Con la pronuncia che si commenta la Corte EDU esamina nuovamente la questione della compatibilità della confisca di prevenzione disciplinata dall'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (cod. antimafia) con gli artt. 6, par. 2, 7 CEDU e 4 Prot. add. 7 CEDU, consolidando un quadro ermeneutico in via di definizione.
Premessa
Intervenendo su tale questione, la Corte EDU, innanzitutto, escludeva la possibilità di equiparare questo strumento ablatorio alle sanzioni penali, attesa la sua natura ripristinatoria, giustificata dalla finalità di prevenire l'arricchimento dei soggetti che acquisiscono illegalmente le proprie risorse economiche.
La Corte EDU, inoltre, affermava la possibilità di utilizzare lo strumento ablatorio di cui all'art. 24 cod. antimafia anche nei confronti di soggetti che non risultano collegati, né direttamente né indirettamente, con le organizzazioni mafiose presenti nel nostro territorio, ampliandone significativamente lo spettro applicativo.
L'originaria vicenda processuale, il ricorso alla Corte EDU e la questione della legittimità convenzionale della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011
Con la pronuncia che si commenta la Corte EDU è tornata a esaminare la questione della legittimità della confisca di prevenzione, così come disciplinata dall'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, alla luce degli artt. 6, par. 2, 7 CEDU e 4 Prot. add. 7 CEDU, escludendo la possibilità di equiparare questo strumento ablatorio alle sanzioni penali e affermandone la natura ripristinatoria, che deriva dalle finalità perseguite dalla misura in esame, che punta a contrastare l'arricchimento dei soggetti che hanno accumulato risorse economiche illegalmente.
A queste conclusioni la Corte EDU giungeva decidendo una vicenda processuale che traeva origine dall'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, disposta nel 2013, nei confronti di un soggetto indagato per la commissione di reati in materia di stupefacenti.
In conseguenza dell'arresto dell'indagato, il Pubblico ministero avanzava contestualmente due richieste relative a una misura di prevenzione personale e unamisura di prevenzione patrimoniale, chiedendo che venisse disposto il sequestro finalizzato alla successiva confisca dei beni nella disponibilità, diretta o indiretta, del soggetto sottoposto a misura cautelare; entrambe tali richieste venivano accolte dal tribunale competente.
Nel prosieguo del procedimento, a seguito dell'impugnazione proposta dal prevenuto e dei terzi interessati, intestatari di una parte dei beni sequestrati, la Corte di appello competente annullava la misura di prevenzione personale e respingeva i gravami relativi alla misura di prevenzione patrimoniale, confermando le statuizioni ablatorie relative alla confisca di prevenzione dei beni.
Queste statuizioni processuali, infine, venivano confermate dalla Corte di cassazione, che respingeva i ricorsi proposti dal prevenuto e dai terzi interessati, determinando, in tal modo, l'irrevocabilità della confisca di prevenzione disposta sui beni nella disponibilità, diretta o indiretta, del prevenuto, che era il soggetto sottoposto all'originaria indagine per reati in materia di stupefacenti.
Dopo il passaggio in giudicato della confisca di prevenzione, proponevano ricorso davanti alla Corte EDU sia il soggetto destinatario della confisca di prevenzione, che era il soggetto originariamente sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per la violazione della disciplina degli stupefacenti, sia i terzi interessati, che erano i soggetti intestatari di beni che si ritenevano nella disponibilità indiretta del prevenuto.
Più precisamente, il prevenuto deduceva la violazione dell'art. 4 Prot. add. 7 CEDU, derivante dalla violazione del principio del ne bis in idem, che si era verificata in conseguenza del fatto che, nel 2007, alcuni anni prima di essere sottoposto a misura cautelare, era stata respinta la richiesta di applicare nei suoi confronti una misura di prevenzione personale, sull'assunto che non era ritenuto socialmente pericoloso.
I terzi interessati, invece, con atto di impugnazione proposto separatamente, deducevano la contestuale violazione degli artt. 6, par. 2, e 7, par. 1, CEDU.
