Una donna agiva in giudizio contro l'ex per il risarcimento danni, assumendo di avere subito dal convenuto, in seguito alla cessazione del loro breve rapporto sentimentale, condotte ingiuriose, moleste e persecutorie, denunciate a mezzo di querela per i reati di cui agli artt. 81 e 660 c.p.c. e cessate dal momento del deposito della stessa. La causa era istruita a mezzo deposito di documenti tra i quali la querela sporta dalla attrice, copia di messaggi inviati dal convenuto, prova orale con escussione dei testi chiamati da parte attrice e prova per interrogatorio al quale il convenuto non si presentava.
Il giudice di merito ha accolto le domande attoree e, in merito alla mancanza di prova della sussistenza del danno non patrimoniale, ha chiarito che tale mancanza possa essere colmata mediante presunzioni. Infatti, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove:
il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica;
quello della “gravità”, al grado di probabilità della sussistenza del fatto noto desumibile da quello noto;
mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia - di regola - desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e unicamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, non raggiungibile, invece, attraverso un'analisi atomistica degli stessi.
Partendo da questo presupposto, il giudice ha affermato che i comportamenti posti in essere volontariamente dal convenuto si caratterizzavano per l'evidente antigiuridicità ed ingiustizia ex art. 2043 c.c. e non potevano non avere prodotto nell'attrice un danno, ritenuto provato ai sensi dell'art. 2729 c.c., concretatosi in una lesione del diritto alla dignità ed alla libertà personale. Di conseguenza, il Tribunale ha stimato il danno in via equitativa ex art. 1226 c.c.
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