Patti prematrimoniali e postmatrimoniali

28 Maggio 2025

Dall' analisi sviluppata dall'autrice emerge l'importanza degli accordi prematrimoniali al fine di prevenire controversie coniugali future, l'auspicio è quello di un intervento del legislatore attraverso una disciplina ad hoc che regolamenti suddetti accordi.

I patti prematrimoniali. Inquadramento

Gli accordi prematrimoniali, o prenuptial agreements, sono contratti mediante i quali i futuri coniugi regolamentano, prima delle nozze, la loro situazione personale e patrimoniale nell’eventualità di una futura e irreparabile crisi coniugale (separazione o divorzio).

Nei Paesi a tradizione anglosassone, come anticipato, tali tipologie di accordi sono una realtà pressoché consolidata (in particolare, negli Stati Uniti e in Australia esistono i c.d. prenuptial agreements, finalizzati a regolamentare già prima del matrimonio le eventuali reciproche concessioni che i coniugi si dovranno fare una volta venuta meno l’unione matrimoniale; sono altresì diffusi anche in alcuni ordinamenti Europei (in Germania, ad esempio, esistono i c.d. ehevertrag, nei quali i coniugi possono prendere decisioni comuni in merito alla quantificazione dell’assegno divorzile o alla variazione dell’importo del mantenimento). Tali accordi in questi Paesi sono ritenuti validi e vengono incentivati da una mentalità liberale in materia di disposizione di diritti privati in quanto permettono di snellire il sempre crescente carico giudiziale conseguente alle separazioni.

In Italia, diversamente, tali accordi sono ritenuti nulli in quanto vertenti su materia indisponibile.

L’espressione “patti prematrimoniali”, più in particolare, viene utilizzata:

a) sia per indicare tutte quelle intese preventive (ovvero antecedenti) la crisi coniugale (c.d. “patti in vista della separazione o del divorzio”) con cui i nubendi prima delle nozze, ovvero i coniugi durante la convivenza matrimoniale, predeterminano le condizioni di un futuro divorzio, regolando i loro rapporti patrimoniali per il «tempo della crisi coniugale» (similmente alle figure dei prenuptial agreements o dei postnuptial agreements in contemplation of divorce di origine anglosassone)

b) sia per indicare anche gli accordi stipulati in occasione della separazione personale consensuale, oppure tra la separazione e il divorzio (e, dunque, in un momento in cui è già esplosa la crisi coniugale), con i quali i coniugi intendono prestabilire le condizioni del futuro (ma ormai probabile e prossimo) divorzio.

Possono, pertanto, annoverarsi in tale categoria anche tutte le intese raggiunge dalle parti non solo prima di sposarsi ma anche quando hanno già contratto matrimonio.

Infatti, la finalità resta sempre la medesima ovvero quella di:

- evitare tutte le difficoltà legate alla fase patologica dello stesso, nel quale è sicuramente più difficile e complesso addivenire un accordo in grado di contemperare le esigenze di entrambi i partner.

- prevenire, dunque, la lite giudiziaria in merito ai diritti patrimoniali a ciascuno spettanti in ragione dello scioglimento o cessazione degli effettivi civili del matrimonio, favorendo una «diminuzione della conflittualità tra i coniugi, i quali perverrebbero alla separazione e al divorzio più agevolmente», nonché una «riduzione dei costi della separazione e del divorzio, con conseguente alleggerimento del carico giudiziario» (Cfr. A. Gorgoni, Accordi in funzione del divorzio tra autonomia e limiti, in Pers. Merc., 2018, 4, p. 256)

Nella prassi l’espressione «patti prematrimoniali» non richiama, dunque, necessariamente solo gli accordi posti in essere prima del matrimonio posto che la loro caratteristica è invece quella di una definizione in via preventiva delle condizioni «di dare ed avere» tra i coniugi, in prospettiva della fine del loro rapporto.

Un accordo prematrimoniale è infatti volto a definire e regolare aspetti finanziari, patrimoniali e persino successori, consentendo ad entrambi i componenti della coppia di stabilire con grande anticipo come verrebbero divisi i beni e le risorse nel caso in cui il rapporto coniugale dovesse interrompersi.

Questo può includere sia la spartizione dei beni e degli immobili che vengono acquisiti durante il matrimonio, la gestione delle proprietà personali, l'assegnazione di responsabilità debitorie e questioni finanziarie di diverso genere oltre al mantenimento economico dei coniugi o dei figli.

I patti prematrimoniali rappresentano in Italia un istituto di sperimentazione giurisprudenziale e dottrinale.

Non esiste, infatti, nel nostro ordinamento una legge che li disciplini e il codice civile li esclude espressamente nonostante in più occasioni il legislatore (da ultimo la proposta di legge n°244 presentata in data 23 marzo 2018) abbia intrapreso l'iter necessario per introdurre nel nostro ordinamento una disciplina nazionale relativa alle convenzioni prematrimoniale al fine di regolare preventivamente le conseguenze (personali e patrimoniali) di un conflitto coniugale.

La nullità dei patti prematrimoniali. La posizione della giurisprudenza prevalente

Nell'ordinamento giuridico italiano non esiste una disciplina espressa, che vieti o che, al contrario, ammetta tale figura giuridica.

