Il trattamento di sostegno vitale rimane un requisito per il suicidio medicalmente assistito

26 Maggio 2025

Il requisito della dipendenza del paziente da un trattamento di sostegno vitale, indicato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 come una delle condizioni per la non punibilità del suicidio medicalmente assistito, non è in contrasto con la Costituzione.

La questione di costituzionalità

Con la sentenza n. 66, la Corte costituzionale si pronuncia sul requisito della dipendenza del paziente da un trattamento di sostegno vitale, uno dei quattro requisiti individuati nella sentenza n. 242 del 2019 per la non punibilità del suicidio medicalmente assistito.

Il richiedente deve, inoltre, essere affetto da patologia irreversibile, che sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, ma aver conservato la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. La questione posta alla Corte dal gip di Milano riguarda la compatibilità del primo requisito enunciato con la Costituzione, segnatamente con il principio di eguaglianza, con il diritto all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche e con i principi affermati dalla Corte di Strasburgo sul diritto al rispetto della vita privata nelle scelte di fine vita.

Sul principio di eguaglianza

La Corte esclude che vi sia una violazione dell'art. 3 Cost. Il giudice  a quo  suggeriva che il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale potesse essere considerato alternativo al fatto di avere una prognosi infausta a breve termine. Secondo il rimettente, ai pazienti in queste condizioni, che non dipendono da un trattamento di sostegno vitale, sarebbe  preclusa la possibilità di scegliere come congedarsi dalla vita, in violazione del principio di eguaglianza. Questa è, infatti, la condizione che, in base alla legge 219/2017, vieta l'ostinazione irragionevole delle cure e consente la sedazione palliativa profonda continua.

La Corte ribadisce l'ampia interpretazione della nozione di trattamento di sostegno vitale  già enunciata nella sentenza n. 135/2024, che comprende le procedure necessarie ad assicurare l'espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo. Tanto il paziente che sia sottoposto a tali trattamenti, quanto quello che rifiuti di iniziarli, nonostante l'indicazione medica in tal senso, può avere accesso al suicidio medicalmente assistito.

Chi, invece, non necessita di tal tipo di trattamenti, vive una  condizione differente, che rende non irragionevole la diversità di disciplina.

Il diritto all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche

Con simili argomentazioni, la Corte ritiene non fondata anche la  violazione del diritto all'autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, tutelato dal combinato disposto dagli artt. 2,13, 32 Cost., per le stesse motivazioni.

La Corte sottolinea, però, che  il paziente non è costretto a sottoporsi a trattamenti di sostegno vitale per poter accedere al suicidio medicalmente assistito: è  sufficiente, infatti, l'indicazione medica in tal senso, poiché il paziente può legittimamente rifiutare le cure proposte, in base alla legge 219/2017.

Rientra, comunque, nella discrezionalità del legislatore, pur con le dovute garanzie, la possibilità di consentire l'accesso al suicidio assistito anche a pazienti che non dipendano da tali trattamenti.

Viene, infine,  esclusa la violazione dei principi discendenti dalla CEDU, poiché la Corte di Strasburgo riconosce un considerevole margine di apprezzamento agli Stati nel bilanciare il diritto al rispetto della vita privata con ragioni di tutela della vita umana.

Il senso della procedura medicalizzata

I requisiti stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019 trovano giustificazione, da un lato, nella  necessità di evitare abusi nei confronti delle persone vulnerabili; dall'altro nell'esigenza di contrastare derive che inducano le persone malate a scelte suicide perché percepiscono di essere abbandonate dalle istituzioni e si sentono un peso per i familiari.

La previsione di una procedura medicalizzata e di requisiti sostanziali e procedurali per il suicidio medicalmente assistito trovano, così, giustificazioni nel  dovere della Repubblica di tutelare le fragilità e di promuovere la solidarietà in via continuativa.

Ancora un monito. La sentenza si chiude con un ulteriore monito al legislatore per una sollecita e compiuta disciplina della materia. Ad esso si aggiunge pure l'auspicio affinché tanto il legislatore quanto il Servizio sanitario nazionale intervengano per assicurare l'attuazione della sentenza n. 242 e, dunque, un  effettivo accesso alle procedure.

   

*Fonte: DirittoeGiustizia

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