In particolare, la violazione dell'art. 6, par. 2, CEDU discendeva dal fatto che l'applicazione della confisca di prevenzione aveva pregiudicava il diritto alla presunzione di innocenza dei terzi interessati, che, a differenza del prevenuto, non erano mai stati sottoposti ad alcun procedimento penale; viceversa, la violazione dell'art. 7, par. 1, CEDU derivava dalla natura sanzionatoria della confisca di prevenzione, la cui natura, inequivocabilmente afflittiva, appariva in contrasto con la mancanza di una sentenza di condanna per la commissione di reati irrogata ai terzi interessati.
Deve, infine, evidenziarsi che la violazione dell'art. 7, par. 1, CEDU, lamentata dai terzi interessati, veniva affermata anche dall'Unione delle Camere penali italiane, che interveniva, ad adiuvandum, nel procedimento attivato davanti alla Corte strasburghese, sostenendo la natura afflittiva della confisca di prevenzione, che imponeva di ricondurre tale strumento ablatorio nell'alveo sistematico delle sanzioni penali. Tale natura imponeva di ritenere l'art. 24 cod. antimafia contrastante con la previsione dell'art. 7, par. 1, CEDU.
La decisione della Corte EDU, il respingimento dei ricorsi proposti e la declaratoria di legittimità convenzionale della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia
All'esito del procedimento attivato dal prevenuto e dai terzi interessati dell'originaria vicenda processuale, conclusasi con la confisca di prevenzione dei beni sottoposti a sequestro, la Corte EDU, decidendo all'unanimità dei componenti del collegio, dichiarava inammissibili i ricorsi e respingeva le doglianze proposte dai ricorrenti.
Occorre, in proposito, precisare che la declaratoria di inammissibilità pronunciata dalla Corte EDU si muoveva su un solco ermeneutico già seguito in alcune risalenti decisioni, ribadendo, ancora una volta, la legittimità convenzionale della confisca di prevenzione.
Deve, tuttavia, precisarsi che i Giudici strasburghesi giungevano a tali conclusioni attraverso un percorso argomentativo connotato da profili di obiettiva originalità rispetto ai suoi precedenti interventi, sui quali appare opportuno soffermarsi.
Si consideri che nei precedenti interventi decisori sulla confisca di prevenzione la Corte alsaziana aveva escluso che la confisca di prevenzione prevista dall'art. 24 cod. antimafia potesse essere equiparata alle sanzioni penali, ponendo in evidenza che tale strumento ablatorio si connotava per il perseguimento di finalità eminentemente preventive, mirando a contrastare il dilagare di comportamenti, direttamente o indirettamente, riconducibili alla pervasiva presenza della criminalità organizzata mafiosa nel territorio italiano (tra le altre, Corte EDU, 05/10/2010, Bongiorno e altri c. Italia, n. 4514/07, § 45; Corte EDU, 05/07/2001, Arcuri e altri c. Italia, n. 52024/00, § 24; Corte EDU, 22/12/1994, Raimondo c. Italia, n. 19675/06, § 30).
Attraverso l'esclusione della riconducibilità della confisca di prevenzione all'alveo sistematico delle sanzioni penali – che, a sua volta, presupponeva l'esclusione della sua natura afflittiva – si giungeva ad affermare la legittimità convenzionale dello strumento ablatorio di cui all'art. 24 cod. antimafia, che, proprio in virtù delle finalità preventive che lo connotavano, veniva ritenuto proporzionato agli interessi pubblici perseguiti, collegati all'azione di contrasto alla criminalità organizzata mafiosa.
La legittimità dello strumento ablatorio previsto dall'art. 24 cod. antimafia, dunque, veniva ritenuta strettamente collegata alla diffusività nel territorio italiano dei fenomeni di criminalità organizzata mafiosa, che si riteneva di dovere contrastare efficacemente sia sul piano repressivo sia sul piano preventivo; azione di contrasto rispetto alla quale la confisca di prevenzione finiva per assumere un ruolo definito insostituibile dalla stessa Corte strasburghese in una delle prime e più argomentate pronunce sull'argomento (Corte EDU, 22/12/1994, Raimondo c. Italia, n. 19675/06, cit.).
