Privilegio fondiario e liquidazione controllata: reviviscenza o obsolescenza?

23 Maggio 2025

L’ampiezza della tutela del creditore fondiario in costanza di liquidazione controllata continua ad essere, nonostante il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, un tema caldo. Lo si evince dalle posizioni della giurisprudenza di merito che – discostandosi dalle conclusioni raggiunte dalla Cassazione - ha avviato un dibattito sulla necessità di un chiarimento normativo e giurisprudenziale, anche in vista di un auspicabile intervento della Consulta sulla eventuale incostituzionalità della legge delegata.

Premessa. Il Testo Unico delle leggi sul credito fondiario, approvato con R.D. 16 luglio 1905 n. 646

Il T.U. n. 646/1905 ha rappresentato un complesso sistema normativo con vigore autonomo e cogente che attribuiva agli istituti facoltà e poteri particolari.

Pertanto, le numerose deroghe espresse o implicite alle norme generali hanno dimostrato che «la legge ha inteso predisporre strumenti particolari che pongono gli enti, operanti nel settore, nelle condizioni di reperire prontamente le somme necessarie alla loro attività di intermediazione nel credito senza le remore che possano derivare dall'applicazione delle norme comuni» (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1982, n. 2027, Foro It., 1982, I, 1913). 

L'art. 18 prevedeva che le ipoteche a favore degli istituti di credito fondiario fossero valide, nonostante il sopraggiunto fallimento del mutuatario, purché l'iscrizione fosse avvenuta almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento.

In base al disposto dell'art. 20 i successori a titolo universale o particolare del debitore e gli aventi causa dovevano notificare giudizialmente all'Istituto come essi erano sottentrati nel possesso e godimento del fondo ipotecato.

In virtù di tale notificazione (che doveva contenere la elezione di domicilio dei successori o aventi causa nel luogo del tribunale nel cui circondario erano situati i fondi) l'Istituto poteva procedere nei loro confronti nello stesso modo con il quale avrebbe proceduto nei confronti dell'originario debitore.

In mancanza di tale notificazione gli atti giudiziali, compresi quelli di rinnovazione di ipoteche, di interruzione della prescrizione di esse, di sequestro, d'ingiunzione del pagamento, d'immissione dell'Istituto in possesso, di subastazione e di aggiudicazione, potevano essere indirizzati contro il debitore iscritto, quando anche il fondo o per morte o per vendita o per qualsiasi altro titolo, anche di godimento temporaneo, fosse nel frattempo passato nelle mani di uno o più eredi, ovvero di aventi causa o terzi.

In base all'art. 38 il pagamento di interessi, annualità, compensi, diritti di finanza e rimborsi di capitali dovuti all'Istituto non poteva essere ritardato da alcuna opposizione. Le somme dovute per tali titoli producevano di pieno diritto interesse dal giorno della scadenza.

Secondo l'art. 39, nei contratti di credito fondiario si intendeva stipulata la condizione risolutiva in caso di ritardato pagamento anche di una sola parte del credito scaduto e l'Istituto poteva chiedere esecutivamente il pagamento integrale di ogni somma ad esso dovuta.

Non solo, ma ai sensi dell'art. 40, per riscuotere le annualità l'Istituto aveva facoltà di procedere contro i debitori morosi con la stessa procedura di cui si giova lo Stato per la riscossione delle imposte dirette, quanto all'esecuzione mobiliare.

Addirittura in base all'art. 41, «in caso di mora del debitore … l'Istituto, prima di ogni atto di esecuzione, poteva, citato il debitore e, ove del caso, il terzo possessore avanti il presidente del tribunale, domandare di essere immesso nel possesso dell'immobile ipotecato».

Il presidente provvedeva sulla domanda con ordinanza inappellabile. Durante tale immissione in possesso, l'Istituto, nonostante sequestro o pignoramento che potessero sopravvenire da parte di altri creditori del mutuatario, percepiva le rendite ed i frutti.

Secondo il disposto dell'art. 42 in caso di dichiarazione di fallimento di mutuatari del Credito fondiario, il curatore era tenuto a versare all'Istituto creditore le rendite dei beni ipotecati a favore del medesimo, dedotte le spese di amministrazione ed i tributi pubblici. Le disposizioni delle leggi e dei regolamenti sul credito fondiario sono sempre applicabili anche in caso di fallimento del debitore per i beni ipotecati agli Istituti di credito Fondiario.

Ai sensi dell'art. 43 nel procedimento di espropriazione iniziato dagli Istituti di credito fondiario, è escluso l'obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo.