La giurisprudenza maggioritaria ha sempre, sino ad oggi, sostenuto la nullità non solo dei patti in vista della crisi del matrimonio (c.d. prenuptial agreement — postnuptial agreement) ma anche dei patti in vista del divorzio e, in particolare, degli accordi con cui i coniugi, al momento della separazione, determinano gli effetti economici del futuro divorzio (da ultimo cfr. Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 13 aprile 2022, n. 11923; Cass. civ. 26 aprile 2021, n. 11012; Cass. 30 gennaio 2017, n. 2224; Cass. 25 gennaio 2012, n. 1084; Cass. 28 gennaio 2008, n. 1758Cass. 5 marzo 2006, n. 5302Cass. 11 giugno 1981, n. 3777; Cass. civ. 11 giugno 1981, n. 3777; Cass. civ. 20 maggio 1985, n. 3080; Cass. civ. 6 dicembre 1991, n. 13128; Cass. civ. 1 marzo 1991, n. 2180; Cass. civ. 4 giugno 1992, n. 6857)

Questo tipo di accordi sono considerati in contrasto sia con la previsione dell'articolo 160 c.c., secondo cui gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio, sia col principio dell'indisponibilità dei diritti nascenti dal matrimonio.

I patti in vista del divorzio costituiscono una inammissibile deroga ai doveri coniugali derivanti dal matrimonio, in particolare all'obbligo di solidarietà economica tra i coniugi.

Quindi un accordo prematrimoniale sul mantenimento non è considerato lecito, perché in qualche modo (esplicitamente o implicitamente) falserebbe o limiterebbe a priori la libertà di difendersi in giudizio di divorzio, compromettendo un obbiettivo cosiddetto d'ordine pubblico, come la tutela dell'istituto della famiglia (Cfr. Cass. civ. 3777/1981).

L'art. 160 c.c. rappresenta per l'autonomia dei coniugi un limite invalicabile per quanto concerne l'indisponibilità degli status familiari, l'inderogabilità dei diritti ad essi connessi (si pensi al diritto agli alimenti o al dovere di assistenza morale e materiale ex art. 143 c.c.) e la salvaguardia dell'interesse superiore dei figli minori. In altre parole, in virtù dell'art. 160 c.c. i diritti e i doveri derivanti per legge dal matrimonio acquisiscono una valenza pubblicistica sottratta alla libera negoziabilità delle parti.

Eterogenee sono state le argomentazioni esposte da dottrina e giurisprudenza a sostegno della nullità dei patti in vista del divorzio:

a) Quella più pregnante fa perno sul contrasto di detti accordi con l'art. 143 c.c. e, dunque, indirettamente, con l'art. 160 c.c., rilevando che i patti prematrimoniali costituiscono una inammissibile deroga ai doveri coniugali sorti dal matrimonio, in particolare all'obbligo di solidarietà economica (cfr. Ferrando G., Il Matrimonio, in Tratt. dir. civ. comm., Cicu A., Messineo F. (diretto da), continuato da Mengoni, VI, 1, Giuffrè, 2002, 125; Arrigo T., L'assegno di separazione e l'assegno di divorzio, in Separazione e divorzio, diretto da Ferrando G., I, 2003, 726).

Gli accordi con i quali i coniugi, in sede di separazione, stabiliscono pattuizioni di contenuto patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono ritenuti invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale, espresso dall'articolo 160 del Codice civile, di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale (Cfr. Cass. 3' gennaio 2017, n. 2224; Cass. civ., 10 marzo 2006, n. 5302; Cass. civ., 21 febbraio 2008, n. 4424; Cass. civ., 11012/2021).

La giurisprudenza chiarisce infatti che di tali accordi non può tenersi conto, "non solo quando limitino o addirittura escludono il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le esigenze della vita - ma altresì - quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una preventiva pattuizione, specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio, potrebbe determinare il consenso a porre fine agli effetti civili del matrimonio". (Cfr. Cass. n. 2224/2017; Cass. civ., 26 aprile 2021, n. 11012.).

Si ritiene in virtù dell'art. 160 c.c., che i diritti e i doveri derivanti per legge dal matrimonio abbiano una valenza pubblicistica sottratta, pertanto, alla libera negoziabilità delle parti.

Rispetto alla matrice pubblicistica dello status coniugale si consideri che gli accordi di separazione che i coniugi sono autorizzati a sottoscrivere in sede di separazione consensuale ex art. 158 c.c. sono sottoposti alla necessaria omologazione del Tribunale, che ne valuta la rispondenza ad interessi meritevoli di tutela giuridica e al migliore interesse della prole.

Parte della giurisprudenza ha poi esposto che la nullità di detti accordi (tipo quelli raggiunti in sede di separazione aventi ad oggetto un eventuale assegno divorzile) non sia assoluta ma relativa potendo essere fatta valere solo dal coniuge che avrebbe diritto a detto assegno e i cui diritti siano stati lesi dall'accordo concluso in sede di separazione (cfr. Cass. civ., 14 giugno 2000, n. 8109 e Cass. civ., 21 febbraio 2001, n. 2492).

b) È stato inoltre esposto che la nullità dei patti in questione sarebbe diretta conseguenza della natura assistenziale dell'assegno di divorzio (Ferrando G., Le conseguenze patrimoniali del divorzio tra autonomia e tutela, in Dir. fam. pers., 1998, 722 ss.) previsto a tutela del coniuge più debole, che rende indisponibile il diritto a richiederlo.

A precludere il riconoscimento di questo tipo di accordi è dunque l'impostazione conservatrice della Corte di cassazione che, sul punto, ha sancito la nullità dei patti prematrimoniali per illiceità della causa, stante la loro incompatibilità con l'indisponibilità dello status di coniuge e con il diritto all'assegno divorzile, il quale ha natura assistenziale (cfr. Cass. civ. n. 3777/1981 e Cass. civ., n. 17634/2007; Cass., sez. I, sent. n. 1758/2008, Cass. civ. ord. 26 aprile 2021 n. 11012).