In tale contesto ermeneutico, un primo elemento di significativa differenziazione tra la vicenda processuale in esame e quelle precedentemente decise dalla Corte EDU in materia di confisca di prevenzione è certamente costituito dal fatto che, nel passato, il problema della legittimità convenzionale dello strumento ablatorio in questione era stato tendenzialmente posto con riferimento alla sfera di operatività della criminalità organizzata mafiosa; viceversa, nell'ipotesi che si sta considerando, l'ablazione dei beni controversi traeva origine da un procedimento penale nel quale il prevenuto era imputato di condotte illecite collegate alla violazione della disciplina degli stupefacenti, ponendo un problema di compatibilità generale della misura preventiva patrimoniale, laddove giustificata dalla pericolosità generica di cui all'art. 1 cod. antimafia, con i principi convenzionali.
Tutto questo rende evidente l'importanza della decisione della Corte alsaziana, che sancisce la legittimità convenzionale della confisca di prevenzione come strumento ablatorio ordinario, esperibile anche in assenza di una sentenza di condanna del prevenuto. Ne derivava ulteriormente che lo strumento ablatorio di cui all'art. 24 cod. antimafia doveva ritenersi conforme ai parametri convenzionali anche quando esperito nei confronti di soggetti che non erano collegati, né direttamente né indirettamente, con le organizzazioni mafiose presenti nel nostro territorio (Corte EDU, 21/01/2025, Garofalo e altri c. Italia, cit.).
Queste conclusioni, a ben vedere, si ponevano in piena sintonia con una pronuncia della Corte strasburghese, di poco precedente, che, pronunciandosi su un tema analogo, aveva affermato che la confisca diretta non aveva natura sanzionatoria, atteso che, possedendo una funzione ripristinatoria, volta ad eliminare dal circuito economico legale i beni di provenienza illecita, non era commisurata alla gravità del reato commesso dal prevenuto e non era convertibile in una misura privativa della libertà personale. Ne conseguiva che lo strumento ablatorio in esame, non potendo essere assimilato alle sanzioni penali, poteva essere applicato anche in assenza di una sentenza di condanna del prevenuto e non soggiaceva al divieto di retroattività previsto dall'art. 2 c.p., che riguardava solo l'irrogazione delle pene (Corte EDU, 19/12/2024, Episcopo e Bassani c. Italia, n. 47284/16, §§ 13-15).
In questa, rinnovata, cornice ermeneutica, appare evidente che il modello ablatorio prefigurato dall'art. 24 cod. antimafia ha ricevuto una consacrazione definitiva da parte della giurisprudenza alsaziana, che si è mossa in una direzione ermeneutica la cui legittimità era già stata riconosciuta dall'Unione europea, con l'adozione della Direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024, riguardante il recupero e la confisca dei beni, sostanzialmente coeva alla pronuncia commentata.
Sotto quest'ultimo profilo, appare esemplare il punto 5 del “considerando” della Direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio, nel quale si afferma: «Un sistema efficace di recupero dei beni richiede il reperimento e l'identificazione rapidi dei beni strumentali e dei proventi di reato, e dei beni di sospetta origine criminale. Tali beni strumentali, proventi o beni dovrebbero essere congelati per impedirne la sparizione, e dovrebbero poi essere confiscati previa emissione di un provvedimento di confisca nel quadro di un procedimento in materia penale. Un sistema efficace di recupero dei beni richiede inoltre una gestione efficiente dei beni congelati e confiscati per mantenere il valore di tali beni, per lo Stato o ai fini della restituzione alle vittime».
L'affermazione della natura ripristinatoria della confisca di prevenzione e il riferimento alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi a seguito della sentenza “Spinelli”
Nel contesto ermeneutico richiamato nel paragrafo precedente, la Corte EDU ribadiva la natura ripristinatoria della confisca di prevenzione, evidenziando che il contesto sistematico nel quale si inseriva la disposizione normativa dell'art. 24 cod. antimafia imponeva di escludere la natura punitiva dello strumento ablatorio in esame, in linea con quanto, da ormai un decennio, affermato dalle Sezioni unite penali (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, in Cass. C.E.D., n. 262605 - 01).