In base all'art. 45, dopo la notifica al debitore del precetto di pagamento, il presidente del tribunale competente nel giudizio di espropriazione procedeva su istanza dell'Istituto e mediante ordinanza alla nomina del sequestratario, preferendo la persona che gli fosse stata proposta dall'Istituto, purché la riconoscesse idonea. L'ordinanza di immissione in possesso del sequestratario si eseguiva con la notificazione di un unico atto contenente il precetto per il rilascio in un termine di giorni tre e l'avviso per la immissione nei due giorni successivi, fissando il giorno e l'ora in cui l'usciere si sarebbe recato sul luogo per la esecuzione.

Le ordinanze del presidente erano provvisoriamente esecutorie.

Secondo quanto disposto dall'art. 46 non aveva luogo l'amministrazione giudiziaria e cessava, se già fosse ordinata, qualora gl'immobili fossero affittati, ed il mutuatario avesse stipulato in favore dell'Istituto che l'avesse accettata, la delegazione o cessione dei fitti. In tal caso l'Istituto poteva procedere contro l'affittuario moroso con la procedura speciale dalla legge stabilita in favore dello Stato per la riscossione delle imposte dirette quanto alla esecuzione mobiliare.

In base all'art. 51, quando il procedimento di espropriazione era stato promosso da altri creditori, l'Istituto aveva diritto di essere surrogato a detti creditori quantunque non vi fosse motivo di negligenza.

Ai sensi dell'art. 55 l'aggiudicatario degli immobili ipotecati a favore del creditore fondiario, nei 20 giorni dalla vendita definitiva doveva pagare all'Istituto, senza attendere il proseguimento della graduazione, quella parte del prezzo corrispondente al credito dell'Istituto in capitale, accessori e spese. In difetto di che vi sarebbe stato costretto con tutti i mezzi consentiti dalla legge e con la rivendita degli immobili aggiudicatagli a sue spese e rischio, il pagamento della parte del prezzo di cui sopra, doveva eseguirsi parimenti dall'aggiudicatario nei 20 giorni dall'aggiudicazione anche quando da altri creditori fosse stato promosso il giudizio, senza bisogno che tale obbligo fosse incluso nelle condizioni di vendita.

In base all'art. 58, i privilegi processuali, e di altra specie concessi dalla presente legge per le operazioni di credito fondiario, avevano effetto, anche quando i beni dati in ipoteca appartenevano a Provincie, a Comuni o ad altri corpi morali.

Secondo l'art. 60, dopo il terzo esperimenta d'asta andato deserto gli Istituti potevano chiedere al tribunale civile, in Camera di consiglio, citati il debitore e i creditori iscritti, l'autorizzazione a vendere a trattative private i beni sottoposti a espropriazione e ad essi ipotecati per un prezzo non minore di quello in base al quale fu bandita l'ultima gara.

Ai sensi dell'art. 69, gli Istituti esercenti il Credito fondiario erano sottoposti alla sorveglianza del Ministero d'agricoltura, industria e commercio.

La normativa più recente

In epoca più recente è intervenuto il TUB che ha abrogato il T.U. n. 646/1905 e con l'art. 39, comma 4, ha previsto che le ipoteche iscritte a garanzia dei crediti fondiari «non sono assoggettate alla revocatoria di cui all'articolo 166 del codice della crisi e dell'insolvenza quando siano state iscritte dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. L'articolo 166 del codice della crisi e dell'insolvenza non si applica ai pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti fondiari».

Questo il testo attuale come modificato dall'art. 38, comma 2, d.lgs. n. 147/2020.

Inoltre, il d.lgs. n. 14/2019C.C.I.I. ha disposto, con l'art. 369, comma 2, che le modifiche di cui al presente articolo si applicano «alle liquidazioni giudiziali aperte a seguito di domanda depositata o iniziativa comunque esercitata successivamente all'entrata in vigore del presente decreto».

Il detto d.lgs. n. 14/2019 (come modificato dal d.l. n. 23/2020) ha, poi, previsto (con l'art. 389, comma 1) la proroga dell'entrata in vigore della modifica del comma 4 del presente articolo dal 15 agosto 2020 al 1° settembre 2021. Proroga slittata al 16 maggio 2022 (ai sensi dell'art. 389, comma 1, in seguito all'ulteriore modifica del d.lgs. n. 14/2019 operata dal d.l. n. 118/2021) e, successivamente, ex art. 389, comma 1, al 15 luglio 2022 (dopo un'altra modifica del d.lgs. n. 14/2019 operata dal d.l. n. 36/2022).

