La responsabilità ambientale e la sua assicurazione

14 Maggio 2025

La questione della responsabilità ambientale è oggi al centro di un grande interesse, da parte dell’opinione pubblica, delle istituzioni e del comparto assicurativo. Il contributo è volto a presentare l’evoluzione storica di questa istituzione e il funzionamento delle soluzioni che vengono proposte nel nostro mercato assicurativo per la copertura dei danni ad essa riconducibili.

L'incidente dell'ICMESA e le Direttive Seveso

Un momento fondamentale nell'evoluzione della legislazione sulla responsabilità ambientale nel nostro paese risale all'evento verificatosi nei pressi di Seveso, il 10 luglio 1976.

A causa di un guasto ad un reattore, una nube tossica a base di diossina si liberò dallo stabilimento della ICMESA di Meda e avvolse un'area piuttosto vasta. Non vi furono decessi, ma oltre 200 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall'esposizione al cloro e suoi derivati, che causa gravi lesioni e cisti sebacee. Le immagini di archivio sono davvero impressionanti.

Per quanto attiene ai danni alle cose, piante e vegetali investiti dalla nube si disseccarono per il potere diserbante della diossina, circa 3.300 animali morirono al momento dell'evento e altri 76.000 dovettero essere abbattuti successivamente.

L'incidente causò l'intervento del Legislatore europeo, con la promulgazione delle Direttive Seveso.

La n. 82/501/CEE, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, venne recepita in Italia con il DPR n. 175/1988, in attuazione della l. n. 183/1987.

In base ad essa, i proprietari di depositi e stabilimenti in cui fossero presenti sostanze pericolose in quantità definite avevano l'obbligo di adottare precauzioni per il controllo e la manutenzione degli impianti. Il testo di questa prima disposizione fu aggiornato con la Direttiva Seveso II (96/82/CE), che modificava la classificazione delle sostanze ritenute pericolose, affiancando un elenco dei loro livelli di pericolosità.

In seguito all'incidente verificatosi in un'azienda di materiale pirotecnico nei Paesi Bassi - nel 2000 - e allo sversamento di nitrato di ammonio, avvenuto in una fabbrica di fertilizzanti di Tolosa nel 2001, la normativa subì un altro aggiornamento, con la Direttiva Seveso II-bis.

In essa furono abbassate le soglie delle sostanze tossiche che è possibile detenere negli stabilimenti industriali.

Infine, il 13 agosto 2012, è entrata in vigore la Direttiva Seveso III (2012/18/UE), relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, recepita in Italia con il d.lgs. n. 105/2015.

L'avvento della ELD e l'introduzione del concetto di danno all'ambiente

La normativa europea sulla responsabilità ambientale ha dunque iniziato il suo iter negli anni '80, con la promulgazione delle Leggi Seveso, e ha poi visto la sua completa attuazione con l'Environmental Liability Directive (ELD) 2004/35, che è stata incorporata nelle legislazioni degli stati membri entro il termine previsto del 30 aprile 2007.

Uno degli elementi di maggiore rilievo introdotti da questa normativa è il concetto di danno all'ambiente. Fino a questo momento, infatti, lo stesso era considerato come un danno alle persone, causato attraverso un elemento naturale, come il terreno, l'aria o l'acqua.

La ELD amplia questa fattispecie di danno, svincolandola da ogni legame con i danni a persone o cose.

Il suo scopo è rendere economicamente responsabili i soggetti le cui attività abbiano danneggiato animali, piante, habitat naturali o risorse idriche del suolo: tutti soggetti che – di per sé - non potrebbero esigere alcun risarcimento.

È l'ormai noto principio in base al quale chi inquina paga.

La direttiva si applica a tutte le attività che comportino una minaccia imminente di danno ambientale: gli operatori responsabili sono infatti tenuti ad intraprendere azioni preventive per evitare che il danno si verifichi e si propaghi.

La ELD definisce danno ambientale ogni pregiudizio direttamente o indirettamente causato ad ambienti acquatici, specie e habitat naturali protetti dalla legislazione europea (in particolare dalle direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE), nonché ogni contaminazione del terreno che comporti un rischio significativo per la salute umana.

Danni agli ambienti acquatici sono quei danni che influiscano in modo significativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo dell'acqua (che si tratti di fiume, lago, mare...).