Il riferimento alla giurisprudenza di legittimità consolidata, che veniva espressamente richiamata nella pronuncia strasburghese che si sta commentando, è opportuno per comprendere le ragioni che, presupposta la natura ripristinatoria della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia, inducevano la Corte strasburghese a escludere la natura punitiva dello strumento ablatorio in esame e a ricondurlo nell'alveo degli strumenti di contrasto all'accumulazione illecita delle ricchezze (Corte EDU, 21/01/2025, Garofalo e altri c. Italia, cit.).
Si consideri, in proposito, che, sulla natura giuridica della confisca di prevenzione, dopo alcune incertezze interpretative, peraltro notevolmente risalenti nel tempo, nel nostro ordinamento, si è definitivamente consolidato un orientamento ermeneutico tendente a riconoscerle natura preventiva e ripristinatoria; riconoscimento che le Sezioni unite hanno ribadito con il loro fondamentale intervento chiarificatore, adottato dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, al quale i Giudici alsaziani si riportavano (Corte EDU, 21/01/2025, Garofalo e altri c. Italia, cit.).
Questa opzione ermeneutica era tradizionalmente propugnata nel mondo giudiziario, soprattutto di merito, che poneva l'accento sugli obiettivi di politica criminale perseguiti dalla confisca di prevenzione, funzionali a neutralizzare la pericolosità sociale della res confiscata, insita nel permanere della ricchezza illecita nelle mani di soggetti che avrebbero potuto continuare a impiegarla per produrre altre utilità illegali attraverso la perpetrazione di ulteriori attività delinquenziali (R. Alfonso, I problemi e le prospettive del sequestro e della confisca dei patrimoni mafiosi, in L'attività di contrasto alla criminalità organizzata, a cura di A. Centonze, Giufrrè, Milano, 2005, pp. 207 ss.).
A fronte delle incertezze ermeneutiche manifestatesi al riguardo, le Sezioni unite, nel passato, avevano individuato una sorta di tertium genus dogmatico, nel cui ambito collocavano la confisca di prevenzione, sul rilievo che la stessa non possedeva né connotazioni preventive né natura sanzionatoria, caratterizzandosi alla stregua di una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto a contenuto ed effetti, alla misura di sicurezza prevista dall'art. 240, comma 2, c.p. (Cass. pen., sez. un., 19 dicembre 2006, Auddino, n. 57, in C.E.D. Cass., n. 234956 - 01; si veda anche A.M. Maugeri, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Giuffrè, Milano, 2011).
Questi dubbi ermeneutici sono stati definitivamente superati con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 159 del 2011, in ragione del fatto che, nel nuovo assetto normativo della confisca di prevenzione, la pericolosità sociale del prevenuto costituisce un ineludibile presupposto di applicabilità dell'istituto ablatorio, che vale a ricondurlo nell'ambito proprio delle misure di prevenzione (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.).
Le ragioni giuridiche sottese a una tale scelta sistematica, sostanzialmente condivise dalla Corte EDU, appaiono evidenti, non potendosi consentire l'applicazione di una misura ablatoria nei confronti di un soggetto che non sia mai stato socialmente pericoloso, rimanendo la pericolosità un presupposto indefettibile dell'attivazione del provvedimento acquisitivo. Ne consegue, nel nostro sistema penale, la persistente possibilità di assimilare la confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia alle misure di sicurezza, consentendo l'assimilabilità a tale istituto alla previsione dell'art. 200 c.p. (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.).
In questa, univoca, cornice ermeneutica, le Sezioni unite ribadivano che la precipua finalità della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia è quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità dei titolari che non possano dimostrarne la legittima provenienza, sul presupposto della loro intrinseca pericolosità sociale (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.); finalità questa, evidentemente ripristinatoria, alla quale espressamente si richiamava la Corte EDU nella pronuncia che si commenta (Corte EDU, 21/01/2025, Garofalo e altri c. Italia, cit.).
L'assetto ermeneutico prefigurato dalle Sezioni unite, del resto, in tempi recenti, veniva ulteriormente ribadito nella sentenza della Corte costituzionale 24 gennaio 2019, n. 24, anch'essa espressamente richiamata dalla Corte strasburghese nella decisione che si commenta, in cui, tra l'altro, si affermava: «Imperniate come sono su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, le misure di prevenzione personale hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo stesso all'autorità di pubblica sicurezza di esercitare un più efficace controllo sulle possibili iniziative criminose del soggetto» (C. cost., 24 gennaio 2019, n. 24).