L'illiceità della causa degli accordi in vista del divorzio è ricondotta al fatto che si sostanzierebbe nella mercificazione dello status di coniuge, che è, invece, indisponibile (cfr. Gabrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell'orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Riv. dir. civ., I, 1996; Sacco, Il contratto, Torino, 1975).

Il diritto all'assegno divorzile è indisponibile e può essere pertanto valutato solo in sede di divorzio, non prima: solo nel momento del divorzio, infatti, il giudice potrà vagliare se esistano o meno i presupposti per l'attribuzione dell'assegno e per la determinazione del relativo importo.

Si consideri, inoltre, che gli effetti del matrimonio sono regolati dall'art. 160 c.c. che impedisce ai coniugi di derogare ai diritti e ai doveri che derivano dal matrimonio.

Gli effetti del divorzio sono, seppure indirettamente, effetti del matrimonio: quindi i coniugi non possono validamente stipulare un patto che abbia ad oggetto la sussistenza e la misura di un futuro assegno divorzile

Tuttavia se è da considerarsi nullo, con tutta evidenza, quell'accordo che preventivamente stabilisca una rinuncia all'assegno divorzile, o comporti un'accettazione per un importo da non considerarsi congruo rispetto alla reali esigenze, allo stesso modo nullo sarà anche quell'accordo preventivo che disponga a vantaggio del coniuge che ne avrebbe diritto, un assegno avente ad oggetto un'ingente somma, anche maggiore rispetto alle reali esigenze, in quanto questo potrebbe essere il modo con cui il coniuge economicamente più forte potrebbe condizionare la volontà alla non opposizione allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, da parte dell'altro. E tale volontà, per il nostro ordinamento, non può e non deve essere condizionata stante l'indisponibilità dello status.

c) Altri autori nel perorare la tesi dell'invalidità di tali accordi hanno fatto riferimento alla disciplina della legge sul divorzio che regola la c.d. una tantum, ossia l'accordo con cui i coniugi stabiliscono che la corresponsione del mantenimento avvenga in un'unica soluzione ex art. 5 comma 8 l. n. 898/1970 (Guarini M., La cassazione conferma la nullità dei “patti” anteriori al divorzio, nota in Giust. civ., 2001, I, 457 ss.; Gabrielli G., Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa dell'orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Riv. dir. civ., 1996, 700).

La disposizione dell'art. 5, comma 8, della legge 898/1970 non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio dal momento che prevede che tale accordo debba avvenire contestualmente al divorzio, dunque, non precedentemente a esso, e, soprattutto, che debba superare il vaglio di equità del Tribunale. Da ciò discenderebbe la nullità di tutti gli accordi patrimoniali in vista del divorzio che non rispettino tali garanzie (Cfr. Cass., 11 giugno 1981, n. 3777) ovvero la necessaria valutazione giudiziale circa l'equità della soluzione proposta dalla coppia ormai prossima allo scioglimento definitivo.

Le legge prevede del resto che tale accordo debba avvenire contestualmente al divorzio, dunque, non precedentemente a esso, e, soprattutto, che debba superare il vaglio di equità del Tribunale.

d) L'invalidità di tali accordi è poi stata ritenuta da alcuni autori strettamente connessa anche a una questione culturale. Le regole che disciplinano la famiglia sono considerate, nella nostra tradizione giuridica, “indisponibili”: gli effetti del matrimonio non sono modificabili dagli sposi a loro piacimento. Se si riconoscesse la validità incondizionata dei patti prematrimoniali, la parte più debole potrebbe essere costretta ad accettare un accordo iniquo in un momento molto delicato come quello che precede il matrimonio.

La giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. VI-1, 14 aprile 2022, n. 11923) e la dottrina maggioritaria sono concordi, quindi, nel ritenere tali contratti nulli per illiceità della causa, avendo sempre l'effetto e lo scopo di condizionare il comportamento processuale delle parti in un giudizio concernente uno status, in un campo in cui la libertà di scelta e il diritto di difesa devono essere indeclinabilmente garantiti (cfr. Cass. civ., 11 agosto 1992, n. 9494, Giurisprudenza Italiana, n. 6, 1993, p. 11318, con nota di de MAre, C.; Cass. civ., 28 ottobre 1994, n. 8912, Famiglia e Diritto, n. 1, 1995, p. 14, con nota di UDA, g.)

Esistono, tuttavia, orientamenti (sia pur minoritari) che hanno ritenuto che non possa escludersi tout court la validità dei patti in vista del divorzio (cfr. Oberto, I contratti della crisi coniugale, Giuffrè, Milano, 1999)

Ciò in quanto:

- tali accordi non implicherebbero una mercificazione dello status poiché il divorzio, nel nostro ordinamento, prescinde dal consenso del marito o della moglie e costituisce, al contrario, un diritto (potestativo) esercitabile liberamente da ciascuno dei due coniugi.

- la pattuizione delle condizioni patrimoniali in vista del divorzio non incide sui futuri comportamenti processuali dei coniugi, posto che sussiste una notevole differenza tra « porre a base del sinallagma l'impegno sullo status e stabilire le mere conseguenze economiche dell'eventuale mutamento di status » (Cfr. Trib. Torino, 20 aprile 2012 ined. dove nel caso affrontato le parti, pochi mesi prima della pronuncia di separazione « a conclusioni congiunte », avevano convenuto che l'erogazione dell'importo a titolo di assegno di mantenimento a carico del marito sarebbe venuta a cessare all'atto dell'inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli effetti civili del matrimonio, con impegno della moglie a « nulla pretender[e] [dal marito], né a titolo di una tantum né di mantenimento ». In sede di udienza presidenziale di divorzio la suddetta intesa è stata ritenuta valida e vincolante, con conseguente rigetto della domanda della moglie volta ad ottenere un assegno)

e) l'ordinamento consente di dedurre in contratto la prestazione di cose future (art. 1348 c.c.), quale potrebbe configurarsi il diritto all'assegno.