L'art. 41 TUB ha confermato:

  • l'esclusione dell'obbligo della notificazione del titolo esecutivo (comma 1);
  • la possibilità di iniziare o proseguire l'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. In tal caso Il curatore ha facoltà di intervenire nell'esecuzione. La somma ricavata dall'esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento (comma 2);
  • l'espressa previsione che il custode dei beni pignorati, l'amministratore giudiziario e il curatore debbano versare alla banca le rendite degli immobili ipotecati a suo favore (dedotte le spese di amministrazione e i tributi) sino al soddisfacimento del credito vantato (comma 3);
  • l'indicazione, da parte del g.e., nel provvedimento che dispone la vendita o l'assegnazione del termine entro il quale l'aggiudicatario o l'assegnatario (che non intenda avvalersi della facoltà di subentrare nel contratto di finanziamento) deve versare direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa, prevedendo che in mancanza sarà considerato inadempiente ai sensi dell'art. 587 c.p.c. (comma 4).

L'art. 161 TUB, infine, ha fatto salva l'applicabilità della disciplina previgente ai contratti di credito fondiario conclusi prima dell'entrata in vigore della norma abrogatrice. Così la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che «Il primo comma dell'art. 161, d.lgs. n. 385/1993 (contenente il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) dispone l'abrogazione, tra gli altri, del r.d. n. 646/1905, ma il successivo sesto comma stabilisce che i contratti di credito fondiario già conclusi ed i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore (1 gennaio 1994) del decreto legislativo restano regolati dalle norme anteriori» (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 1998, n. 2638; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1997, n. 3228, in Banca, borsa, tit. cred., 1998).

L'anatocismo e le ragioni alla base di una particolare tutela

Fino a qualche anno fa il dibattito, in tema di credito fondiario, era sull'assunto che il mancato pagamento di una rata di mutuo comporta, ai sensi dell'art. 38, r.d. n. 646/1905 (richiamato espressamente dall'art. 15, D.P.R. n. 7/1976), l'obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull'intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2006 n. 2140; Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2008 n. 12639; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 2011 n. 9695).

E' incontestabile, dunque, l'applicazione dell'anatocismo ai mutui fondiari concessi prima dell'entrata in vigore del T.U. bancario approvato con il d.lgs. n. 393/1993, essendo previsto dalla legge (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2003, n. 2593).

Il detto testo unico, infatti, con una specifica norma transitoria (di raccordo tra la vecchia e nuova disciplina) contenuta nell'art. 161, lascia invariata, per i contratti già conclusi ed i procedimenti esecutivi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso (1° gennaio 1994), la precedente normativa (r.d. n. 646/1905).

Conseguentemente la validità delle norme contenute nel r.d. n. 646/1905 é stata considerata, per molto tempo, fuori discussione, essendo stata confermata più volte sia dalla Corte Costituzionale (Corte cost., 6 giugno 1968, n. 61; Corte cost., 29 aprile 1991, n. 184; Corte cost., 27 dicembre 1991, n. 496), sia da numerose decisioni della S.C. (Cass. civ., n. 324/1969, Foro It.,1970, I, 884; Cass. civ., sez. III, 19 maggio 1977, n. 2068, id. 1979, I, 1083; Cass. civ., sez. III, 15 aprile 1997, n. 3228, sopra citata; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2000, n. 6860, con riferimento al citato art. 161, comma 6, d.lgs. n. 385/1993).   

Come, a suo tempo, è stato ripetutamente sostenuto e ribadito dalla Corte di Cassazione «nell'attività intermediaria degli istituti di credito fondiario gli interessi corrisposti dai terzi prestatori non costituiscono il corrispettivo del godimento di un capitale dell'istituto o del servizio da quest'ultimo reso al mutuatario, ma il mezzo per consentire all'ente di far fronte al pagamento, di eguale importo, degli interessi passivi dovuti ai portatori di cartelle».

L'eccezionalità di detta disciplina, pertanto, va individuata nella particolare natura dei contratti di mutuo fondiario che imponevano agli istituti l'obbligo di corrispondere ai portatori delle obbligazioni emesse per il finanziamento del mutuo (c.d. cartelle) un interesse pari a quello convenuto per il mutuo stesso, a prescindere dall'adempimento o meno del mutuatario; trovandosi costretti, in caso di morosità di quest'ultimo, a ricorrere al credito, aggiungendo all'interesse cedolare quello per le eventuali anticipazioni creditizie (così Cass. civ., 11 novembre 1969, n. 3665, Cass. civ., 10 novembre 1979, n. 2321; C. Moglie, Credito Fondiario e Edilizio, Milano, 1989, pagg. 154 ss.).