Occorre, infine, evidenziare che rispetto a tale inquadramento sistematico, sostanzialmente condiviso dalla Corte alsaziana, il nuovo assetto normativo non consente di ritenere che l'applicazione della confisca di prevenzione possa restare svincolata dal presupposto della pericolosità sociale del prevenuto, anche tenuto conto del tenore della previsione dell'art. 18, comma 1, cod. antimafia, secondo cui: «Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione».
Le Sezioni unite, infatti, hanno ribadito che l'applicazione della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia non possa mai prescindere dalla condizione di pericolosità sociale del prevenuto, potendosi soltanto prescindere dalla verifica, in concreto, dell'esistenza di quel presupposto al momento della presentazione della relativa richiesta; il che comporta, in sede applicativa, che non è necessaria l'attualità di tale condizione (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.).
La natura ripristinatoria della confisca di prevenzione e la conformità dell'art. 24 cod. antimafia con gli artt. 6, par. 2, 7 CEDU e 4 Prot. add. 7 CEDU
Il richiamo della giurisprudenza di legittimità nostrana è indispensabile per comprendere le ragioni che inducevano la Corte EDU a escludere la natura sanzionatoria dello strumento ablatorio di cui all'art. 24 cod. antimafia, ritenuta incompatibile con la funzione preventiva dell'istituto che imponeva di sottolinearne, in termini generali, la connotazione ripristinatoria (Corte EDU, 21/01/2025, Garofalo e altri c. Italia, cit.).
A sostegno di queste conclusioni i Giudici strasburghesi richiamavano l'evoluzione della normativa interna, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, che oggi consente l'applicazione della confisca anche indipendentemente dall'applicazione della misura di prevenzione personale, in assenza di una pericolosità attuale del proposto e nei confronti dei suoi eredi. Tali connotazioni sistematiche inducevano la Corte EDU ad attribuire alla misura ablatoria di cui all'art. 24 cod. antimafia, indipendentemente dal permanere di una finalità preventiva di carattere generale, una finalità ripristinatoria, assimilabile alla restituzione da ingiustificato arricchimento.
A sostegno di queste conclusioni, la Corte EDU affermava che, poiché la misura ablatoria in esame attinge i profitti illeciti dei reati presumibilmente commessi dal proposto nell'arco temporale in cui si manifesta la sua pericolosità sociale e non il prodotto di tali condotte illecite, la stessa, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019, richiamata nel paragrafo precedente, non possiede una natura sanzionatoria-punitiva, perseguendo il diverso scopo di evitare l'ingiustificato arricchimento derivante dalla commissione di reati (C. cost., 24 gennaio 2019, n. 24).
Né costituisce un ostacolo a tali conclusioni la particolare invasività degli effetti dell'applicazione di una misura ablatoria, che, pur determinando una seria interferenza nel diritto di proprietà del proposto e dei terzi, attinge esclusivamente i beni acquistati nel periodo in cui si manifesta la pericolosità sociale, che risultino sproporzionati rispetto ai redditi leciti del proposto e dei quali non è possibile rintracciare un'origine lecita.
Anche in questo caso, appare opportuno richiamare i principi affermati dalla sentenza “Spinelli”, secondo la quale sono suscettibili di ablazione soltanto i beni giuridici acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale del prevenuto, valutabile indipendentemente dalla persistenza di tale pericolosità al momento della proposta di prevenzione. Ne consegue che non è necessario che il soggetto inciso sia socialmente pericoloso al momento dell'attivazione dei poteri ablatori, essendo, piuttosto, necessario accertare la sussistenza di tale condizione soggettiva esclusivamente al momento dell'acquisto della res confiscata, riscontrata la quale il bene acquisisce quelle connotazioni di immanente pericolosità su cui ci si è soffermati (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.).