Casistica

Venendo alla casistica sono dunque per esempio ritenuti nulli e/o invalidi gli accordi prematrimoniali:

- che prevedono l'impegno di un coniuge a favore dell'altro coniuge a mantenere lo status di coniuge, vale a dire a non domandare il divorzio. Del pari, è inammissibile la pattuizione di una “clausola penale” vale a dire la previsione a carico del coniuge che domandi la separazione o il divorzio, di una determinata prestazione patrimoniale a favore dell'altro coniuge dissenziente, in quanto la clausola penale indirettamente rafforzerebbe l'impegno illecito a non porre fine al rapporto matrimoniale. Ciò in quanto le controversie su status e capacità vertono certamente su diritti indisponibili.

  • che prevedono la rinuncia del coniuge economicamente più debole all'assegno mantenimento o all'assegno divorzile; (Cass. n. 2224 del 30 gennaio 2017)  
  • che prevedono in via anticipata, la debenza e il quantum dell'assegno divorzile (cfr. Cass. civ. 6 dicembre 1991, n. 13128);
  • che prevedono la rinuncia alla possibilità di chiedere la revisione dell'assegno di divorzio (Cass. civ. 20 maggio 1985, n. 3080) qualora sopravvengano giustificati motivi, per contrasto con l'art. 9 della l. 898/1970 che non consente limitazioni di ordine temporale alla possibilità di revisione del regime fissato con l'assegno;
  • che prevedono la definizione anticipata dell'importo dell'assegno di mantenimento;
  • che attribuiscano, per il periodo successivo al divorzio, a favore dell'uno o dell'altro coniuge, il godimento della casa familiare e dei suoi beni mobili, sussistendo anche per tali accordi accessori alla separazione le ragioni di ordine pubblico del divieto, consistenti nell'attitudine dei patti in oggetto a influenzare le determinazioni delle parti in ordine allo status personale (cfr. Cass. civ., 11 dicembre 1990, 11788; Cass. civ., 20 settembre 1991, n. 9840)
  • che prevedono la rinuncia del coniuge collocatario dei figli all'assegnazione della casa coniugale o all'assegno di mantenimento per i figli stessi;
  • che prevedono la rinuncia di uno dei genitori all'affidamento o alla collocazione dei figli o limitazioni alla libertà di un coniuge (ad esempio il divieto di lavorare, viaggiare, uscire con gli amici, ecc.).

Le eccezioni al divieto di patti prematrimoniali. La valorizzazione dell'autonomia negoziale

Nonostante l'assenza di una disciplina legislativa dei patti prematrimoniali, la Corte di cassazione ha, in alcuni casi, (cfr. Cass., 21 dicembre 2012, n. 23713, in Fam. dir., 2012, p. 92 ss.) riconosciuto ai coniugi la possibilità di regolare alcuni aspetti nell'eventualità di una crisi familiare.

Al riguardo bisogna effettuare una importante distinzione tra due diversi tipi di intese:

  • gli “accordi” preventivi che intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno) con possibili arricchimenti e impoverimenti in caso di separazione e/o divorzio. Come detto sono destinati ad essere colpiti da nullità in base alla ben nota giurisprudenza di legittimità sopra richiamata in quanto il fallimento del matrimonio costituisce una causa genetica dell'accordo.
  • gli “accordi” preventivi caratterizzati, invece, da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, in cui la crisi del rapporto viene in considerazione alla stregua di una mera condizione.

Detti accordi, al contrario, possono ritenersi validi atteso che il fallimento del matrimonio è degradato a mero evento condizionale ed il contratto è retto da un'autonoma causa costituita dallo scambio sinallagmatico di prestazioni proporzionali tra loro.

Si tratta ad esempio di quelle intese:

- che sia pur preventive sono volte regolare singoli specifici profili (ad es. la cessione di un particolare immobile in caso di scioglimento del matrimonio, a ristoro di un precedente esborso sostenuto da uno dei coniugi per ristrutturare l'abitazione di proprietà dell'altro);

 - prevedano prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, in un contesto in cui la crisi del rapporto viene in considerazione alla stregua di un evento che assume il ruolo di mera condizione sospensiva.

- con cui i coniugi intendano regolare un'obbligazione restitutoria, derivante da un prestito da un coniuge all'altro, da rimborsare solo in caso di separazione;

- si limitano a disciplinare la divisione dei beni acquisiti durante il matrimonio, senza violare norme imperative.

La Suprema Corte di cassazione (cfr. Cass. civ. 23713/2012) ha ritenuto ad esempio valido un accordo con cui il trasferimento di un immobile dalla moglie al marito (quale “indennizzo” per le spese da quest'ultimo sostenute ai fini della ristrutturazione di altro immobile di proprietà della moglie) veniva subordinato all'eventuale fallimento del matrimonio.

In linea con un sistema normativo ormai orientato a riconoscere sempre più spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale, i giudici di legittimità hanno di fatto ricondotto l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di “fallimento” del matrimonio ad un contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, secondo comma, c.c.