Danni a specie e habitat naturali saranno tutti quelli che abbiano effetti negativi significativi sul mantenimento dello stato di conservazione di tali specie o habitat, secondo i criteri indicati all'Allegato I della direttiva stessa.

Danno al suolo sarà infine qualsiasi contaminazione, diretta o indiretta, del suolo che crei un rischio significativo per la salute umana, in seguito alla dispersione di sostanze, preparati, organismi o microrganismi.

Eccezioni

La ELD copre i danni causati dagli Organismi Geneticamente Modificati solo durante il loro trasporto o come conseguenza del loro deliberato rilascio nell'ambiente. Essa, inoltre, non copre i danni derivanti da calamità naturali. Entrambe le fattispecie di danno, infatti, risalgono a fenomeni di carattere inevitabile ed eccezionale (per quanto la questione sia oggi dibattuta, per via dei cambiamenti climatici). Laddove non si possa individuare un soggetto responsabile, quindi, la direttiva non potrà operare, perché il principio per cui chi inquina paga non sarebbe applicabile.

Allo stesso modo, la ELD non opera per i danni causati dalla società in generale. Anche in questo caso, non è possibile collegare l'eventuale danno all'ambiente con fatti o omissioni causati da specifici operatori. Un esempio è rappresentato dal cosiddetto inquinamento diffuso, ad esempio, l'inquinamento da smog. Insomma, ove sia impossibile individuare un nesso di causalità, la ELD non potrà operare.

Sono pure esclusi i danni da contaminazione nucleare, perché coperti da convenzioni internazionali che operano sul principio della responsabilità oggettiva e sono regolate dall'Agenzia sull'Energia Nucleare della OECD (Economic Co-operation and Development).

Per quanto attiene alla retroattività, la ELD non copre eventi occorsi prima del 30 aprile 2007, la data, cioè, in cui la stessa è stata resa operativa.

Funzionamento della responsabilità ambientale e obblighi previsti

La ELD introduce due tipi di responsabilità:

  • Responsabilità oggettiva, per i soggetti che operano nell’ambito delle attività rischiose o potenzialmente tali, indicate nell’Allegato III della direttiva stessa. Nel caso in cui un danno ambientale dovesse verificarsi in prossimità delle attività da loro svolte, costoro sono tenuti ad intraprendere azioni preventive e correttive.
  • Responsabilità per colpa, per tutte le attività non indicate all’Allegato III, nel caso in cui dovesse verificarsi un danno o vi fosse il timore che si verifichino danni alle specie e agli habitat protetti, in seguito a provata negligenza o colpa da parte di chi li ha causati.

Le attività intese come pericolose e riportate all’Allegato III comprendono:

  1. attività industriali ed agricole che richiedano una licenza speciale, in base alla Directive on Integrated Pollution Prevention and Control (91/62 e 2008/1);
  2. installazioni con emissioni di sostanze chimiche pericolose;
  3. attività per la gestione dei rifiuti, discariche e inceneritori;
  4. attività di gestione dei residui delle industrie estrattive;
  5. attività di trasporto di sostanze tossiche o pericolose;
  6. attività che prevedano l’uso e il rilascio di sostanze pericolose in acque interne o sotterranee;
  7. attività di produzione di fitofarmaci;
  8. trasporto, uso e rilascio di OGM.

In caso di danno ambientale, la direttiva obbliga l'operatore responsabile a:

  • informare l'autorità competente di tutti gli aspetti ad esso rilevanti;
  • adottare immediatamente tutte le misure praticabili per controllare, contenere, rimuovere o gestire i contaminanti, allo scopo di mitigare il danno stesso;
  • adottare tutte le misure correttive necessarie, conformemente alle norme stabilite nella direttiva medesima.

Qualora vi sia minaccia imminente di danno ambientale e l'operatore non adempia ai propri obblighi o non sia identificabile, l'Autorità potrà intervenire direttamente.

La ELD, infatti, richiede che i terreni colpiti siano decontaminati fino a quando non vi sarà più alcun rischio grave o impatto negativo sulla salute umana.

Nel caso in cui il danno dovesse colpire l'acqua o le specie protette e gli habitat naturali, la normativa mira a ripristinare l'ambiente nello stato in cui si trovava prima di essere danneggiato:

  1. riportando le risorse naturali compromesse alle condizioni originarie;
  2. sviluppando risorse naturali alternative per compensare il fatto che la riparazione primaria non sia stata in grado di ripristinare completamente le risorse danneggiate;
  3. compensando la perdita di risorse naturali verificatasi tra la data del danno e il momento in cui la riparazione primaria è stata realizzata.

