Il pacchetto “Omnibus”: un’analisi delle principali modifiche alla CSRD e alla CSDDD

21 Maggio 2025

Il contributo analizza il pacchetto legislativo “Omnibus”, presentato dalla Commissione europea nel febbraio 2025 con l'obiettivo di rafforzare la competitività delle imprese europee attraverso la razionalizzazione e semplificazione del quadro normativo sovranazionale in materia di sostenibilità. In particolare, l'attenzione è rivolta alle proposte di modifica della disciplina sulla rendicontazione di sostenibilità (CSRD) e sulla due diligence ambientale e sociale (CSDDD), con un focus sul rinvio dei termini di attuazione (già formalizzato con la direttiva 2025/794/Ue), nonché sulla prevista riduzione degli obblighi normativi sia sotto il profilo delle imprese interessate, sia con riguardo all'estensione e al contenuto degli adempimenti richiesti (COM(2025) 81).

Profili introduttivi: contenuti e finalità del pacchetto “Omnibus”

Il 26 febbraio 2025, la Commissione europea ha presentato il c.d. “Omnibus Package” (suddiviso in due distinte iniziative: “Omnibus I” e “Omnibus II”): un articolato pacchetto di proposte legislative finalizzate a conciliare gli ambiziosi obiettivi eurounitari sulla transizione sostenibile con l'esigenza di rafforzare la competitività del tessuto imprenditoriale europeo su scala globale.

L'iniziativa mira a semplificare e razionalizzare l'attuale quadro normativo in materia di sostenibilità e investimenti, riducendo gli oneri amministrativi a carico delle imprese operanti nel mercato unico, con un'attenzione specifica alle PMI.

In via di prima approssimazione, il pacchetto di misure interviene, per quanto più interessa in questa sede, su due aspetti centrali: da un lato, posticipa alcune scadenze relative alla rendicontazione di sostenibilità e il recepimento della recente normativa sovranazionale sulla due diligence ambientale e sociale delle imprese; dall'altro lato, rivede in modo significativo sia il perimetro soggettivo di applicazione, sia il contenuto di taluni adempimenti attualmente previsti dal vigente quadro regolatorio UE in ambito ESG.

Più specificamente, gli interventi proposti investono una pluralità di ambiti tra loro strettamente interconnessi, quali:

i)       l'informativa di sostenibilità, oggetto, da ultimo, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2022, n. 2022/2464/Ue (“Corporate Sustainability Reporting Directive” – “CSRD” ), attuata nell'ordinamento nazionale con il d.lgs. 6 settembre 2024, n. 125;

ii)      il dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, recentemente introdotto dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024, n. 2024/1760/Ue (“Corporate Sustainability Due Diligence Directive” – “CSDDD”);

iii)    la tassonomia delle attività economiche sostenibili, definita dal regolamento del Parlamento e del Consiglio del 18 giugno 2020, n. 2020/852/Ue (“Taxonomy Regulation” – “TR”);

iv)     il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, previsto dal regolamento del Parlamento e del Consiglio del 10 maggio 2023, n. 2023/956/Ue (“Carbon border adjustment mechanism” – “CBAM”);

v)      il programma di investimento (“InvestEU”), istituito dal regolamento del Parlamento e del Consiglio del 24 marzo 2021, n. 2021/523/Ue.

In particolare, l'Omnibus Package si compone, in primo luogo, di due “proposte di Direttive” volte a modificare le discipline in materia di rendicontazione di sostenibilità e di due diligence ambientale e sociale (v. infra). La Commissione, da una parte, propone un alleggerimento degli obblighi previsti dalle direttive sul reporting e sulla due diligence di sostenibilità (COM(2025) 81: “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/43/CE, 2013/34/UE, (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 per quanto riguarda taluni obblighi relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità”); dall'altra parte, prevede il rinvio di un anno per il recepimento da parte degli Stati membri della CSDDD e di due anni per l'applicazione degli obblighi di reporting ESG per le grandi imprese che non hanno ancora avviato la rendicontazione e per le PMI quotate (COM(2025) 80: “Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio che modifica le direttive (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 per quanto riguarda le date a decorrere dalle quali gli Stati membri devono applicare taluni obblighi relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità”). Quest'ultima “proposta di Direttiva” mira a consentire un approccio armonizzato da parte dei legislatori nazionali sull'intero pacchetto di riforme, anche in vista di eventuali revisioni degli obblighi stabiliti e del perimetro soggettivo delle imprese coinvolte. In tale prospettiva, la proroga rappresenta, dunque, una misura funzionale a evitare l'adeguamento a requisiti che potrebbero essere successivamente abrogati o ridimensionati.