La giurisprudenza ha inquadrato detto accordo come un «vero e proprio contratto caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali (…) libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti» chiarendo che il matrimonio non è “causa genetica dell'accordo” ma è degradato a mero “evento condizionale”.

L'art. 1322 c.c. prevede che “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti della legge e delle norme corporative. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico”.

In dottrina e giurisprudenza è ormai consolidata l'applicabilità del principio della libertà contrattuale agli accordi tra coniugi che riguardino aspetti diversi da quelli tipici della separazione o del divorzio, i cui effetti siano sospensivamente condizionati al verificarsi di tali eventi.

È da ritenersi quindi valido l'accordo con il quale i coniugi si impegnano a definire il loro assetto patrimoniale in vista della fine dell'unione matrimoniale poiché, in assenza di diritti inderogabili e di un coniuge economicamente debole, tale accordo si configura come un contratto espressione dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., caratterizzato da prestazioni e controprestazioni proporzionate tra loro, condizionate all'avveramento della condizione sospensiva identificata nella fine del matrimonio.

Sulla scorta di analogo ragionamento è stato anche ritenuto valido un contratto di mutuo concluso dai coniugi dopo le nozze, con il quale è stato previsto l'impegno della moglie a restituire al marito una somma di denaro da lui ricevuta in prestito in caso di separazione (Cfr. Cass. civ. 19304/2013).

La validità di detta pattuizione è stata riconosciuta sulla scorta del fatto che non c'è nessuna norma che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l'esistenza di un debito verso l'altro e di subordinare la restituzione all'evento, futuro e incerto (ovvero la separazione).

Nonostante i numerosi limiti, esistono quindi alcune aree in cui un contratto prematrimoniale potrebbe trovare applicazione se conforme alle norme vigenti.

In linea generale possono, quindi, ritenersi validi i patti prematrimoniali a condizione che:

- non riguardano diritti e doveri inderogabili del matrimonio: non incidono dunque su aspetti fondamentali del matrimonio, come la fedeltà, la coabitazione, l'assistenza morale e materiale, la collaborazione nell'interesse della famiglia, la responsabilità genitoriale. Sarebbe certamente illegittimo un accordo che consenta a un coniuge di tradire l'altro (ad esempio con uno scambio di coppie); quello che permetta a un coniuge di vivere da solo; quello che autorizzi la moglie a non lavorare e a non occuparsi della casa, ecc.;

- non stabiliscono in anticipo le condizioni di una eventuale separazione o divorzio, come l'affidamento dei figli, l'entità dell'assegno di mantenimento o la divisione dei beni, l'assegnazione della casa coniugale;

- non sono contrari all'ordine pubblico e al buon costume: non devono contenere clausole che violino principi fondamentali dell'ordinamento giuridico o la morale comune. Non devono prevedere la rinuncia preventiva ai diritti ereditari (tale possibilità è ammessa solo con dichiarazione rilasciata dopo la morte del de cuius);

- non devono prevedere la rinuncia a diritti indisponibili: è il caso dell'accordo con cui si imponga alla moglie, in caso di divorzio, di rinunciare a qualsiasi mantenimento o all'affidamento dei figli.

Questo significa che l'accordo non deve essere finalizzato esclusivamente alla regolamentazione dei rapporti in caso di separazione, ma può prevedere clausole che si attivano se e quando il matrimonio si conclude.

Gli accordi prematrimoniali per essere leciti non devono avere come causa genetica il venir meno del matrimonio. La separazione o il divorzio costituiscono al contrario la condizione al verificarsi della quale scatta la regolamentazione contenuta nel patto prematrimoniale

L'accordo, sino all'approvazione di nuove normative in materia, per essere ritenuto valido dovrà quindi necessariamente essere strutturato all'interno dei confini indicati dalla Corte di cassazione nella sentenza 2371/2012 ovvero:

i) non è il matrimonio che viene contratto sulla base di un accordo prematrimoniale ma è l'accordo prematrimoniale che viene stipulato riferendosi al fallimento del matrimonio come mero evento ipotetico, condizione al verificarsi della quale si produrranno gli effetti dell'accordo;

ii) ogni previsione economica (pagamento di somme, trasferimento di immobili e proprietà in genere) deve essere giustificata principalmente dal voler organizzare e definire i reciproci rapporti finanziari e patrimoniali, senza riferirsi, nell'accordo, a esigenze di quantificazione di assegno di mantenimento, di divorzio, o simili.

Dirimente, dunque, il distinguo operato dalla giurisprudenza di legittimità tra accordi che hanno come causa genetica il divorzio, quindi nulli (Cass. civ., 26 aprile 2021, n. 11012; Cass. civ., ord., 13 aprile 2022, n. 11923) e accordi, al contrario ammissibili, in cui la cessazione del vincolo è degradata ad evento condizionale della prestazione

Queste cautele dovranno essere necessariamente adottate dai professionisti (notai e avvocati) nella redazione dell'accordo perché, come più volte detto, ad oggi la normativa non prevede né disciplina in modo specifico i patti prematrimoniali e perché la giurisprudenza degli ultimi 30 anni è stata estremamente rigida sull'argomento.

L'autonomia contrattuale sancita all'art. 1322 del Codice Civile risulta quindi operante anche in materia di rapporti tra i coniugi se non vertono su diritti indisponibili e se funzionali a realizzare interessi meritevoli di tutela nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

L'autonomia negoziale nel diritto di famiglia non ha quindi carattere assoluto, restando soggetta ad adattamenti e limitazioni richieste dal necessario bilanciamento di interessi contrapposti.

