La valutazione dell’insubordinazione alla luce delle previsioni contenute nella disciplina collettiva
16 Maggio 2025
In linea generale, è escluso il carattere ritenuto vincolante in senso tassativo della previsione del CCNL circa le condotte idonee a giustificare il licenziamento. Con riferimento alla fattispecie della insubordinazione è da rammentare che essa si sostanzia nell'inosservanza della scala gerarchica presente nell'organigramma aziendale, realizzata mediante il rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori, oppure mediante qualunque altro comportamento idoneo a pregiudicarne l'esecuzione nel quadro dell'organizzazione aziendale. Nel caso in cui tale inosservanza non si concretizzi soltanto nella mancata esecuzione o attuazione di un ordine o di una direttiva, ma si manifesti altresì con comportamenti ingiuriosi e minacciosi, si è in presenza di un quid pluris, perché può far assurgere l'insubordinazione ad un grado di gravità tale da essere equiparabile a quello delle “vie di fatto” e quindi integrare la giusta causa, ex art. 2119 c.c., proprio alla luce di quel criterio di gravità esemplificato dalle parti sociali. Il giudice, pertanto, deve verificare le modalità con cui è stata realizzata l'insubordinazione e valutarne la gravità, apprezzando non soltanto il contesto in cui si è verificata, ma altresì le condotte ulteriori e/o le modalità attuativa che ne hanno integrato e, in ipotesi, aggravato il disvalore disciplinare. A ciò si aggiunga che la previsione, nella contrattazione collettiva, di una sanzione conservativa consente al giudice di discostarsi da essa e ritenere la legittimità del licenziamento tutte le volte in cui accerti che le parti non hanno inteso escludere, per i casi analoghi o di maggiore gravità, l'irrogazione della sanzione espulsiva. (Cfr.: Cass., sez. lav. 10 marzo 2025, n. 6398). |