Considerata la rilevanza strategica dell'intervento, la proposta di differimento dei termini previsti ha seguito un iter legislativo particolarmente celere: è stata approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio rispettivamente il 1° aprile e il 14 aprile 2025, per poi essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea il 16 aprile successivo. Pertanto, nel prosieguo, ci si riferirà a tale atto come direttiva n. 2025/794/Ue (nota anche come direttiva “stop-the-clock” ).

In secondo luogo, il pacchetto “Omnibus” comprende una versione preliminare di atto legislativo delegato (“Draft delegated regulation” – Ares(2025)1546172), attualmente in fase di consultazione pubblica, con cui si intende intervenire su talune disposizioni del Climate Delegated Act (regolamento delegato della Commissione del 4 giugno 2021, n. 2021/2139/Ue), del Taxonomy Disclosure Delegated Act (regolamento delegato della Commissione del 6 luglio, n. 2021/2178/Ue) e del più recente Environmental Delegated Act (regolamento delegato della Commissione del 27 giugno 2023, n. 2023/2486/Ue). La bozza presentata introduce modifiche finalizzate, in estrema sintesi, a limitare gli obblighi di rendicontazione alle sole grandi imprese (in linea con gli emendamenti proposti sulla CSRD), semplificare i modelli di reporting e rivedere alcuni criteri relativi al principio del Do No Significant Harm (DNSH) e del Green Asset Ratio (GAR) per le banche.

L'Omnibus Package contempla, infine, due proposte di regolamento.

La prima (COM(2025) 87) concerne la razionalizzazione del menzionato meccanismo “CBAM”, introdotto nel 2023 al fine di ridurre le emissioni incorporate nelle merci importate da Paesi Terzi e garantire condizioni di concorrenza più eque tra i produttori UE ed extra-UE. Le modifiche mirano a introdurre una soglia de minimis annua per esentare i piccoli importatori e a semplificare gli obblighi amministrativi e di rendicontazione per le imprese soggette al regolamento. La seconda proposta di regolamento (COM(2025) 84), parte del pacchetto “Omnibus II”, modifica il programma InvestEu allo scopo di rafforzarne la capacità operativa, generare nuove risorse e semplificare le procedure a favore dei partner esecutivi, intermediari e destinatari finali (in particolare le PMI).

Nel complesso, le iniziative promosse si inseriscono nel solco tracciato dal “Report Draghi” del 9 settembre 2024 e dalla “Competitiveness Compass” della Commissione del 29 gennaio 2025; questi ultimi documenti definiscono una chiara strategia tesa a ridurre significativamente gli oneri burocratici e i costi di compliance per le imprese europee al fine di migliorarne le condizioni operative e accrescerne la capacità competitiva nel mercato interno e internazionale. L'esigenza di una semplificazione di ampia portata si manifesta con particolare urgenza in un contesto geopolitico in rapida evoluzione, segnato dalle conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina – che ha determinato un significativo incremento dei costi energetici per le imprese dell'UE – nonché dal recente intensificarsi delle tensioni commerciali a livello globale. A ciò si aggiunge l'asimmetria normativa rispetto ad altri ordinamenti di rilievo – quali Stati Uniti, Regno Unito, Cina e India –, ove sono adottati approcci meno rigidi in materia di rendicontazione e due diligence di sostenibilità, con il rischio di creare distorsioni competitive, incentivare fenomeni di delocalizzazione produttiva e generare effetti negativi sia sul piano economico, sia su quello ambientale e sociale.  Secondo le finalità dichiarate dalla Commissione, le modifiche proposte rappresenterebbero un passaggio strategico fondamentale per stimolare la creazione di nuova occupazione, attrarre capitali e mobilitare le risorse necessarie a sostenere la transizione verso un'economia climaticamente neutra, in linea con gli ambiziosi obiettivi delineati dal Green Deal europeo e dal Piano d'azione per finanziare la crescita sostenibile. Invero, tale approccio, nel garantire una maggiore proporzionalità e certezza normativa degli obblighi imposti, contribuirebbe a consolidare, tra l'altro, la resilienza e la competitività del tessuto economico europeo nel lungo periodo, promuovendo al contempo una più diffusa (e consapevole) adesione alle finalità ambientali e sociali perseguite a livello unionale.