I patti prematrimoniali conclusi all'estero

La globalizzazione ha incrementato i matrimoni di cittadini italiani con cittadini stranieri ed anche per tale motivo venne introdotto con la legge di diritto internazionale privato n. 218/1995 il principio dettato dall'art. 30, secondo cui i coniugi possono, a mezzo di una convenzione scritta, derogare al criterio fissato per l'individuazione della disciplina applicabile ai rapporti personali.

Tale principio oggi è consacrato anche all'interno dell'UE dagli artt. 22 ss., Reg. (UE) 2016/1103 del Consiglio del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi.

Oggi i contratti prematrimoniali conclusi all'estero possono essere eseguiti in Italia senza alcun tipo di ostacolo laddove le relative pattuizioni non sono contrarie all'ordine pubblico internazionale, e, dunque, con i principi fondamentali dell'ordinamento.

Alcuni esponenti della dottrina hanno ritenuto che non contrastano con l'ordine pubblico ex art. 64, lett. g) della legge n. 218/1995 le sentenze straniere di divorzio relative a patti prematrimoniali, poiché due coniugi italiani residenti all'estero possono scegliere una legge straniera al fine di regolare i loro rapporti. (Cfr. Dosi, g.: Il diritto, cit., p. 39.).

Anche la giurisprudenza ha dichiarato l'operatività di tali stipulazioni in Italia, senza la necessaria omologazione del Tribunale, fondando le proprie ragioni sul presupposto che dette intese fossero compatibili con l'ordine pubblico internazionale (art. 16, l. 218/ 1995).

È stato altresì chiarito che l'efficacia si estende solo alle convenzioni tra stranieri, poiché «il principio operante nell'ordinamento italiano circa l'invalidità di un accordo di tipo preventivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio attiene all'ordine pubblico interno e trova conseguente applicazione solo per il matrimonio celebrato secondo l'ordinamento italiano e fra cittadini italiani» (Cfr. Cass., 3 maggio 1984, n. 2682, in Riv. dir. int. Priv., 1985, p. 579.

Vale poi la pena di ricordare che anche le norme europee attribuiscono all'autonomia privata nella crisi del matrimonio un valore centrale.

L'art. 5 del Reg. UE n. 1259/2010 (Regolamento Roma III) consente infatti ai coniugi di stipulare un patto relativo alla legge applicabile al divorzio.

Quanto agli effetti economici del matrimonio, l'art. 8 del Protocollo dell'Aja del 23 novembre 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari consente ai coniugi di determinare la legge applicabile a tale materia.

Anche qui i valori di autodeterminazione dei coniugi nella regolamentazione della crisi della famiglia sono affermati con chiarezza.

In questo contesto, il fatto che la nostra giurisprudenza si ostini a considerare radicalmente nulli i patti con i quali i coniugi, in vista del loro eventuale divorzio, ne determinano le conseguenze economiche, pare del tutto anacronistico.

I patti postmatrimoniali. Le convenzioni matrimoniali (art. 162 c.c.).

Benché il nostro ordinamento non contempli l'istituto dei “patti prematrimoniali” esistono, tuttavia, altri tipi di intese (differenti dai c.d. patti in vista del divorzio) con i quali i coniugi dispongono concordemente dell'assetto economico e patrimoniale della famiglia, sia in costanza di matrimonio, sia in occasione della separazione personale.

Le convenzioni matrimoniali sono dei veri e propri contratti attraverso i quali i coniugi intendono regolare i loro rapporti patrimoniali (artt. 161,162 c.c.).

Nulla hanno a che vedere con i c.d. patti prematrimoniali posto che a differenza di quest'ultimi operano nella c.d. “fase fisiologica” del rapporto di coppia, sono disciplinati dalla legge e opponibili ai terzi, se annotate.

Attraverso la convenzione matrimoniale i coniugi possono sostituire al regime patrimoniale legale della comunione dei beni, dei regimi atipici non previsti della legge o previsti dalla legge come la separazione dei beni. Si tratta, quindi, di accordi diretti ad adottare o modificare il regime patrimoniale della famiglia.

A pena di nullità la convenzione matrimoniale deve rivestire, ad substantiam, la forma dell'atto pubblico e deve avvenire alla presenza di testimoni ex artt. 162 c.c., 34 bis disp. att. c.c. e 48, l. n. 89/1913 in tema di ordinamento notarile.

Pertanto, è necessario rivolgersi ad un notaio.

Oltre ad essere annotata a margine dell'atto di matrimonio, deve comprendere necessariamente la data in cui è stata stipulata, l'indicazione del notaio rogante, le generalità dei coniugi. In questa maniera la convenzione s'intende conosciuta da tutti (familiari e non) ed è ad essi opponibile.

Anche eventuali modifiche alle clausole della convenzione necessitano di atto pubblico e richiedono il consenso di tutte le persone che hanno preso parte all'atto di convenzione o dei loro eredi (v. art. 163, c.1 c.c.).

Possono sempre essere stipulate in ogni tempo sia antecedentemente che successivamente al matrimonio ex art. 162 c.c. 

Nel primo caso il matrimonio rappresenta la conditio iuris della loro efficacia, nel secondo, il necessario presupposto.

Ex art. 163, 3° comma, c.c. anche eventuali modifiche delle convenzioni devono necessariamente essere annotate a margine dell'atto di matrimonio e trascritte qualora detti adempimenti si rendano necessari ex artt. 2644 ss. c.c.

Gli accordi “nel corso della vita familiare” (art 144 c.c.)

