanente, ovvero un parametro quantitativo soggetto a regole esclusivamente scientifiche e che deve necessariamente conformarsi a presupposti di concorrenza e coesistenza disfunzionale, in relazione all’evidenza di un minor o maggior “effetto esistenziale” della menomazione accertata sul disabile.

Tale modulazione, invece, dovrebbe richiedere un parametro qualitativo (cioè la sofferenza correlata: principio già noto e condiviso anche in SIMLA) che rappresenta un indicatore della ricaduta esistenziale, utilizzabile dal Giudice (o dall’Operatore) secondo propria ed esclusiva discrezionalità, seguendo i principi di integralità ed equità e per un inquadramento della reale gravità della lesione del bene salute, in quello specifico soggetto:compiti chechiaramente, esulano dalle competenze accertative del medico legale,col rischio che il proposto metodo “sartoriale”   venga  a condizionare, arbitrariamentegli stessi criteri applicativi della Tabella Unica di Liquidazione delle lesioni di non lieve entità.

La proposta sui generis di “sartorializzazione” (peraltro priva di una qualche minima indicazione metodologica e più simile ad una personalizzazione del danno)determinerebbe, in pratica, un incremento automatico e arbitrario della posta risarcitoria “base” del tabella di liquidazione, sostituendosi e bypassando la verifica giuridico-probatoria della stessa, che spetta esclusivamente all’operatore (giudice, avvocato, liquidatore).

Riferimenti

V. anche Di Mauro - Marozzi, Tabelle SIMLA medico-legali sulle macrolesioni dichiarate buona pratica clinica dall’Istituto Superiore di Sanità, in IUS Responsabilità civile, 15 aprile 2025.

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