E ciò è tanto più vero se si tiene presente che gli istituti fondiari (segnatamente l'Istituto Italiano di Credito Fondiario – di cui agli artt. 75 ss. T.U. n. 646/1905) nacquero come enti di rilevante interesse pubblico che esercitavano la loro funzione grazie alla raccolta di fondi forniti dai risparmiatori portatori delle cartelle fondiarie, con l'obbligo di corrispondere a costoro i tassi concordati, indipendentemente dai lunghi tempi delle procedure esecutive azionate per il recupero dei propri crediti. Detti istituti, infatti, avevano l'obbligo, secondo il principio del «non riscosso per riscosso» (ai sensi dell'art. 32, comma 8, T.U. n. 646/1905), di rimborsare le cartelle stesse e di corrispondere ai portatori delle medesime gli interessi (con il rischio di doversi accollare eventuali interessi passivi a fronte dei quali il menzionato art. 38 prevedeva un interesse di mora a carico del mutuatario moroso).

Le speciali prerogative, attribuite al credito fondiario erano volte, quindi, ad evitare che ritardi nei pagamenti delle rate di ammortamento generassero costi aggiuntivi nella gestione delle cartelle fondiarie, prima, e delle obbligazioni, dopo, emesse dagli appositi istituti (art. 8, comma 2, D.P.R. n. 7/1976, che richiama il disposto dell'art. 32, comma 8, T.U. n. 646/1905).

D'altronde la Cassazione e la Consulta chiarirono con fermezza che «… la funzione pubblica che il credito fondiario svolge, trascende gli interessi delle economie individuali realizzando interessi pubblici dello Stato e comunque interessi economici della collettività nazionale …» (Cass. civ., sez. I, n. 10171/1967; Corte cost. n. 166/1967). 

Anche per il tassativo disposto dell'art. 20, T.U. n. 646/1905 (richiamato dal D.P.R. n. 7/1976) che non consentiva ai successori a titolo universale e particolare di opporre la mancanza di accollo al creditore procedente, la validità della norma era fuori discussione, essendo stata la medesima confermata più volte sia dalle decisioni della Consulta poc'anzi citate, sia dalla Cassazione (tra le altre, Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1982, n. 2027, Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1994, n. 1110; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2000, n. 6860 sopra menzionata). Conseguentemente la mancata notificazione dell'acquisto all'istituto mutuante (contenente l'accollo della quota di mutuo fondiario, la relativa dichiarazione di subingresso ed elezione di domicilio) non solo non metteva il successore al riparo dalla pretesa creditoria dell'istituto stesso, ma abilitava quest'ultimo ad agire nei confronti del debitore originario con efficacia anche per i successori

Pertanto i procedimenti esecutivi intrapresi contro il mutuatario originario (risultando perfettamente conformi al disposto degli artt. 39 e 20, T.U. n. 646/1905) erano legittimi sotto ogni profilo e le eventuali opposizioni risultavano carenti di fondamento.

Le alienazioni a terzi erano, dunque, inopponibili all'istituto mutante in virtù del noto principio generale (peraltro recepito dall'art. 1372, comma 2, c.c.) secondo cui res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest. Tutte le pattuizioni stipulate tra il mutuatario e il terzo acquirente, infatti, erano considerate inopponibili all'istituto mutuante che rimaneva estraneo ai rapporti intercorrenti tra mutuatario e terzi, i quali, di conseguenza, non potevano vantare diritti o pretese dipendenti dal contratto di mutuo se non si erano uniformati al tassativo disposto dell'art. 20

Altra peculiarità era rappresentata dalla possibilità per gli istituti di credito fondiario di chiedere (ex art. 49, comma 2, T.U. n. 646/1905) che il cespite pignorato venisse posto all'asta per il prezzo base stabilito nel contratto di mutuo; e che, comunque, ai sensi dell'art. 568 c.p.c., il giudice aveva la facoltà e non l'obbligo di nominare un esperto per la determinazione del valore (Cass. civ., 22 settembre 1956 n. 3249, Cass. civ., 4 maggio 1963, n.1098).

Tant'è che la circostanza che il prezzo base risultasse inferiore al valore di mercato dell'immobile non comportava l'invalidità della relativa ordinanza di vendita, poiché il prezzo stesso aveva un peso meramente indicativo e non poteva, conseguentemente, pregiudicare l'esito della vendita, dal momento che la gara tra gli offerenti rappresentava la migliore garanzia che il bene fosse venduto al giusto prezzo (Cass. civ., 19 aprile 1974, n.1092, Cass. civ., sez. III, 26 marzo 1981, n. 1766).