Dalle convenzioni matrimoniali e dai patti prematrimoniali devono essere tenuti distinti gli accordi raggiunti dai coniugi nel corso della vita matrimoniale e disciplinate dall'art. 144 c.c.

Tale norma (Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia) prescrive al primo comma la regola che “I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia”. E al secondo comma prevede che “A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato”.

Per le unioni civili l'art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76 prevede simmetricamente che “le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato”.

Le convenzioni sulla “vita matrimoniale”, come ben si desume dal tenore delle norme, sono orientati non a risolvere, in via preventiva o successiva, la crisi di coppia ma solo a disciplinare prima o durante il matrimonio, la vita in comune, e quindi regolare aspetti fondamentali della convivenza (ad esempio, la suddivisione dei compiti, la gestione dei figli, la ripartizione delle spese).

Questi accordi trovano, come visto sopra, il proprio fondamento nell'art. 144 c.c., che rimette alla concorde volontà dei coniugi la determinazione dell'indirizzo della vita familiare.

Il “regime primario” del matrimonio e dell'unione civile prevede, del resto, come modalità di relazione tra le parti quella dell'accordo. Non sono ammesse prevaricazioni o posizioni di supremazia. La modalità per scegliere come vivere va, dunque, concordata e non imposta nel rispetto del principio di uguaglianza e di parità delle parti.

La caratteristica degli accordi nella vita familiare è quella di presupporre l'unità della vita familiare. Si tratta quindi di intese raggiunte nella vita di tutti i giorni per disciplinare il ménage di coppia anche nei rapporti con i terzi.

In caso di disaccordo su questioni importanti la legge (art. 145 e art. 316 c.c.) prevede la facoltà delle parti (coniugi o conviventi) di richiedere l'intervento del Giudice.

La libertà dei coniugi non è però illimitata: tali accordi non potranno derogare ai doveri fondamentali derivanti dal matrimonio, quali quelli di fedeltà, di assistenza materiale e morale, di collaborazione e coabitazione (art. 143 c.c.), così come ai doveri nascenti verso i figli (artt.147, 148,315-bis e 316-bis c.c.).

Gli accordi “a latere” della separazione o del divorzio

Con il termine accordi «a latere», (c.d. side letters) si indicano genericamente tutte le pattuizioni che i coniugi stipulano mediante scritture private in occasione della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga omologato dal Tribunale con la sentenza.

Le scritture a latere dei ricorsi di separazione o divorzio sono di fatto degli accordi stragiudiziali raggiunti tra le parti che, per ragioni famigliari o di riservatezza, non vengono inseriti direttamente nei ricorsi (congiunti).

Devono essere tenuti distinti:

- dai c.d. patti prematrimoniali posto che quest'ultimi sono accordi che vengono stipulati (prima o durante il matrimonio) per regolare preliminarmente i reciproci rapporti patrimoniali derivanti da un'ipotetica crisi coniugale e con la finalità di cristallizzare sin da subito i termini e le condizioni della eventuale separazione e divorzio mentre gli accordi a latere sono stipulati durante la fase di crisi.

- dalle convenzioni matrimoniali, in quanto queste ultime si caratterizzano per l'obiettivo di disciplinare la distribuzione e la gestione dei beni in costanza di convivenza coniugale, mentre gli accordi a latere sono atti atipici volti a regolare la fase della separazione o del divorzio. Tale distinzione è destinata a incidere sulla forma che gli atti devono assumere ai fini della loro validità. Infatti, l'esclusione della riconducibilità dei patti a latere alle convenzioni di cui all'art. 162 c.c., comporta che essi potranno essere stipulati con scrittura privata, senza dover ricorrere all'atto pubblico richiesto, invece, per la validità delle convenzioni matrimoniali.

In particolare, questi accordi intervenendo in una fase già patologica del rapporto, non hanno alcuna funzione preventiva e il loro contenuto può essere il più vario dal momento che possono specificare, integrare e/o innovare le intese trasfuse in un ricorso per separazione e/o divorzio e poi omologate dal Tribunale con la sentenza.

Tradizionalmente questo genere di accordi “negoziali” erano ritenuti del tutto estranei alla materia familiare e alla logica contrattuale.

In un primo tempo, si è affermato che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della separazione e/o divorzio, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovevano essere sottoposti al controllo del Giudice che, con il suo decreto di omologa, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Senza tale verifica, i patti erano considerati nulli per illiceità della causa.

Successivamente, si è effettuata una distinzione sul contenuto necessario ed eventuale delle separazioni consensuali, sui rapporti tra i genitori e figli, riservati al controllo del giudice, e tra coniugi, che, almeno tendenzialmente, rimanevano nell'ambito della loro discrezionale ed autonoma determinazione, in base alla valutazione delle rispettive convenienze, fino a sostenere, da ultimo, l'autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, se volta ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al Giudice (Cass. civ., 08 novembre 2006, n. 23801).

L'autonomia privata negoziale dei coniugi viene oggi valorizzata e riconosciuta anche nella fase patologica della crisi (Cfr. Cass. civ., 21 febbraio 2023 n. 5353; Cass. civ. sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35508).

In particolare, secondo la giurisprudenza prevalente , gli accordi c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale si pongono in posizione di conclamata e incontestabile (maggiore o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo del Giudice, mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l'art. 160 c.c. e rispondono all'esigenza di adeguare i singoli aspetti degli accordi all'esperienza reale del nucleo familiare (Cfr. Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 2009 n. 2997; Cass. civ. 21 dicembre 2012, n. 23173; Cass, civ., sez. I, 20 ottobre 2005 n. 20290).

