Processo ordinario di cognizione: ampiezza e limiti dei poteri del creditore opposto
Rossella Pezzella
21 Maggio 2025
Il contributo analizza le questioni relative alla proponibilità da parte dell’opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo introdotto nelle forme del rito ordinario, di domande diverse rispetto a quelle contenute nel ricorso monitorio nonché alle modalità di esercizio della facoltà di chiamata di un terzo in causa
Premessa
Il procedimento monitorio, disciplinato dagli artt. 633 ss. c.p.c., è annoverato tra i procedimenti speciali di cui al Libro IV, specificamente nel Titolo I dedicato ai procedimenti sommari.
Esso consente al creditore di una somma di denaro, di una cosa mobile o di una determinata quantità di cose fungibili di ottenere un provvedimento di condanna inaudita altera parte, sulla base di una prova scritta idonea a rappresentare una forte probabilità di esistenza del credito. Tale procedimento si configura quale strumento processuale finalizzato alla celere formazione di un titolo esecutivo, subordinatamente alla sussistenza di specifici requisiti di ammissibilità, fondato su un accertamento giudiziale sommario al quale non partecipa il destinatario del provvedimento (VALITUTTI-DE STEFANO, 12 ss.). La garanzia del contraddittorio è assicurata riconoscendo a quest'ultimo il potere di opporsi all'ingiunzione mediante l'introduzione di un ordinario giudizio a cognizione piena, nel quale incomberà sul creditore l'onere di provare la fondatezza del diritto di credito azionato secondo le disposizioni generali in materia.
Il suddetto procedimento si articola, quindi, in due fasi.
La prima fase (quella stricto sensu monitoria), sempre necessaria, è instaurata dal creditore al fine di ottenere un decreto giudiziale di ingiunzione all'adempimento ed è caratterizzata dall'assenza di contraddittorio e dalla sommarietà della cognizione.
La seconda fase, di natura meramente eventuale, è introdotta dal soggetto ingiunto con l'opposizione al decreto ingiuntivo notificatogli ed è strutturata come un ordinario processo di cognizione (MANDRIOLI- CARRATTA, 269).
Quanto alla natura dell'istituto, la giurisprudenza prevalente ritiene che il giudizio di opposizione costituisca una fase eventuale del procedimento monitorio e non un'impugnazione vera e propria.
Tale impostazione è stata di recente condivisa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali hanno ribadito che l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è una actio nullitatis o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Cass. civ., sez. un., 13 gennaio 2022, n. 927). Su questa medesima linea argomentativa, si è evidenziato che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la legittimità o meno del decreto ingiuntivo emesso, quanto piuttosto l'esistenza del credito posto a fondamento della domanda monitoria (Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2019, n. 14486), da valutare con riferimento alla situazione esistente al tempo della pronuncia (Cass. civ., sez. VI, 9 novembre 2021, n. 32792), anche sulla base di nuove prove integranti con efficacia retroattiva quelle prodotte in sede monitoria (Cass. civ., sez. VI, 28 maggio 2019, n. 14473) sicché, nel caso di fondatezza dell'opposizione, il giudice non deve limitarsi a revocare il decreto, ma, se ritenga la prova del credito insussistente, deve provvedere al rigetto della domanda proposta dal creditore (Cass. civ., sez. I, 19 aprile 2021, n. 10263).
Dunque, il giudizio di opposizione instaura un ordinario giudizio di cognizione, caratterizzato da un'inversione delle posizioni processuali, atteso che l'opponente, formalmente attore, riveste la qualità di convenuto in senso sostanziale, mentre l'opposto, formalmente convenuto, assume il ruolo di attore in senso sostanziale.
La comparsa di costituzione e risposta dell'opposto
Nel rito ordinario, la comparsa di costituzione e risposta rappresenta l'atto attraverso il quale il convenuto opposto si costituisce in giudizio, formulando le proprie difese in replica alle pretese dell'attore opponente.
Il contenuto sostanziale della comparsa di costituzione dell'opposto deve essere individuato tenendo conto della peculiare struttura del procedimento monitorio. Per questo motivo, la dottrina è ferma nel ritenere che la comparsa di costituzione e risposta costituisca un atto integrativo della domanda proposta con il ricorso monitorioe, al contempo, un atto di replica all'atto di opposizione.
In quest'ottica, si afferma che la comparsa deve contenere i requisiti dell'atto di citazione relativi alla editio actionis previsti dall'art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c., vale a dire l'esposizione «in modo chiaro e preciso» dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (TEDOLDI, 781). Oltre a ciò, l'atto deve puntualmente confutare le argomentazioni avversarie, contrastando le pretese e le eccezioni formulate dall'opponente nella citazione e motivando le ragioni per cui esse devono ritenersi infondate.