È dunque evidente come le spese cui può incorrere un’azienda che abbia causato un danno ambientale possano essere assai congrue, al punto da determinare perfino il fallimento dell’azienda stessa. Questo punto è particolarmente rilevante e spiega perché gli esperti di settore non comprendano come mai le coperture assicurative che sono disponibili sul mercato non incontrino un largo interesse da parte del pubblico. La penetrazione di questi prodotti risulta infatti assai limitata.

La Direttiva 1203 del 30 aprile 2024 e il reato ambientale

Dopo l'implementazione della ELD sono stati numerosi gli interventi dell'UE nell'ambito della responsabilità ambientale, ma si è trattato quasi sempre di indicazioni emesse a chiarimento o a completamento del dispositivo principale costituito dalla ELD.

La recente Direttiva 2024 n. 1203, invece, riveste un particolare interesse, perché volta a contrastare i cosiddetti episodi di criminalità ambientale

Questa normativa dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 21 maggio 2026 e stabilisce pene più severe e nuove fattispecie di reato ambientale, divenendo di particolare interesse, anche a livello assicurativo, per il suo impatto sull'operatività del d.lgs. n. 231/2001.

Questo dispositivo ha introdotto la responsabilità penale dei soggetti giuridici (e quindi delle aziende) e prevede, tra l'altro, che ogni condotta illecita posta in essere a danno dell'ambiente costituisca reato.

Ricorderemo che questa fattispecie di responsabilità può essere coperta – anche se parzialmente - nell'ambito delle polizze D&O, cioè di quelle coperture che assicurano la responsabilità degli organi di controllo e delle figure apicali delle società. Inoltre, la Direttiva 2024 n. 1203 ha provveduto ad ampliare l'elenco dei reati ambientali, inserendo a nuovo il traffico di legname, i danni da esaurimento delle risorse idriche, il riciclaggio illegale di componenti inquinanti delle navi e le gravi violazioni delle normative sulla dispersione di sostanze chimiche.

È stato infine introdotto il concetto di reato qualificato, che si configura quando si provochino effetti rilevanti di inquinamento diffuso, incidenti industriali con gravi effetti sull'ambiente, incendi boschivi che provochino la distruzione di un ecosistema di dimensioni o di valore ambientale considerevoli o di un habitat all'interno di un sito protetto, oppure danni diffusi e rilevanti, irreversibili o duraturi a tali ecosistemi, alla qualità dell'aria, del suolo o dell'acqua.

Tutto ciò potrebbe ampliare notevolmente la portata della copertura prestata dalle polizze D&O, sempreché non siano presenti specifiche esclusioni o limitazioni della garanzia; da qui l'interesse dimostrato dal comparto assicurativo per tale nuova norma.

A prescindere da questo, la direttiva stabilisce pene detentive di diversa durata, in base alla tipologia e gravità del reato.

Per i reati qualificati la pena massima sarà di otto anni di reclusione; per quanto attiene alle imprese, le sanzioni pecuniarie ammonteranno ad almeno il 5% del fatturato globale per i reati più gravi e il  3% per gli altri reati.

Gli Stati membri avranno comunque la possibilità di applicare ulteriori misure accessorie, tra cui:

  • l'obbligo di ripristinare l'ambiente entro un determinato periodo, se il danno fosse reversibile, oppure di risarcire il danno all'ambiente, se il danno fosse irreversibile o se l'autore del reato non fosse in grado di procedere a tale ripristino;
  • l'esclusione dal godimento di un beneficio pubblico o dall'accesso a finanziamenti pubblici, comprese procedure di gara, sovvenzioni, concessioni e licenze;
  • l'interdizione temporanea o permanente ad esercitare un'attività commerciale;
  • il ritiro dei permessi e delle autorizzazioni all'esercizio delle attività che hanno portato al reato in questione.

È superfluo ricordare quanto possano essere ingenti le spese cui un soggetto giuridico - o più ancora privato - potrebbe incorrere e questa è una delle ragioni per cui la direttiva 1203 riveste tanto interesse sotto il profilo assicurativo.

