Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto interpretativo in merito all'individuazione della competenza per materia del giudice con riferimento all'azione revocatoria di un atto di scissione societaria: l'azione esperita ai sensi dell'art. 2901 c.c. è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa mentre quella proposta ex art. 66 l. fall. rientra nelle attribuzioni proprie del tribunale fallimentare.
Questione controversa
La questione giuridica da cui origina l'ordinanza in commento attiene, con riferimento all'azione revocatoria di un atto di scissione societaria, al delicato contrasto giurisprudenziale emerso rispetto alla corretta individuazione della competenza tra la sezione specializzata in materia di impresa ai sensi dell'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003 e quella del tribunale fallimentare secondo la disciplina ordinaria del riparto della competenza.
Possibili soluzioni
Prima soluzione
Seconda soluzione
Stando ad un primo orientamento (Cass. civ., sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 2574), l'azione revocatoria dell'atto di scissione societaria - volta alla declaratoria di inopponibilità di tale negozio al creditore - rientra nell'ambito delle controversie devolute alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa poiché riguarda direttamente i fenomeni modificativi ed estintivi delle società coinvolte.
In questo senso, muovendo dalla previsione di cui all'art. 3, comma 2, lett. a), d.lgs. n. 168/2003, si sostiene che la competenza del giudice specializzato troverebbe giustificazione, per un verso, nel fatto che l'azione revocatoria sia volta all'accertamento del modo di essere del negozio di scissione e che, dunque, riguardi direttamente le società coinvolte dalla scissione stessa e, per altro verso, che la controversia attenga all'accertamento di un fenomeno modificativo ed estintivo dell'assetto societario delle società coinvolte.
Si afferma, inoltre, che la (rilevanza della) posizione del creditore, almeno rispetto ad una delle società coinvolte, induce a ritenere che la stessa potrebbe essere oggetto di tutela in considerazione del mutamento dell'assetto della società interessata secondo le azioni riconosciute ai creditori rispetto alle vicende inerenti alla compagine sociale.
La stessa Sezione specializzata per cui è stato richiesto il regolamento d'ufficio (Trib. Bologna, 18 ottobre 2022), al pari dell'ordinanza interlocutoria (Cass. civ., sez. trib., 9 agosto 2023, n. 24327), non ritiene di condividere il primo orientamento. Ciò sul presupposto che l'esperimento dell'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, di un atto di scissione societaria non mette in discussione – né tra le società coinvolte né tra quella debitrice ed il suo creditore – l'esistenza, la validità nonché gli effetti costitutivi, modificativi ed organizzativi derivanti dal negozio impugnato.
Secondo tale impostazione, la controversia ha ad oggetto soltanto l'efficacia o l'inefficacia relativa dell'atto in questione, senza incidere sulla esistenza, validità e sull'efficacia costitutiva e modificativa dell'assetto della struttura e della composizione societaria. In altri termini, ciò che rileva è la «funzione meramente ripristinatoria della garanzia patrimoniale della società debitrice connaturata all'azione revocatoria, la quale è esperita in vista del soddisfacimento delle ragioni creditorie di un terzo estraneo all'atto di scissione».
L'ordinanza interlocutoria, inoltre, ricorda che, secondo una precedente pronuncia, la competenza delle sezioni specializzate è stata esclusa rispetto all'azione revocatoria degli atti di trasferimento di quote societarie (Cass. civ., sez. VI, 8 maggio 2020, n. 8661) e che, pertanto, i medesimi principi potrebbero implicare una conclusione simile anche rispetto alle azioni revocatorie di atti di scissione societaria.
Rimessione alle Sezioni Unite
La Prima Sezione civile della Suprema Corte, investita dal regolamento di competenza, ha rimesso la causa alla Prima Presidente ai fini di una eventuale rimessione alle Sezioni Unite sulla seguente questione: «se l'azione revocatoria, esperita ai sensi dell'art. 2901 c.c. o art. 66 l. fall., nei confronti di un atto di scissione societaria sia da ricomprendere nelle cause e procedimenti “relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario”, di cui alla lett. a) del secondo comma dell'art. 3, d.lgs. n. 168/2003, per i quali è stabilita la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa, o se dette domande, non rientrando nell'ambito di applicazione della norma citata, siano soggette alla disciplina ordinaria sul riparto di competenze».
Principio di diritto
A soluzione del contrasto le Sezioni Unite della Corte di cassazione enunciano i due seguenti principi di diritto:
«l'azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dell'atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità del negozio al creditore, è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, poiché, pur non introducendo una controversia relativa a rapporti tra società, soci e organi sociali, e pur non risultando diretta ad incidere, come l'opposizione ex artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c., sulla scissione, privandola di efficacia erga omnes, investe un tipico atto dell'organizzazione societaria che, in quanto produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e in quanto posto in essere in presenza delle condizioni soggettive previste alternativamente dal comma 1, nn. 1 e 2, del cit. art. 2901 c.c., entra a far parte della causa petendi dell'azione proposta, qualificando il corrispondente giudizio come relativo a un rapporto societario»;
«l'azione revocatoriaex art. 66 l. fall. dell'atto di scissione societaria è devoluta alla competenza del tribunale fallimentare, la quale prevale su quella del tribunale delle imprese».
