Accettazione tacita dell’eredità e onere della prova

La Redazione
27 Maggio 2025

Parte attrice, creditrice del de cuius in qualità di socia accomandataria, sottoponeva a pignoramento un immobile presente nei beni ereditari del de cuius e citava in giudizio la moglie del defunto e i figli per accertare l’accettazione tacita dell’eredità. La vedova, costituitasi in giudizio, dichiarava di essere erede del de cuius per averne accettato tacitamente l'eredità e aderiva alle pretese dell'attrice in ordine alla domanda principale; mentre i figli si costituivano dichiarando di non aver mai provveduto all'accettazione dell'eredità del padre né espressamente né tacitamente.

Il giudice ha accolto la domanda nei confronti della vedova che non ha contestato di aver accettato tacitamente l'eredità morendo dismessa dal marito e riferendo di aver compiuto atti che integrano una simile accettazione quali il pagamento di imposte sui beni ereditari, il pagamento della tassa dei rifiuti, di essere in possesso dell'immobile caduto in successione e dei beni mobili ivi presenti. Tali affermazioni, unitamente alla circostanza che si è dichiarata erede del marito anche all'atto della costituzione nel giudizio, hanno indotto a ritenere provato che ella ne abbia accettato tacitamente l'eredità ex art. 476 c.c. e hanno consentito dunque di accogliere la domanda svolta nei suoi confronti. Nei confronti degli altri convenuti, invece, la domanda è stata rigettata perché grava sulla parte attrice l'onere di provare l'esistenza di atti di accettazione tacita dell'eredità in applicazione dei principi generali in tema di ripartizione dell'onere della prova (cfr. art. 2697 c.c.), atteso che i convenuti hanno contestato espressamente e specificamente di aver accettato tacitamente l'eredità.

Non può ritenersi provato che costoro abbiano compiuto atti che importino accettazione tacita dell'eredità, dato che non può attribuirsi un simile significato alla presentazione della dichiarazione di successione, che costituisce un mero atto conservativo e non determina accettazione (Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1995, n. 5463, Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1996, n. 178, Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2711, Cass. civ., sez. II, 12 novembre 1998, n. 11408, Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1999, n. 4756, Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4783, Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4843, Cass. civ., sez. VI, 30 aprile 2021, n. 11478). Né valgono come prova il fatto che alla denuncia di successione segua la trascrizione del relativo certificato che, avendo valore e finalità esclusivamente fiscali, è irrilevante (in tal senso Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2019, n. 4843) e che i figli siano stati acquiescenti rispetto alla circostanza che la loro madre, coniuge superstite del de cuius, abitasse nella casa coniugale caduta in successione per il 50%, dato che si tratta di condotta meramente omissiva che non è in alcun modo significativa della volontà di accettare l'eredità, non rientrando tra gli atti che presuppongono necessariamente la volontà di accettare l'eredità e che il chiamato non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede (cfr. art. 476 c.c.). Infine, nessun rilievo può essere attribuito nel senso voluto dalla ricorrente alla circostanza che siano trascorsi oltre dieci anni dall'apertura della successione senza che i convenuti abbiano rinunciato all'eredità, atteso che il decorso del tempo previsto dall'art. 480 c.c. determina la prescrizione del diritto di accettazione e non l'acquisto legale dell'eredità

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