In dottrina e in giurisprudenza è controverso se l'opposto debba formulare l'istanza di chiamata in causa di un terzo nella comparsa di costituzione e risposta.
Parimenti, ci si interroga in merito alla proponibilità, nel medesimo atto, di domande ulteriori e diverse rispetto a quelle formulate nella fase monitoria.
La chiamata di un terzo in causa
Per quanto riguarda la chiamata di un terzo in causa è indubbio che l'opposto, quale attore in senso sostanziale, possa avvalersi di tale prerogativa soltanto in presenza dei presupposti stabiliti dall'art. 106 c.p.c. e quando il suo interesse sia sorto a seguito delle difese svolte dall'opponente nell'atto di citazione, quale regola generale stabilita dal nuovo art. 171-ter, comma 1, n. 1 c.p.c., che riproduce il disposto del previgente art. 183, comma 5, c.p.c. (TEDOLDI, 791)
Su un piano generale, il suddetto regime processuale trova la sua ratio nella considerazione che l'attore, quale soggetto proponente l'azione giudiziaria, dispone ab initio della facoltà di evocare il terzo in giudizio. Laddove tale facoltà non sia stata esercitata, occorre accertare che l'istanza di chiamata in causa sia sorretta dalle difese formulate dal convenuto.
Tuttavia, considerato che con l'opposizione a decreto ingiuntivo si verifica una formale inversione della posizione processuale delle parti, è controverso se le modalità di esercizio della facoltà di chiamata in causa del terzo siano quelle stabile dall'art. 269, comma 3, c.p.c. (che riguarda l'attore) o dal comma 2 della stessa norma (relativo al convenuto).
Secondo una prima impostazione, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 645, comma 2, c.p.c. – nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 164/2024 - alle norme del rito ordinario di cognizione e, quindi, per quel che rileva in questa sede, al previgente art. 183, comma 5, c.p.c., l'opposto deve chiedere, a pena di decadenza, l'autorizzazione al giudice nella prima udienza, ai sensi degli artt. 183, comma 5 e 269 comma 3, c.p.c., anche quando la relativa esigenza sia sorta dopo le difese svolte dall'opponente nella citazione (Trib. Torino, 29 marzo 2005 e Trib. Verona 19 aprile 2003).
In base ad una diversa ricostruzione, l'istanza di chiamata in causa del terzo deve essere formulata dall'opposto, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta, con contestuale richiesta di spostamento dell'udienza di prima comparizione, ai sensi dell'art. 269, comma 2, c.p.c., senza necessità di domandare l'autorizzazione alla chiamata al giudice (Trib. Catania, 10 settembre 2004). Muovendo da questa prospettiva, si è, altresì, rilevato che la richiesta di differimento dell'udienza di comparizione potrebbe interpretarsi quale istanza di autorizzazione ai sensi dell'art. 269, comma 3, c.p.c. (in arg. TEDOLDI, 792)
Il primo orientamento, che riposa sul presupposto che l'opposizione non determina alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, è stato recentemente condiviso dallaCorte di Cassazione, la quale ha affermato che ai fini della chiamata in causa del terzo da parte dell'opposto - la cui autorizzazione è subordinata alla valutazione discrezionale, da parte del giudice istruttore, che l'esigenza di estensione del contraddittorio sia effettivamente derivata dalle difese dell'opponente, convenuto in senso sostanziale - trova applicazione l'art. 269, comma 3, c.p.c. (nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149/2022), dovendosi pertanto ritenere corretta la relativa istanza avanzata nella prima udienza (Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2021, n. 25499).
Domanda riconvenzionale e divieto di mutatio libelli. L'intervento delle Sezioni Unite n. 26727/2024
È indiscusso che l'opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, possa proporre domande riconvenzionali nell'atto di opposizione. Diversamente, è stata a lungo controversa la questione relativa alla proponibilità da parte dell'opposto, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione.
In passato, un minoritario orientamento giurisprudenziale era dell'avviso che al convenuto opposto spettassero tutti i poteri che il codice di rito ricollega a tale posizione processuale, compreso quello di proporre domanda riconvenzionale, anche fuori dei casi previsti dall'art. 36 c.p.c., in presenza di un collegamento obiettivo con la domanda monitoria, tale da rendere opportuna la celebrazione di un simultaneus processus (Cass. civ., sez. un., 18 maggio 1994, n. 4837).