Dal quadro che precede si può desumere facilmente che le prerogative socioeconomiche che in passato hanno dato origine alla speciale normativa sul credito fondiario (la possibilità di acquistare una casa dove abitare oppure un fondo agricolo da coltivare e dal quale ricavare un reddito) si sono affievolite e modificate nel tempo.

L'Istituto Italiano di Credito Fondiario non esiste più. I crediti derivanti eventualmente da qualche vecchio mutuo, ancora resiliente, sono stati, nel corso degli anni, cartolarizzati e ceduti a grosse finanziarie.

Eppure come risultano quasi avveniristiche alcune norme del vecchio T.U. che abbiamo rapidamente passato in rassegna.

Si pensi, soprattutto, a quelle previsioni che miravano ad accelerare il recupero del credito e che presentano la medesima ratio che ha caratterizzato le ultime riforme del processo esecutivo!  

Il privilegio fondiario ed il C.C.I.I.: l'orientamento della Cassazione

Nell'ambito di un giudizio ex art. 617 c.p.c. il Tribunale di Brescia, con ordinanza Trib. Brescia, 3 ottobre 2023, ha rimesso alla Cassazione (ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c.) la risoluzione della seguente questione di diritto:«Se il privilegio processuale di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385/1993 sia opponibile a fronte dell'apertura di una delle procedure concorsuali di cui al c.c.i.i. a carico del debitore esecutato ed in particolare della liquidazione controllata di cui agli artt. 269 ss. c.c.i.i.». Questione ritenuta «esclusivamente di diritto» e «di particolare importanza per le conseguenze che proietta sull'accertamento dei crediti, il riparto endoconcorsuale del ricavato fra i loro titolari, la disciplina delle interferenze fra procedure esecutive individuali e concorsuali».

In breve.

La domanda rivolta alla Corte è la seguente: il privilegio processuale fondiario di cui all'art. 41, comma 2, TUB, è compatibile con le nuove norme del c.c.i.i. relativamente alle procedure concorsuali liquidatorie?

Si tratta di una questione preliminare perché solo in caso affermativo ci si potrà interrogare sulla sua opponibilità anche alla procedura di liquidazione controllata.

L'art. 51 l. fall. stabiliva il divieto di azioni esecutive e cautelari individuali «salvo diversa disposizione della legge»; l'art. 41, comma 2, TUB disponeva che «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore».

L'art. 150 c.c.i.i. riproduce il contenuto dell'art. 51 l. fall., sostituendo alla parola «fallimento »la locuzione «liquidazione giudiziale» e confermando il generale divieto di azioni esecutive individuali dopo l'apertura della procedura concorsuale maggiore, salvo eccezioni.

Un orientamento dottrinale e giurisprudenziale (minoritario) sostiene, per l'appunto, che il privilegio processuale fondiario sia applicabile esclusivamente al fallimento. Infatti l'art. 369 c.c.i.i. (che ha apportato variazioni lessicali ad alcuni articoli del TUB, al fine di uniformarli alla nuova disciplina) non ha ritoccato l'art. 41, comma 2, TUB, aprendo così al dubbio se la mancata modifica di tale norma fosse una scelta ben precisa del legislatore o una mera dimenticanza.

Un'altra argomentazione sulla quale si basa tale tesi è rappresentata dal criterio direttivo desumibile dall'art. 7, comma 4, l. delega n. 155/2017, in base al quale «La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a: … prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1».

Dottrina e giurisprudenza di merito prevalenti, però, hanno contestato tali dissertazioni.

L'omesso richiamo, da parte dell'art. 369 c.c.i.i., all'art. 41, comma 2, TUB, non attesta che il privilegio processuale non può essere fatto valere dal creditore fondiario se il debitore è sottoposto a liquidazione giudiziale (considerato che la detta norma non è stata abrogata).

Anche altre disposizioni di legge non sono state modificate dopo l'entrata in vigore del codice della crisi e (conservando l'espressione fallimento) continuano ad essere applicate anche nell'ambito della nuova disciplina (artt. 191, 2471, comma 4, 2447-nonies, comma 4, c.c.).

Soccorre, tra l'altro, l'art. 349 c.c.i.i. (sostituzione dei termini fallimento e fallito), in base al quale «nelle disposizioni normative vigenti i termini "fallimento", "procedura fallimentare", "fallito" nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni "liquidazione giudiziale", "procedura di liquidazione giudiziale", "debitore assoggettato a liquidazione giudiziale" e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie». Pertanto l'art. 41 TUB non può essere sottratto all'applicazione di detta regola.