Le motivazioni delle Sezioni Unite
Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 2025, n. 5089
Per verificare la possibilità di estendere la competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa all'azione revocatoria dell'atto di scissione societaria, la Suprema Corte muove dal d.lgs. n. 168/2003, modificato dal d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012 con cui è stata ampliata la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale.
Con specifico riferimento all'azione revocatoria della scissione, i giudici di legittimità osservano che ciò che rileva è il pregiudizio derivante dal negozio produttivo di un effetto traslativo che grava sui creditori della società scissa a causa della diminuzione della garanzia patrimoniale debitoria.
Ai sensi dell'art. 2901 c.c., l'azione revocatoria ordinaria è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale grazie al quale possono essere resi inefficaci, nei confronti del creditore, gli atti di disposizione patrimoniale del debitore che comportano un pregiudizio alle stesse ragioni creditorie; per converso, nelle more del fallimento, l'azione revocatoria può essere esperita anche dal curatore per tutelare i crediti della massa secondo le modalità di cui agli artt. 66 e 67 l. fall.
Rispetto al riparto della competenza, dunque, il potere revocatorio ha una valenza neutra dal momento che chi lo esercita non è parte di un rapporto endosocietario; parimenti, lo stesso potere non incide sull'organizzazione societaria, al contrario del potere di proporre opposizione ai sensi del combinato disposto degli artt. 2503, 2503-bis e 2506-ter c.c.
Nel caso di specie, considerando che la competenza è determinata sempre dalla domanda, ciò che rileva è l'avvenuta proposizione di un'azione revocatoria volta a neutralizzare l'effetto dispositivo dell'atto di scissione nei confronti del creditore. Pertanto, la competenza del tribunale delle imprese non può fondarsi sul ruolo dell'atto di scissione nell'ambito della rimodulazione dell'assetto societario.
D'altra parte, proseguono i giudici di legittimità, la domanda revocatoria attiene alla dimensione traslativa dell'atto e non l'incidenza di quest'ultimo sull'organizzazione corporativa: il riassetto derivante dalla scissione può essere messo in discussione dal creditore ma soltanto attraverso la richiamata opposizione ai sensi degli artt. 2503, 2503-bis e 2506-ter c.c. Con l'azione revocatoria, dunque, il creditore invoca una dichiarazione di inefficacia dell'atto di scissione nei propri riguardi, restando esclusa la possibilità di porre in discussione l'assetto determinato dalla scissione stessa.
Ciò posto, la Suprema Corte ricorda che a fondamento della domanda vi è il negozio di scissione, ossia un atto corporativo produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e rispetto al quale è necessario che ricorrano le condizioni soggettive alternativamente previste dall'art. 2901, comma 1, nn. 1 e 2 c.c.Ai fini della competenza, ciò che è essenziale è la causa petendidella domanda proposta che è data da un fatto o da un atto societario, da riguardarsi in una sua caratterizzazione giuridica.
Pertanto, deve affermarsi la competenza del tribunale delle imprese in virtù di una siffatta «connotazione sostanziale della pretesa azionata, che indirizza la causa verso un accertamento che investe l'atto di scissione, quale atto endosocietario, se pure nella prospettiva necessitata dalla specificità dell'azione proposta».
In tal modo, al giudice specializzato è rimesso l'apprezzamento dell'eventus damni che, nel caso di specie, comporta un raffronto tra i valori patrimoniali attivi e passivi di cui al progetto di scissione e la valutazione delle condizioni soggettive richieste.
Le Sezioni Unite, infine, chiariscono che l'azione ai sensi dell'art. 66 l. fall. si differenzia rispetto a quella esperita ex art. 2901 c.c. e che l'azione revocatoria ordinaria promossa dal curatore non origina propriamente dal fallimento dal momento che i creditori avrebbero potuto esperirla prima dell'apertura della procedura concorsuale. D'altra parte, la dichiarazione di fallimento non incide sui requisiti dell'azione e, nonostante quest'ultima assuma il carattere di una c.d. azione di massa, è dipendente dalle condizioni dettate in sede civilistica.
In ogni caso, l'azione ex art. 66 l. fall. è espressamente devoluta alla competenza del tribunale fallimentare ed è inderogabile, da ciò derivando l'effetto che la stessa prevalga su tutte le altre competenze confliggenti, ancorché a loro volta inderogabili. In tal senso, dunque, la competenza del tribunale delle imprese è destinata a cedere rispetto a quella del giudice fallimentare (cfr. Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2017, n. 25163).
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