Tanto premesso, il presente contributo analizza il contenuto degli interventi compresi nel pacchetto c.d. “Omnibus I”, con specifico riferimento alle principali modifiche avanzate in materia di rendicontazione di sostenibilità (CSRD) e di due diligence sociale e ambientale (CSDDD), esaminandone gli effetti tanto sotto il profilo del differimento dei termini di attuazione ( COM(2025) 80, ora direttiva n. 2025/794/Ue), quanto sotto l'aspetto della semplificazione e riduzione degli obblighi ivi stabiliti (COM(2025) 81)

Le modifiche alla Corporate Sustainability Reporting Directive e il rinvio degli obblighi di rendicontazione

Come noto, la disciplina sulla rendicontazione societaria di sostenibilità ha subito una profonda revisione a seguito dell'adozione, nel dicembre del 2022, della menzionata Corporate Sustainability Reporting Directive. Nell'ordinamento italiano, tale direttiva è stata recepita con il d.lgs. 6 settembre 2024, n. 125, che ha contestualmente abrogato il d.lgs. 30 dicembre 2016, n. 254, attuativo della precedente direttiva del 22 ottobre 2014 n. 2014/95/Ue (“Non Financial Reporting Directive” – NFRD). Quest'ultima aveva rappresentato, fino ad allora, il principale riferimento normativo in materia di “comunicazione di informazioni non finanziarie”.

Rispetto al quadro delineato dalla NFDR, la CSRD introduce un rilevante ampliamento della platea dei soggetti destinatari degli obblighi di disclosure ESG. Invero, accanto agli “enti di interesse pubblico” già contemplati dalla normativa previgente, rientrano ora tutte le imprese di grandi dimensioni, le quali cioè abbiano superato, alla data di chiusa del bilancio di esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: i) venti milioni di totale dell'attivo; ii) quaranta milioni di fatturato; iii) duecentocinquanta dipendenti occupati [i parametri dimensionali per l'individuazione delle grandi imprese sono stati aggiornati dalla direttiva delegata della Commissione del 17 ottobre 2023, n. 2023/2775/Ue, al fine di tenere conto dell'inflazione e dell'evoluzione economica. Le nuove soglie sono ora: i) 25 milioni di euro per il totale dell'attivo patrimoniale (anziché 20 milioni); ii) 50 milioni di euro di fatturato netto (anziché 40 milioni); il limite relativo ai dipendenti (250 unità) resta, invece, invariato]. Le nuove disposizioni si applicano altresì alle società poste al vertice di gruppi di grandi dimensioni e a tutti gli emittenti quotati nei mercati regolamentati dell'UE, comprese le PMI.

Inoltre, gli obblighi di informativa introdotti dalla CSRD si articolano in tre fasi temporali, con un'attuazione progressiva in base alla dimensione dell'impresa coinvolta.

Nella prima fase, i grandi “enti di interesse pubblico” – già soggetti alla disciplina della NFRD – con oltre cinquecento dipendenti devono rendicontare per la prima volta nel 2025 i dati relativi all'esercizio 2024 (c.d. “first wave”). La seconda fase riguarda le altre imprese di grandi dimensioni che dovranno comunicare le informazioni di sostenibilità a partire dal 2026, con riferimento all'esercizio 2025 (c.d. “second wave”). Infine, nella terza fase, le PMI quotate nei mercati regolamentati dell'UE saranno tenute a rendicontare dal 2027 le informazioni relative all'esercizio 2026, con la possibilità di beneficiare di una deroga per gli esercizi 2026 e 2027 (c.d. “third wave”). È inoltre previsto che, a partire dal 2029, saranno soggette agli obblighi di rendicontazione societaria di sostenibilità anche alcune imprese di Paesi terzi che operano nel territorio dell'Unione. In particolare, l'obbligo riguarderà quelle imprese che generano un fatturato annuo superiore a centocinquanta milioni di euro all'interno dell'UE o che dispongano di una controllata soggetta agli obblighi previsti dalla CSRD o di una succursale con almeno quaranta milioni di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni.