D'altra parte il legislatore delegato ha mantenuto nell'art. 150 c.c.i.i. la locuzione «salva diversa disposizione di legge».

E' evidente, quindi, che i principi e criteri direttivi fissati dall'art. 7, comma 4, lett. a), l. n. 155/2017, non sono stati recepiti dalla legge delegata; ma, se il legislatore delegato ha stabilito di mantenere in vita il privilegio processuale fondiario, per verificare se tale scelta concretizzi la mancata attuazione della delega oppure un contrasto della normativa delegata con la l. n. 155/2017 occorrerà sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 76 Cost.

In questo stato di cose la Suprema Corte ha affermato «che l'interpretazione che ammette l'operatività del privilegio fondiario anche nella liquidazione giudiziale va preferita perché conforme all'espressa previsione normativa».

Il privilegio fondiario e la liquidazione controllata (segue)

Quid iuris in ordine all'applicabilità o meno del privilegio fondiario alla liquidazione controllata?

I sostenitori dell'applicazione del privilegio fondiario anche alla liquidazione controllata fanno leva sul dato normativo che, prima della entrata in vigore del c.c.i.i., trovava il suo omologo nella procedura di liquidazione del patrimonio disciplinata dagli artt. 14-ter ss., l. n. 3/2012.

L'art. 14-quinquies, comma 2, lett. b) della detta legge, stabiliva il divieto assoluto dell'inizio o della prosecuzione di azioni esecutive individuali dopo l'apertura della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato, senza prevedere alcuna eccezione. Quindi il privilegio di cui all'art. 41, comma 2, TUB non trovava applicazione nell'ambito di tale procedura.

Nel c.c.i.i., al contrario, manca una simile disposizione, anzi l'art. 270, comma 5, prevede una clausola in base alla quale alla liquidazione controllata «si applicano l'art. 143 in quanto compatibile e gli artt. 150 e 151 [...]».

«Dunque, secondo la tesi in esame, ci si trova in presenza di un rinvio inequivocabilmente "secco" (a differenza di quello, elastico, nei limiti della compatibilità, all'art. 143) a tutto il microsistema (regola ed eccezione) dell'art. 150 c.c.i.i., per effetto del quale l'apertura della liquidazione controllata, al pari della "procedura maggiore", determina “il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali salvo diversa disposizione della legge”».

La clausola innanzi citata, pertanto, rappresenta una novità rispetto a quanto statuito dalla l. n. 3/2012, perché (anziché prevedere il divieto assoluto di azioni esecutive individuali in caso di liquidazione controllata) rinviando alla disciplina della liquidazione giudiziale stabilisce che anche nella liquidazione controllata, ai sensi dell'art. 150 c.c.i.i., il divieto si applica «salve diverse disposizioni di legge».

Secondo il discordante orientamento (dottrina e giurisprudenza di merito) «(…) l'art. 270, comma 5, c.c.i.i. andrebbe invece interpretato in senso restrittivo, ovvero ritenendo che esso non rinvii all'intero microsistema normativo di cui all'art. 150 c.c.i.i. (…) bensì unicamente alla regola. Per effetto del rinvio si realizzerebbe pertanto una scissione del contenuto dell'art. 150 c.c.i.i., che risulterebbe in parte applicabile e in parte no».

I sostenitori di detta tesi ritengono che per derogare alla regola dell'improcedibilità delle esecuzioni individuali occorrerebbe una norma dettata espressamente per la liquidazione controllata, laddove l'art. 41, comma 2, TUB, si riferisce al «fallimento», quindi, alla liquidazione giudiziale (nel nuovo regime).

Nonostante il chiaro principio direttivo di abolizione dei privilegi processuali contenuto nell'art. 7, comma 4, della legge-delega, la S.C. ha aderito alla prima tesi sopra esposta secondo la quale il privilegio fondiario di cui all'art. 41, comma 2, TUB trova applicazione anche nella liquidazione controllata.

Secondo la S.C., le deroghe al principio generale del divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive individuali (contenute in norme speciali, tra le quali l'art. 41, comma 2, TUB) anche se fanno riferimento alla sola liquidazione giudiziale, devono considerarsi estensibili anche alla liquidazione controllata in base al richiamo normativo contenuto nell'art. 250, comma 5, c.c.i.i. all'art. 150 e del rinvio previsto da tale disposizione alle singole norme derogatrici.  