Le conseguenze del cambiamento climatico

Secondo gli esperti di settore, i problemi connessi al cambiamento climatico si collocano tra i rischi emergenti più temuti dai risk managers. Ad esso sono infatti collegati molti dei fenomeni catastrofici che interessano il pianeta, tra cui l'aumento straordinario delle precipitazioni o la desertificazione.

Un sondaggio di Eurobarometro ha confermato che l'esposizione agli eventi meteorologici estremi è considerata il rischio di catastrofe più temuto dagli europei, ma i danni strettamente derivanti da tali fenomeni dovrebbero essere esclusi dall'operatività della Direttiva 2024 n. 1203, trattandosi di casi di inquinamento diffuso, per il quale è molto difficile individuare responsabilità precise in capo a questo o quel soggetto.

In realtà, però, è lecito immaginare come le conseguenze direttamente dipendenti dal cambiamento climatico possano essere comprese nell'ambito della responsabilità ambientale e in effetti si sono già verificarti tentativi di coinvolgere le amministrazioni di alcune grandi città, in questo senso.

Un esempio è rappresentato dal processo intentato a Torino da un gruppo di organizzazioni ambientaliste, contro noti personaggi politici (Piero Fassino e Chiara Appendino, fra gli altri), per non aver saputo evitare che la città fosse soggetta ad elevati livelli di inquinamento.

Si tratta di procedimenti per il momento archiviati, ma è possibile che in futuro altri soggetti seguano questi esempi, promuovendo nuove denunce.

Vale forse la pena ricordare che, l'8 febbraio 2022, il Parlamento italiano ha varato la modifica degli articoli 9 e 41 Cost., inserendovi un concetto del tutto nuovo sulla tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. A partire da allora, la tutela dell'ambiente è divenuta un diritto costituzionale per tutti i cittadini italiani e poiché la Costituzione rappresenta la principale fonte di diritto del Paese, ciò non potrà che avere ripercussioni sull'interpretazione delle leggi esistenti, determinando un aumento delle azioni giudiziarie promosse per la salvaguardia dell'ambiente e della salute o relative alla crisi climatica.

I fattori ESG

In particolare, ai sensi del nuovo art. 41 Cost., la legge dovrà dirigere e coordinare l'attività economica, pubblica e privata per finalità non solo sociali, ma anche ambientali e ciò implica che tutte le imprese debbano realizzare i profitti necessari alla loro crescita, assicurandosi che l'ambiente non venga in alcun modo danneggiato.

È l'attuazione dei principi che le più recenti teorie economiche pongono come fondamento di ogni investimento sostenibile: i cosiddetti principi ESG, acronimo di “Environmental, Social and Governance” che indicano un governo d'impresa basato sulla sostenibilità delle politiche economiche.  

Le aziende hanno ormai maggiori probabilità di generare rendimenti se creano valore per i loro stakeholder e tra questi sono compresi clienti, fornitori, investitori, ma anche i cittadini e dunque l'ambiente, perché la sua protezione implica la salvaguardia della salute pubblica.

Considerato il crescente interesse dell'opinione pubblica nei confronti di questi fattori, assume quindi un'importanza sempre maggiore una governance aziendale virtuosa, sia sul piano ambientale che su quello sociale. E badiamo bene che non è questa una semplice questione di facciata: la rilevanza dei fattori ESG non si limita al loro impatto sul piano reputazionale, ma comporta effettivi benefici in termini di redditività, mitigazione dei rischi e riduzione dei costi.

La sostenibilità ambientale, insomma, è divenuta un fattore determinante per le scelte economiche delle aziende e chi non dovesse tenerne conto si troverebbe economicamente svantaggiato.

L'assicurazione della responsabilità ambientale

Come sappiamo, ogni nuova dinamica giurisprudenziale finisce per avere conseguenze sull'assicurazione della responsabilità civile, che vede coinvolto ogni suo aspetto, dalla RCTO, alla D&O, dai rischi relativi alle costruzioni, alla responsabilità professionale, fino alle vere e proprie polizze “inquinamento”.

La disciplina del risarcimento dei danni derivanti da un evento di tipo ambientale si compone infatti di almeno due elementi: la responsabilità civile, per i danni a persone e cose e la responsabilità ambientale, per i danni alle risorse naturali.

Ma come funziona la protezione assicurativa della responsabilità ambientale?