Tanto premesso, le principali modifiche previste dalla proposta di direttiva sulla semplificazione ( COM(2025) 81 ) e dalla direttiva n. 2025/794/Ue sul posticipo dei termini di attuazione, entrambe – come ricordato – parte del pacchetto “Omnibus I”, si dispiegano lungo tre direttrici fondamentali.

In primo luogo, nel quadro del più ampio obiettivo di semplificare la normativa vigente in materia di sostenibilità e ridurre i relativi oneri, soprattutto per le piccole e medie imprese, il legislatore sovranazionale propone di restringere il perimetro di applicazione della disciplina, escludendo, da un lato, le PMI quotate e riservando, dall'altro lato, gli obblighi di rendicontazione ESG alle sole grandi imprese che superano la soglia di mille dipendenti occupati durante l'esercizio e, alternativamente, cinquanta milioni di euro di fatturato o venticinque milioni di euro di totale dello stato patrimoniale. Coerentemente, per le imprese madri extra-UE la soglia dei ricavi netti a livello consolidato sarebbe innalzata da centocinquanta milioni a quattrocentocinquanta milioni di euro e per le loro succursali da quaranta milioni a cinquanta milioni di euro.

A seguito di tale intervento, si stima una riduzione di circa l'80% del numero complessivo di imprese soggette agli obblighi di rendicontazione stabiliti, allo stato, dalla CSRD. Una simile rimodulazione del perimetro soggettivo contribuirebbe, peraltro, a un allineamento con le soglie dimensionali stabilite dalla Corporate Sustainability Due Diligence Directive, promuovendo così una maggiore convergenza tra le diverse normative europee in materia di sostenibilità.

In secondo luogo, la Commissione si impegna ad adottare un atto delegato per introdurre uno standard di rendicontazione volontario, basato sul Voluntary Sustainability Reporting Standard for non-listed SMEs di recente approvato dall'EFRAG. In particolare, l'intervento sarà rivolto alle società che, in seguito della modifica dell'ambito di applicazione della CSRD, non saranno più tenute a rispettarne gli obblighi. Il nuovo standard avrà anche la funzione di “tutelare” le imprese con meno di mille dipendenti, che operano all'interno delle catene del valore di enti soggetti alla CSRD, limitando il tipo e la quantità di informazioni che questi ultimi potranno legittimamente richiedere loro. Nella stessa direzione, la Commissione ha inoltre annunciato l'intenzione di rivedere gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), al fine di renderli più essenziali, proporzionati alle capacità delle imprese e coerenti con le loro esigenze operative, riducendo così gli oneri informativi che gravano su di esse.

In terzo luogo, la menzionata direttiva n. 2025/794/Ue (“stop-the-clock”) prevede il rinvio di due anni dell'applicazione degli obblighi di rendicontazione per le grandi imprese che non hanno ancora iniziato l'implementazione della CSRD (c.d. “second wave”) e per le PMI quotate (c.d. “third wave”), così da consentire al legislatore europeo di completare l'iter di approvazione delle modifiche sostanziali proposte. Come ricordato, la ratio del rinvio è proprio quella di evitare che alcune imprese – obbligate allo stato a rendicontare le informazioni relative agli esercizi 2025 e 2026 – vengano successivamente esentate in caso di approvazione della seconda proposta di direttiva (COM(2025)81), con il conseguente rischio di incorrere in costi che avrebbero potuto essere ragionevolmente evitati.

Tale evoluzione normativa è destinata a produrre rilevanti effetti anche sull'ordinamento interno, in particolare sulla disciplina introdotta dal d.lgs. n. 125/2024, che, come ricordato, ha recentemente recepito in Italia la direttiva sul corporate sustainability reporting.