Al contrario, la giurisprudenza prevalente riteneva che l'opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non potesse avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2002, n. 16957; Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 1999, n. 2820; Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3254), salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall'opponente, si venisse a trovare a sua volta nella posizione di convenuto, al quale, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, non poteva essere negato il diritto di difesa mediante la proposizione di una reconventio reconventionis, purché dipendente dal titolo dedotto in causa o da quello già appartenente alla causa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cass. civ., sez. III, 5 giugno 2007, n. 13086; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2529; Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2005, n. 18786. In senso conforme, nella giurisprudenza più recente, v. Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 2019, n. 5415). Tale impostazione si fondava sul fatto che il richiamo contenuto nell'art. 645, comma 2, c.p.c. alle norme del rito ordinario di cognizione e, quindi, per quel che rileva in questa sede, al previgente art. 183 c.p.c., consentiva all'attore-opposto solo la modifica della domanda (c.d. emandatio libelli) o la proposizione di una reconventio reconventionis, non anche la formulazione di una domanda nuova (in arg. CONTE, 230 ss.). In quest'ottica, la giurisprudenza più recente ha ritenuto ammissibile la domanda nuova dell'opposto, non solo nel caso di proposizione di una domanda riconvenzionale, ma anche in presenza di eccezioni in senso stretto sollevate dall'opponente (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2021, n. 6579; Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2018, n. 16564) o di un nuovo tema di indagine introdotto nell'atto di citazione (Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 22754).
Quanto alle preclusioni, nel periodo di applicazione del previgente rito ordinario, una parte della dottrina sosteneva che, nella comparsa di risposta all'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto fosse tenuto ad esercitare le facoltà processuali che l'art. 183, comma 5, c.p.c. riconosceva all'attore nella prima udienza di trattazione. Ciò implicava che il predetto, a pena di decadenza, dovesse proporre nella comparsa le domande e le eccezioni conseguenti alle domande riconvenzionali e alle eccezioni proposte dall'opponente nell'atto di opposizione. In senso contrario, si affermava che l'opposto, analogamente all'attore nel giudizio introdotto con atto di citazione, poteva esercitare i poteri contemplati dall'art. 183, comma 5, c.p.c. alla prima udienza, non rinvenendosi un fondamento normativo che giustificasse una contrazione del regime preclusivo ordinario. Tale ricostruzione non era condivisa da chi evidenziava che la diversa scansione delle preclusioni è connaturale alla struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e, in particolare, al fatto che l'esigenza di contrastare le difese dell'opponente sorge con il deposito della comparsa di costituzione e risposta (in arg. TEDOLDI, 783 ss.).
La recente giurisprudenza di legittimità, tenendo conto degli ultimi arresti in tema di modifica della domanda nel giudizio ordinario di cognizione introdotto con citazione, ha ritenuto ammissibile la proposizione, con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata da parte dell'opposto, di una domanda nuova, diversa da quella indicata nel ricorso monitorio, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o un'eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta (Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2022, n. 9633). Tale conclusione, ad avviso della S.C., oltre a rispondere a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo, nasce dall'esigenza di riconoscere all'opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all'attore formale e sostanziale dall'art. 183 c.p.c. (secondo la previgente formulazione) (in senso conforme cfr. Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2024, n. 7592; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2023 n. 32933; Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2023, n. 27183; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2022, n. 9633; Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2021, n. 3127; Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2019, n. 4322).
Questo arresto si pone nel solco tracciato da Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310, che ha ammesso la modificazione dell'originaria domanda di pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. in pronuncia dichiarativa dell'avvenuto effetto traslativo della proprietà, sul rilievo che la modificazione della domanda consentita dall'art. 183 c.p.c. (oggi dall'art. 171-ter, comma 1, n. 1, c.p.c.) può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla «vicenda sostanziale dedotta in giudizio», non si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte e non si verifichi l'allungamento dei tempi processuali. Tali principi sono stati poi ribaditi da Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22404, che ha ritenuto ammissibile la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa formulata dall'attore in via subordinata nella prima memoria dell'art. 183, comma 6, c.p.c., in seguito all'eccezione sollevata dal convenuto della nullità del titolo contrattuale azionato in via principale, in quanto inerente alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio e connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. In sintesi, i richiamati orientamenti giurisprudenziali hanno statuito la proponibilità in corso di causa da parte dell'attore in senso sostanziale di una domanda diversa da quella iniziale, purché riguardante la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo o comunque alla stessa collegata, la quale può sostituirsi a quella iniziale (cfr. Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310 cit.) ovvero coesistere con essa in un rapporto di subordinazione (Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22404 cit.).