La ELD non obbliga alla sottoscrizione di polizze di assicurazione specifiche ma - d'altro canto - impone la responsabilizzazione dei soggetti che potrebbero causare inquinamento.

In Europa vi sono Paesi, nei quali l'assicurazione per la responsabilità ambientale è obbligatoria, almeno per alcune tipologie di attività. Tale obbligo è vigente, ad esempio, in Ungheria, Romania, Slovenia, Grecia, Spagna, Portogallo, Slovacchia e Bulgaria.

In altri Paesi, invece, esistono dei pool specializzati, per quanto la copertura non sia obbligatoria.

Ad esempio, ciò si verifica in Francia, nella quale opera l'Assurpol, in Spagna, ove esiste il PERM (Pool Espanol de Riesgos Medioambientales) e in Italia.

Nel nostro Paese, infatti, la responsabilità da inquinamento può essere coperta in modi diversi.

Innanzi tutto, esiste il Pool Ambiente, al quale aderiscono alcune compagnie assicurative e riassicurative. Queste ultime possono coprire autonomamente il rischio dell'inquinamento, al di fuori del Pool, ma limitatamente al cosiddetto inquinamento accidentale e fino ad un limite stabilito, che solitamente non supera i 500.000 euro.

Per inquinamento accidentale intendiamo un evento improvviso (come uno scoppio, un'esplosione, una rottura) che provoca accidentalmente una contaminazione dell'acqua, dell'aria o del suolo e si distingue dall'inquinamento graduale, che viene invece provocato in un lasso temporale prolungato, ad esempio in seguito al percolamento di liquidi inquinanti.

Distinguiamo quindi la responsabilità derivante da inquinamento accidentale da quella ambientale, intesa come indicato dalle norme di cui abbiamo ampiamente discusso, che comprende anche l'inquinamento di tipo graduale.

Vi sono poi alcune compagnie assicuratrici esterne al Pool, perché non hanno voluto aderirvi, che possono coprire questa garanzia con le modalità desiderate e determinate dai loro trattati riassicurativi.

Il Pool Ambiente italiano è costituito dal Consorzio per l'Assicurazione e la Riassicurazione della Responsabilità per Danni all'Ambiente. Questa istituzione è stata fondata nel 1979, con la denominazione di Pool Inquinamento, che ha poi mutato nel 2019.

Il Pool è nato dopo il terribile incidente ambientale di Seveso, quando non esistevano coperture assicurative dedicate per supportare le aziende nella gestione e copertura di questi rischi.

È costituito da un gruppo di compagnie di assicurazione e riassicurazione, il cui elenco viene tenuto aggiornato nel sito di questa istituzione (poolambiente.it), e può coprire rischi ubicati e attività effettuate nell'ambito dello Spazio Economico Europeo e in Svizzera.

La polizza di Tutela Ambientale offerta dal Pool è organizzata con un testo modulare, che parte da una forma base che copre anche i costi per analisi, monitoraggi e interventi di ripristino e può prevedere diverse garanzie opzionali.

Tra esse sono previste, ad esempio, il ripristino post-bonifica, la messa in sicurezza operativa o permanente e le indagini necessarie per la ricerca della sorgente del danno e per la sua riparazione.

Si tratta di un prodotto assai avanzato, tra i più ampi offerti nei mercati europei, che opera su base claims made.

In conclusione

Un’azienda che volesse accedere ai servizi del Pool può rivolgersi ad un agente delle compagnie aderenti oppure ad un broker. Questi si indirizzerà alla compagnia prescelta, che sottoporrà il rischio agli esperti del Pool, i quali procederanno con uno o più sopralluoghi sui siti da assicurare e forniranno un rapporto d’ispezione e la relativa quotazione, oltre che indicazioni per la gestione delle problematiche ambientali individuate.

La compagnia in questione cederà quindi il rischio in riassicurazione al Pool stesso, che lo distribuirà fra tutte le compagnie aderenti. Ogni assicuratore risponderà nella misura della propria quota di partecipazione, ottenendo la relativa quota di premio. Tutte le compagnie aderenti opereranno quindi in proporzione alla propria quota, per ogni danno coperto.

È prevista una responsabilità solidale fra tutti i partecipanti e ciò vuol dire che – se uno di questi non fosse in grado di onorare la propria quota - gli altri interverranno a coprirla.

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