Sono pertanto validi nella parte in cui si collocano in posizione di non interferenza rispetto all'accordo omologato, oppure in posizione di conclamata e incontestabile maggior rispondenza rispetto all'interesse tutelato, ovverosia quando sono “migliorativi” per la parte debole (Cass. civ., 23 settembre 2013, n. 21736; Cass. civ., 15 marzo 1991, n. 2788; Cass. civ., 22 gennaio 1994, n. 657; Cass. civ., 20 agosto 2004, n. 17434; Trib. Firenze 22 maggio 2020)

Dottrina e giurisprudenza hanno, dunque, recentemente raggiunto un approdo comune, riconoscendo che le scritture a latere:

a) trovino legittimo fondamento nell'art. 1322 c.c. (Cass., sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066)

b) debbano ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall'intervento del Giudice;

c) non possano superare il limite di derogabilità di cui all'art. 160 c.c.

d) non possano interferire con l'accordo omologato;

e) possano specificarne il contenuto, con disposizioni maggiormente rispondenti con gli interessi ivi tutelati (Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20290).

La Corte di cassazione ha infatti chiarito «gli accordi omologati non esauriscono necessariamente ogni rapporto tra i coniugi», potendosi ben ipotizzare accordi anteriori, contemporanei ovvero successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell'atto pubblico” (Cass., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621).

Promuovendo accordi validi ed efficaci senza necessità di omologazione, si favorisce una gestione più efficiente e meno conflittuale delle crisi matrimoniali, sempre nel rispetto dei limiti imposti dalla legge e della tutela dei diritti fondamentali.

In caso di separazione consensuale e di divorzio congiunto, i coniugi possono concordare – con il limite del rispetto dei diritti indisponibili – non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare (Cass. civ., sez. III, sent., 21 febbraio 2023, n. 5353).

L'evoluzione del diritto di famiglia ha portato quindi ad un sempre maggiore spazio riconosciuto all'autonomia negoziale dei coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale, fermi ovviamente i limiti sopra elencati.

Anche di recente la Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato la tematica degli accordi economici privati stipulati dai coniugi con una scrittura privata a latere degli accordi di divorzio recepiti in sentenza chiarendo che gli accordi “a latere” non possono essere oggetto di modifica da parte del Giudice della famiglia ma in quanto validi ed efficaci devono comunque essere considerati ai fini della revisione dell'assegno del coniuge, se “strettamente connessi” a questo e se non hanno ad oggetto diritti indisponibili o contrari a norme inderogabili. (Cfr. Cass. civ., 10 luglio 2024, 18843). In altre parole, le pattuizioni a latere non possono essere ignorate nel contesto della revisione delle condizioni economiche di divorzio.

Conclusioni

Dalle considerazioni fin qui svolte si ricava l'inadeguatezza delle argomentazioni impiegate da dottrina e giurisprudenza per negare validità ed efficacia agli accordi prematrimoniali

I rapporti coniugali nel tempo hanno subito una forte “privatizzazione”; ciò accade sia nella fase fisiologica del rapporto sia in quella patologica ove è riconosciuta e valorizzata l'autonomia negoziale ex art. 1322 c.c.

Di certo, l'esplicazione dell'autonomia negoziale non potrà essere incontrollata e priva di limiti in un settore come quello familiare in cui non è coinvolta solo la sfera patrimoniale dei coniugi. Tuttavia, il timore di un impiego scorretto dello strumento contrattuale non si può tradurre in una aprioristica inammissibilità di pattuizioni che, nel rispetto di determinate condizioni, possono condurre a una soluzione della crisi difficilmente raggiungibile in sede contenziosa.

D'altra parte, l'incongruenza delle argomentazioni della giurisprudenza a sostegno della tesi della nullità degli “accordi prematrimoniali” è lampante anche solo considerando la facoltà da sempre riconosciuta da legge ai coniugi di scegliere – all'atto della celebrazione del matrimonio ovvero anche successivamente – il regime patrimoniale del matrimonio optando per la separazione dei beni. Tale scelta, infatti, ha delle conseguenze non di poco conto, poiché tramite una scelta compiuta all'atto del matrimonio si vanifica l'intero apparato normativo predisposto dal legislatore per ridistribuire le ricchezze che saranno accumulate durante il matrimonio e tutelare quel coniuge che ha dedicato una buona parte delle proprie risorse e delle proprie energie al soddisfacimento delle esigenze familiari a scapito della propria realizzazione professionale.

Tenuto conto quindi che lo stesso codice civile consente ai coniugi di disciplinare ex ante le conseguenze patrimoniali del mutamento di status nel caso di celebrazione del matrimonio, prevedendo la scelta del regime patrimoniale di separazione in luogo di quello di comunione (art.162, comma 2 c.c.) non si vede il perché non sia concesso anche nell'ipotesi in cui il mutamento di status consista nello scioglimento dell'unione.

Per tale motivo è auspicabile l'intervento del legislatore attraverso una disciplina ad hoc con una regolamentazione normativa dei suddetti accordi portatori di indubbi vantaggi nella prevenzione delle controversie coniugali.

Uno spiraglio in tal senso parrebbe essersi aperto con il d.lgs. 10 ottobre 2022, 149 (c.d. riforma Cartabia) che prevede il cumulo della domanda di separazione e divorzio riconoscendo così la possibilità di predeterminare le condizioni del divorzio già in occasione della separazione.

Tra l'altro, non si può non tenere conto del fatto che, in concreto, gli accordi prematrimoniali potrebbero essere anche più tutelanti di quanto previsto in via generale dalle norme di diritto di famiglia dell'ordinamento.

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