L'art. 41 TUB è una norma speciale che non può essere oggetto di applicazione analogica, ma la sua estensione alla liquidazione controllata deriva dalla «composita operazione di rinvio normativo sopra descritta»

A ben guardare, in un precedente (Cass. civ., sez. I, 7 giugno 1988, n. 3847) riguardante l'applicabilità del privilegio fondiario (allora previsto dall'art. 42, T.U. n. 646/1905) alla liquidazione coatta amministrativa, per effetto del rinvio disposto dall'art. 201 l. fall., la Corte aveva sostenuto che «L'art. 51 l. fall., il quale, nell'escludere l'esperibilità dell'esecuzione individuale, fa salva diversa disposizione di legge, inclusa quella dettata dall'art. 42, comma 2, r.d. n. 646/1905 sul credito fondiario, trova integrale applicazione nella liquidazione coatta amministrativa, anche con riguardo a tale eccezione, in forza del richiamo di cui al successivo art. 201 della medesima legge, e, pertanto, pure sugli immobili acquisiti a detta liquidazione, deve ritenersi consentito agli istituti di credito fondiario di promuovere e proseguire l'espropriazione individuale, in base all'ipoteca iscritta a garanzia di mutuo».

La S.C. contestò obiezioni simili a quelle formulate dagli attuali sostenitori della tesi restrittiva, per affermare che: «invero, in considerazione della ricordata genericità ed ampiezza del richiamo dell'art. 51 l. fall. da parte del successivo art. 201, una sua delimitazione (…) potrebbe essere consentita solo a fronte di ragioni d'incompatibilità di tali deroghe con la disciplina della liquidazione. Tale incompatibilità è da escludere. (…) Se siffatta valutazione cede il passo, nel caso del fallimento, in relazione a crediti di particolare natura, quali quelli degli istituti di credito fondiario, per effetto della priorità dell'esigenza di garantire agli istituti stessi l'immediata aggressione dell'immobile ipotecato a garanzia, non si vede alcun motivo che osti alla tutela di tale esigenza pure nella liquidazione amministrativa, (…) dovrebbe trovare applicazione il criterio ermeneutico sussidiario della prevalenza dell'esegesi atta a sottrarre la norma a sospetti d'incostituzionalità; sospetti che sicuramente si presenterebbero, in ipotesi di difforme regolamentazione, rispetto al fallimento, del coordinamento fra procedura individuale e procedura concorsuale, trattandosi di diversità non supportata da obiettive differenziazioni delle posizioni soggettive coinvolte, e quindi potenzialmente idonea a confliggere con il precetto dell'art. 3 della Costituzione».

Ora, l'intenzione del legislatore delegato del 2019 (discostandosi dalla legge delega) era quella di conservare il privilegio processuale, riservato ai creditori fondiari, con riferimento sia alla liquidazione giudiziale che a quella controllata, allo scopo di trattare entrambe nello stesso modo (essendo legate da una disciplina analoga).

Pertanto, la questione sollevata dall'ordinanza di rimessione è stata risolta dalla S.C. con l'enunciazione del seguente principio di diritto: «il creditore fondiario può avvalersi del "privilegio processuale" di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993 sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale di liquidazione giudiziale di cui agli artt. 121 e segg. del d.lgs. n. 14 del 2019, sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale della liquidazione controllata di cui agli artt. 268 e segg. del medesimo d.lgs.».

L'ordinanza del Tribunale di Ragusa 22 gennaio 2025

Con l'opposizione agli atti esecutivi l'esecutato ha impugnato il provvedimento con il quale il Giudice dell'Esecuzione aveva disposto la prosecuzione dell'espropriazione immobiliare nonostante fosse iniziata la procedura concorsuale della liquidazione controllata nei confronti del debitore.

Il G.E., richiamando la sentenza della Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2024, n. 22914, aveva riconosciuto l'applicabilità del privilegio processuale fondiario previsto dall'art. 41, comma 2, TUB, consentendo al creditore di proseguire l'esecuzione individuale anche in costanza della procedura concorsuale.

Aveva, conseguentemente, rigettato l'istanza di sospensione della procedura esecutiva.

Avverso tale ordinanza l'opponente ha proposto reclamo, sostenendo che tale interpretazione sarebbe in contrasto con i principi dettati dalla l. delega n. 155/2017, che esclude l'operatività delle esecuzioni speciali e dei privilegi processuali, anche fondiari, nel caso di liquidazione giudiziale, e per analogia, anche nella liquidazione controllata. Ipotizzando, così, l'illegittimità costituzione (per contrasto con la legge delega) della legge delegata che «non avrebbe potuto emanare una normativa avente addirittura l'effetto contrario di estendere l'ambito applicativo del privilegio fondiario ad una procedura diversa rispetto a quella originariamente prevista dall'art. 41 t.u.b., ossia la liquidazione controllata, rispetto alla quale tale privilegio prima non operava».