Alla luce delle proposte contenute nel pacchetto Omnibus I – e, in particolare, del differimento dei termini di attuazione e della significativa revisione del perimetro soggettivo di applicazione – diverse imprese italiane che, secondo la disciplina attuale, risultano incluse tra i soggetti obbligati alla rendicontazione potrebbero, in prospettiva, esserne escluse.

In quest'ottica, la normativa nazionale, se non tempestivamente aggiornata e armonizzata, potrebbe generare incertezza applicativa e gravare le imprese coinvolte con obblighi che, sul piano sovranazionale, risulterebbero già superati o rinviati.

La revisione della Corporate Sustainability Due Diligence Directive tra rimodulazione degli obblighi e nuovi termini di attuazione

Ancora più rilevanti, per profondità e impatto sistematico, appaiono le modifiche che sono state avanzate in relazione alla Corporate Sustainability Due Diligence Directive. Sorprende, invero, che a neanche un anno dalla definitiva adozione della Direttiva da parte del legislatore sovranazionale (e ancor prima che ne siano avviate le fasi di recepimento e attuazione negli ordinamenti nazionali) si prospetti l'esigenza di intervenire nuovamente, apportando modifiche che intendono incidere sia sull'ambito soggettivo, sia su quello oggettivo di applicazione della direttiva. Tale circostanza non solo solleva interrogativi sull'effettiva stabilità e prevedibilità dell'impianto normativo UE in materia di sostenibilità, ma testimonia altresì la delicatezza dell'equilibrio politico e tecnico che governa la regolazione di una materia tanto complessa quanto strategica per la transizione socio-ecologica dell'economia europea.

Limitandoci, in questa sede, all'analisi delle principali novità proposte, si segnala innanzitutto il differimento dei termini di attuazione previsto dalla direttiva n. 2025/794/Ue, che proroga di un anno il termine per la trasposizione nazionale della CSDDD, posticipandolo dal 26 luglio 2026 al 26 luglio 2027. Inoltre, l'applicazione degli obblighi previsti dalla direttiva sulla due diligence ambientale e socialedecorrerà, in una prima fase, a partire dal 26 luglio 2028 per le imprese aventi sede in uno Stato membro dell'Unione che, nell'ultimo esercizio finanziario, abbiano impiegato in media più di tremila dipendenti e realizzato ricavi netti globali superiori a novecento milioni di euro. Alla stessa data si applicheranno gli obblighi anche alle imprese di Paesi terzi che abbiano generato, all'interno dell'Unione, ricavi netti superiori alla medesima soglia, indipendentemente dal numero di dipendenti impiegati. Per tutte le altre imprese ricomprese nel perimetro di applicazione della direttiva, l'entrata in vigore degli obblighi di due diligence ai fini della sostenibilità avrà quale nuovo orizzonte temporale il 26 luglio 2029.

Per quanto concerne le modifiche di natura sostanziale che il legislatore intende apportare alla CSDDD tramite la seconda proposta di direttiva (COM(2025) 81), una delle innovazioni di maggior rilievo si sostanzia nella ridefinizione dell'ambito entro cui le imprese sono tenute a svolgere l'attività di due diligence, come previsto dall'art. 8, par. 2, lettera b), della direttiva. In particolare, l'attività di individuazione e valutazione degli impatti negativi (siano essi effettivi o potenziali) verrebbe ora limitata ai soli partner commerciali diretti, e soltanto nei settori a maggior rischio e con impatti potenzialmente più gravi. Tuttavia, l'obbligo di effettuare una «valutazione approfondita» potrà estendersi anche ai partner indiretti qualora l'impresa disponga di informazioni attendibili che attestino l'esistenza di violazioni già in atto, oppure che evidenzino un rischio concreto e attuale che tali violazioni possano verificarsi; lo stesso obbligo sussiste anche laddove la natura indiretta del rapporto con il fornitore risulti artificiosamente costruita al fine di eludere l'applicazione della normativa e di occultare condotte illecite. In linea con questo ridimensionamento, viene altresì modificata la frequenza del monitoraggio sui fornitori: i controlli, originariamente previsti su base annuale, saranno ora richiesti solo ogni cinque anni, salvo casi specifici che giustifichino una maggiore intensità.  Inoltre, al fine di garantire un coordinamento efficace tra la CSDDD e le modifiche che la Commissione vuole introdurre per la CSRD (v. supra), la proposta di direttiva in commento stabilisce che, nella mappatura dei rischi lungo la catena del valore, le imprese non possano richiedere ai partner commerciali diretti con meno di cinquecento dipendenti informazioni sulla sostenibilità ulteriori rispetto a quelle previste dallo standard volontario di rendicontazione per le PMI (VSME), salvo che tali informazioni risultino strettamente necessarie e non possano essere ragionevolmente ottenute in altro modo.