Attesa l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito all'applicabilità dei suddetti principi al giudizio di opposizione, la Prima sezione civile della Cassazione ha posto alle Sezioni Unite un duplice quesito: «1) se, in via generale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto»; «2) in particolare, se, ed entro quali limiti possa considerarsi ammissibile la modificazione della domanda di adempimento contrattuale avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, attraverso la proposizione di una domanda d'indennizzo per l'ingiustificato arricchimento o di una domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale» (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2023, n. 20476).
Con la sentenza Cass. civ., sez. un., 15 ottobre 2024, n. 26727, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tenendo conto della significativa evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema di ius variandi nel giudizio introdotto con l'ordinario atto introduttivo e valorizzando la circostanza che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo rappresenta un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo, hanno risolto la questione in esame affermando il principio di diritto secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è ammissibile l'introduzione da parte dell'opposto, nella comparsa di costituzione e risposta, di domande difensive alternative a quelle introdotte in via monitoria, che traggono origine dal medesimo interesse sotteso alla formulazione della originaria domanda di condanna proposta nella fase monitoria. Tenendo conto di quanto precede, i giudici di legittimità hanno ritenuto ammissibili le domande di arricchimento senza causa e di risarcimento per responsabilità precontrattuale, formulate in subordine all'ingiunzione di adempimento contrattuale, in quanto attinenti alla «medesima vicenda sostanziale» oggetto del processo.
In tal modo, i giudici di legittimità hanno riconosciuto all'opposto la medesima facoltà di modificazione della domanda riconosciuta all'attore formale e sostanziale nel giudizio ordinario di cognizione, da collegare all'identità sostanziale della vicenda, piuttosto che agli elementi identificativi della domanda, con la conseguente possibilità di "modificare" la domanda nell'accezione ampia delineata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze Cass. civ., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310 e Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22404, non ostando a tale piena equiparazione la specialità del procedimento monitorio.
La Corte ha, altresì, individuato il termine finale entro il quale il creditore opposto può esercitare il suo ius variandi, precisando che il potere di “modificare” la domanda deve essere esercitato nella comparsa di costituzione e risposta. L'irrigidimento delle cadenze preclusive gravanti sul creditore opposto, derivante dal fatto che la facoltà di modificazione della domanda è anticipata alla fase di costituzione in giudizio, scaturisce dalla peculiare struttura del giudizio di opposizione e, in particolare, dalla considerazione che l'opposto «ha già goduto di uno stadio procedurale esclusivo per avanzare una propria pretesa». Quindi, ad avviso della Corte, la peculiarità del giudizio di opposizione, sebbene non sia tale da giustificare la compressione delle facoltà difensive del creditore opposto, è tuttavia idonea a circoscrivere temporalmente il relativo esercizio, «in un'ottica di parità e in correlato riferimento al canone della correttezza processuale di cui all'art. 88, comma 1, c.p.c.» Rimane comunque ferma, secondo le S.U., la possibilità per l'opposto, qualora l'opponente si avvalga dello ius variandi posteriormente all'atto di opposizione, di proporre domande che costituiscano una manifestazione reattiva di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali, nella fase di trattazione scritta.
In definitiva, nell'attutale sistema normativo e giurisprudenziale, l'opposto, al pari di colui che agisce in via ordinaria, può proporre nella comparsa di costituzione e risposta, la quale costituisce una replica all'atto di citazione, domande alternative a quella introdotta in via monitoria, sostenute dal medesimo interesse. Diversamente, nel caso in cui l'«evoluzione difensiva dell'opponente» si sia manifestata nella prima memoria integrativa prevista dall'art. 171-ter, l'opposto potrà modificare la domanda di ingiunzione nella seconda memoria integrativa (art. 171-ter, comma 1, n. 2 c.p.c.) (IZZO, 855).
Riferimenti
CONTE, sub art. 645, in Commentario al Codice di Procedura Civile, a cura di Chiarloni, Bologna, 2012;
DE SANTIS, La modificazione della domanda nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. A margine di Cass., Sez. Un., 15 ottobre 2024, n. 26727, in judicium.it, 17 gennaio 2025;
MANDRIOLI-CARRATA, Diritto processuale civile, III, I processi speciali e le procedure alternative, Torino, 2024;
IZZO, Ampiezza e limiti dello ius variandi nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, «in stile “corsi e ricorsi”», in Foro it., 3, 2025;
VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e l’opposizione, Padova, 2013;
TEDOLDI, sub art. 645, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Milano, 2014.
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Sommario
La comparsa di costituzione e risposta dell'opposto
Domanda riconvenzionale e divieto di mutatio libelli. L'intervento delle Sezioni Unite n. 26727/2024