Ha osservato, inoltre, che la normativa delegata contrasterebbe anche con la Direttiva Insolvency, che all'art. 6, par. 2, prevede che «gli Stati membri provvedono affinché la sospensione delle azioni esecutive individuali possa riguardare tutti i tipi di crediti, compresi quelli garantiti e privilegiati.»

Il Tribunale, accogliendo il reclamo, ha ritenuto che l'estensione del privilegio fondiario alla liquidazione controllata costituisca un caso di eccesso di delega e, conseguentemente, configuri una violazione dell'art. 76 Cost.

La l.delega n. 155/2017 ha conferito al legislatore delegato il potere di riordinare e semplificare la disciplina della crisi da sovraindebitamento, senza però introdurre nuovi privilegi processuali. Pertanto, l'interpretazione che estende l'applicabilità del privilegio fondiario alla liquidazione controllata rappresenta un'innovazione non prevista dalla delega, ponendosi, così, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale.

Il Tribunale ha adottato un'interpretazione restrittiva della clausola di salvezza dell'art. 270 c.c.i.i. Ha ritenuto, infatti, che, conferendo alla detta clausola (tramite il richiamo all'art. 150) l'effetto di estendere anche alla liquidazione controllata le eccezioni previste espressamente per la liquidazione giudiziale, si finirebbe per introdurre in via interpretativa una norma affetta da eccesso di delega, perciò contrastante con l'art 76 Cost. Pertanto, il richiamo dell'art. 270 c.c.i.i. all'art. 150 c.c.i.i. (disciplinante il divieto di azioni individuali nella liquidazione giudiziale) non può essere interpretato estensivamente al fine di applicare il privilegio fondiario anche alla liquidazione controllata.

La Corte Costituzionale ha in più occasioni sostenuto che nell'ipotesi in cui «(…) il dubbio di compatibilità con i principi costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un testo di legge è indispensabile che il giudice a quo prospetti a questa Corte l'impossibilità di una lettura adeguata ai detti principi; oppure che lamenti l'esistenza di una costante lettura della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione» (Corte Cost., 27 luglio 1989, n. 456).

Ha affermato, inoltre, che «(…) nel caso di delega per il riordino normativo, al legislatore delegato spetta un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante (ex plurimis, sentenze n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80 del 2012) e, comunque, sono legittime «soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l'oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato» (sentenze n. 170 del 2007, n. 239 del 2003 e n. 354 del 1988)» (Corte Cost., 25 novembre 2016, n. 250).

Per il Tribunale di Ragusa, quindi, il legislatore delegato avrebbe potuto introdurre soluzioni innovative soltanto se la legge delega lo avesse a tal uopo autorizzato. Laddove, invece, l'art. 9 della legge delega (che fissa i principi e i criteri direttivi per il riordino e la semplificazione della disciplina della procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento) non prevede alcunché in merito all'introduzione di privilegi processuali.

Ritiene ancora che la sentenza della Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2024, n. 22914 non ha affrontato espressamente l'aspetto dell'incostituzionalità della legge delegata, « (…) limitandosi a prospettare pro futuro quello (diverso) della possibile violazione della legge delega nella parte in cui impone (letteralmente per la sola liquidazione giudiziale ma eventualmente in via interpretativa anche per la controllata) l'eliminazione dei privilegi esistenti».

Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una norma che deroghi al divieto di azioni esecutive individuali nel caso di apertura del procedimento di liquidazione controllata, nonostante l'apposita clausola di riserva di cui al combinato disposto degli artt. 270 e 150 c.c.i.i. Sostenendo il contrario si attribuirebbe al c.c.i.i. la possibilità di introdurre il privilegio processuale per il creditore fondiario di iniziare o proseguire l'esecuzione individuale anche in caso di apertura del procedimento di liquidazione controllata (possibilità, questa, esclusa dal legislatore del 2012 e non prevista dalla legge delega).

Il Tribunale di Ragusa, conclusivamente, ha accolto il reclamo e ha inibito la prosecuzione dell'esecuzione immobiliare.

Detta ordinanza riapre dunque la questione dell'interpretazione del privilegio fondiario in relazione alla liquidazione controllata che potrebbe essere oggetto di una nuova pronuncia della Suprema Corte o un auspicabile intervento della Consulta sulla paventata incostituzionalità della legge delegata.

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