Un'ulteriore modifica proposta concerne l'eliminazione, agli artt. 10, par. 6 e 11, par. 7, della CSDDD, della previsione secondo cui la cessazione del rapporto d'affari costituisce, in assenza di alternative efficaci, la misura da adottare per prevenire un impatto negativo particolarmente grave, ovvero per attenuare (o rimediare a) gli effetti già prodotti. La nuova formulazione contempla, invece, la sola sospensione del contratto o della relazione commerciale quale rimedio di ultima istanza. Anche in quest'ultimo caso, comunque, prima di procedere la società sarà tenuta a valutare se gli effetti negativi derivanti dalla sospensione possano essere ragionevolmente considerati più gravi rispetto all'impatto che non è stato possibile prevenire, mitigare o correggere.

Merita altresì evidenziare che tra le modifiche proposte dalla Commissione figura un significativo ridimensionamento sia della nozione che del ruolo attribuito ai «portatori di interesse». Da un lato, l'art. 3, par. 1, lett. n), CSDDD viene riformulato in modo da escludere espressamente dalla definizione soggetti quali i «consumatori», i «gruppi di individui» e, in particolare, le «istituzioni nazionali in materia di diritti ambientali umani e ambiente». Tale revisione si pone in linea con l'intento di eliminare, all'art. 29, par. 3, CSDDD, la previsione che riconosce la legittimazione ad agire, in rappresentanza della parte lesa, a sindacati, organizzazioni non governative e istituzioni nazionali competenti. Dall'altro lato, la proposta di direttiva restringe la platea dei soggetti con cui deve essere istaurato un dialogo nel contesto della due diligence, precisando che tale confronto debba avvenire esclusivamente con i portatori di interesse «pertinenti» – requisito che, sebbene implicitamente presupposto, viene ora esplicitato – ed escludendo, inoltre, il dovere di consultazione nelle fasi previste alle lettere c) e d) dell'art. 13, ossia in occasione della decisione di cessare o sospendere un rapporto d'affari (artt. 10, par. 6 e 11, par. 7, CSDDD) e in fase di adozione di misure adeguate per fornire riparazione agli impatti negativi (art. 12 CSDDD).

Infine, nella stessa prospettiva, assume particolare rilievo la proposta di elidere il paragrafo 7 del menzionato art. 29 della direttiva in commento, ove è imposto agli Stati membri di qualificare le disposizioni nazionali di attuazione in materia di responsabilità civile come «norme di applicazione necessaria». Si tratta di una modifica di notevole impatto, soprattutto se letta alla luce dell'art. 4 del Regolamento n. 864/2007/CE (“Regolamento Roma II”), che stabilisce, quale criterio generale per la determinazione della legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, quello del “locus commissi delicti”. Sebbene il Regolamento preveda alcune deroghe [ad esempio, per gli illeciti ambientali (art. 7) o nei casi in cui sussista un collegamento manifestamente più stretto con un diverso ordinamento (art. 4, par. 3)], si tratta di ipotesi residuali, applicabili solo in presenza di circostanze eccezionali, spesso caratterizzate da profili di incertezza. In tale contesto, la qualificazione delle norme di recepimento della CSDDD come norme di applicazione necessaria consentirebbe, ai sensi dell'art. 16 del Regolamento, la loro operatività indipendentemente dalla legge altrimenti applicabile, assicurando così una più efficace tutela dei diritti riconosciuti dalla direttiva, anche nei contesti transnazionali. Diversamente, l'eliminazione di tale previsione rischia di compromettere l'effettività della responsabilità civile per la violazione degli obblighi di due diligence proprio nei casi – frequentemente riferibili a contesti extra-UE – per i quali tale responsabilità è stata concepita.

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