Queste conclusioni, del resto, discendono dall'apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, che comporta la ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecite ed è pienamente coerente con la natura ripristinatoria dello strumento ablatorio già affermata dai Giudici alsaziani in materia di confisca diretta (Corte EDU, 19/12/2024, Episcopo e Bassani c. Italia, n. 47284/16, cit.).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che, laddove fosse possibile aggredire i beni dell'inciso a prescindere da una qualsivoglia relazione pertinenziale e temporale con la pericolosità sociale dello stesso soggetto, lo strumento ablatorio finirebbe con l'assumere connotati sanzionatori, dando origine a una forma impropria di actio in rem nei confronti del bene confiscato, che, invece, occorre escludere, in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza strasburghese.
Coerentemente con tali conclusioni sulla natura non punitiva della confisca di prevenzione, la Corte EDU ha escluso che il procedimento finalizzato alla sua applicazione necessiti la formulazione di un'accusa penale, rilevante ai sensi dell'art. 6 CEDU.
Quanto, infine, alla dedotta violazione della presunzione di innocenza, lamentata exart. 7 CEDU, i Giudici di Strasburgo affermavano che l'applicazione della confisca di prevenzione non rientra nella sfera di applicazione del profilo procedurale della presunzione di innocenza che impone specifiche garanzie in tema di onere della prova, presunzioni legali, autoincriminazione, pubblicità preprocessuale e si esprime in relazione a prematuri giudizi di colpevolezza da parte del giudice del processo penale.
Osservazioni finali
La sentenza che si commenta ha una notevole portata sistematica, avendo ulteriormente ribadito che la confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia possa essere equiparata alle sanzioni penali, possedendo una natura eminentemente ripristinatoria.
La Corte EDU, dunque, escludeva la natura di sanzione penale della confisca di prevenzione, evidenziandone la funzione ripristinatoria, finalizzata a eliminare dal circuito economico legale beni di provenienza illecita. Da tale natura discende che la misura ablatoria di cui all'art. 24 cod. antimafia può essere applicata in assenza di una sentenza condanna, a condizione che sia dimostrata la provenienza illecita dei beni acquisiti.
Si aggiunge, in questo modo, un ulteriore, decisivo, passaggio importante da parte della giurisprudenza strasburghese nell'elaborazione di un più consapevole inquadramento degli strumenti ablatori, nel cui contesto veniva ribadita la natura non punitiva della confisca di prevenzione.
La Corte di Strasburgo, in questo modo, valorizzava l'attuale piattaforma legale della confisca di prevenzione, così come prefigurata dall'art. 24 cod. antimafia e conformata dalla giurisprudenza di legittimità consolidata (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, Spinelli, n. 4880, cit.), giungendo a escludere elementi di criticità correlabili a una non dichiarata natura punitiva della misura ablatoria.
Le conclusioni alle quali perveniva la Corte EDU sancivano la conformità convenzionale al filone ermeneutico, da tempo, affermatosi nella giurisprudenza di legittimità, che, investita delle medesime doglianze portante all'attenzione dei Giudici di Strasburgo, nell'escludere la natura sanzionatoria della confisca di prevenzione, affermava che tale misura ablatoria non si pone in contrasto con i parametri convenzionali, anche quando riguarda beni di terzi, in quanto presuppone la verifica dell'insussistenza, in capo a questi ultimi, di una condizione di buona fede e conferisce loro la possibilità di difendersi in modo effettivo davanti a un giudice imparziale (tra le altre, Cass. pen., sez. I, 22 gennaio 2020, n. 11666, Cascio Ingurgio, Rv. 278812 - 02; Cass. pen., sez. II, 17 ottobre 2018, n. 49772, Italfondiario, Rv. 275512 - 02; Cass. pen., sez. II, 10 giugno 2015, n. 30938, Annunziata, Rv. 264173)
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Sommario
L'originaria vicenda processuale, il ricorso alla Corte EDU e la questione della legittimità convenzionale della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 d.lgs. 6 settembre 2011
La decisione della Corte EDU, il respingimento dei ricorsi proposti e la declaratoria di legittimità convenzionale della confisca di prevenzione di cui all'art. 24 cod. antimafia
La natura ripristinatoria della confisca di prevenzione e la conformità dell'art. 24 cod. antimafia con gli artt. 6, par. 2, 7 CEDU e 4 Prot. add. 7 CEDU